A Marsala raid razzisti, ad Agrigento una straordinaria catena di solidarietà
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A Marsala raid razzisti, ad Agrigento una straordinaria catena di solidarietà

Voglio partire da una piccola storia di segno opposto che racconta un'altra Sicilia, un altro Paese.

La coppia tunisina e a destra una delle volontarie di Agrigento
La coppia tunisina e a destra una delle volontarie di Agrigento
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

1 Ottobre 2020 - 13.19


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Per commentare la notizia della banda criminale di Marsala dedita all’organizzazione di raid contro immigrati inermi, preferisco partire da una piccola storia di segno opposto che racconta un’altra Sicilia, un altro Paese. Questo perchè la violenza ha sempre una eco maggiore delle buone azioni, che non devono essere considerate routine.

Per il clima che si è provato a trapiantare in questo Paese, ci si è dovuti armare di coraggio per fare delle buone azioni, perchè magari ti toccava superare ostacoli fatti apposta per scoraggiarti, ti toccava affrontare i cattivi sentimenti seminati da chi ha provato a storcere il senso stesso dei valori della nostra Costituzione. Andremo a Marsala, ma passando da Agrigento.

Qualche giorno fa alcune ragazze, volontarie di una catena che si spende ogni giorno in favore di immigrati e profughi, aveva raccolto per strada una famigliola tunisina, sbarcata assieme ad altre decine di migranti dalla nave “Rapsody” dopo lunghi giorni di quarantena. Fatti sbarcare a Porto Empedocle la famiglia aveva raggiunto a piedi Agrigento. In tasca solo una certificazione di negatività al covid, niente documenti, niente soldi. A loro neanche il foglio di via. Lui e lei giovanissimi, e due figli, uno piccolo, l’altro di pochissimi mesi. Raggiunta Agrigento, a loro non è rimasto che dormire in una villetta del centro, a ridosso del santuario di San Calogero, il santo nero venuto dall’Africa, veneratissimo in città. Tre sere sotto le stelle, col favore di un clima ancora dolce. Poi, è stata Chiara, una giovane agrigentina di genitori marocchini che parla molto bene sia l’italiano che l’arabo, ad incontrarli alla stazione. Ha notato uno dei due bambini che correva a piedi nudi nella piazza deserta della stazione e i genitori smarriti, impauriti, che non parlavano né italiano né francese.

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La prima cosa che la giovane madre ha chiesto, subito dopo aver mostrato la certificazione negativa al covid, è stato del cibo per i figli. Chiara ha subito chiamato Alessia, un’amica nella rete di solidarietà che si attiva in questi casi, che ha portato da mangiare, vestiti, coperte. Un’altra loro amica, Iman, li ha ospitati per la prima notte di solidarietà. Finalmente in una casa, per una notte al sicuro, con l’aiuto dell’ospite hanno brevemente raccontato la loro storia. Nel frattempo, alla giovane coppia e ai loro due bambini arrivavano vestiti, da mangiare, si facevano avanti medici per verificare lo stato di salute della coppia e dei piccoli. Ed anche un’assistenza legale, quella dell’Associazione Solima,, che consentisse alla famiglia di proseguire il viaggio, costruirsi un futuro diverso. In loro l’incubo di tornare indietro. Nelk frattempo, nasceva un gruppo WhatsApp per coordinare gli aiuti, l’Associazione Culturale Bac Bac trovava per loro un tetto per una permanenza ad Agrigento che si prospettava più lunga.

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Provenienti da una zona rurale della Tunisia, la giovane coppia aveva accettato l’offerta del viaggio sul barcone al posto della retribuzione per il lavoro svolto in campagna. Avevano accettato, perchè comunque il padrone non li avrebbe pagati e perché venire in Italia era il loro sogno. Con le loro povere cose hanno riempito quattro borse e sono saliti assieme ad altri quindici sul barcone. Il resto della storia è stato raccontato dai media: il motore che si è rotto vicino Lampedusa, i soccorsi con l’elicottero, quattro giorni al centro di Lampedusa, e poi la quarantena sulla “Rapsody”. Quando a Porto Empedocle la nave si è svuotata, qualcuno ha preso un treno per la Francia, aiutato da qualche altro. Molti avevano indirizzi, località, amici, parenti da raggiungere. Loro, marito e moglie di 23 anni e i due bambini, quello piccolo in braccio, come detto, avevano raggiunto a piedi la città. Gli autobus di linea, di fronte alla marea umana che si era riversata nelle strade adiacenti, avevano smesso il servizio. Per loro, i legali hanno chiesto la sospensione della procedura di rimpatrio. Chiara, Alessia e Fabiola, gli “angeli” della giovane famiglia tunisina, sono riuscite assieme al legale a procurare una prima forma di assistenza sanitaria e a regolarizzare la loro posizione in Questura.

La coppia continua a temere di essere separata, che la famiglia venga smembrata. La conforta la grande solidarietà incontrata ad Agrigento, la stessa che qualche tempo fa era riuscita ad accogliere e ad accompagnare nel viaggio in Francia un’altra famiglia tunisina. Per loro, soldi dalla Caritas e da tante piccole donazioni. Ora sono i giorni dell’attesa per questa famiglia, ma abita in una casa normale, i vicini di casa l’ha accolta con molto calore, con generosità. I bambini giocano, la giovane madre porta il caffè e i dolci a chi viene a trovarli, il padre mostra la gamba con delle grosse vene varicose per le quali ha già iniziato una cura. “Lei ha tolto il velo, ogni tanto sorride, è distesa, sembra restituita ai suoi venti anni – raccontano i volontari – Da quando è arrivata scrive su un quaderno le parole italiane che ascolta e accanto, in arabo, il loro significato. Il marito dice che ha lavorato in campagna, gli piacerebbe poterlo fare qui”.

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Perchè questa storia? Per coprire con un telo pulito e colorato la lordura di quanto accaduto a Marsala, di quanto a Marsala si è ripetuto, perchè la città aveva già conosciuto, nei mesi scorsi, altri episodi di violenza e di discriminazione. Per dire che ci sono giovani e giovani. Di quelli di Marsala se ne occuperanno, con severità, i magistrati, noi preferiamo continuare a seguire quel che fanno Chiara, Alessia e Fabiola.

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