Nicolò Carosio, il telecronista che insegnava l'italiano
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Nicolò Carosio, il telecronista che insegnava l'italiano

Le prime radiocronache risalgono al 1933. Le inventò di sana pianta, proponendole ai rigidi dirigenti della Rai dell’epoca. [Giancarlo Governi]

Nicolò Carosio, il telecronista che insegnava l'italiano
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Giancarlo Governi Modifica articolo

20 Marzo 2012 - 15.40


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di Giancarlo Governi
Oggi che i radio e telecronisti sono diventati un esercito, alcuni bravi e preparati e tanti improvvisati, ora che siamo arrivati ad inventare anche la “seconda voce” per il commento tecnico affidato ad ex calciatori dallo scarso italiano; ora che siamo arrivati a portare nelle emittenti nazionali anche i telecronisti tifosi che al gol della loro squadra vengono soffocati da un accesso di stranguglioni; ora che le radio e le televisioni sono state invase da un esercito di personaggi per lo più senza nome, mi è tornato alla mente il principe dei radiocronisti, l’inventore della radiocronaca sportiva e credo della radiocronaca tout court: Nicolò Carosio.
Un signore nato a Palermo nel 1907, da madre inglese e da padre siciliano, che per via del suo lavoro di ispettore di dogana aveva girato e fatto girare l’Italia a suo figlio, il quale era cresciuto perfettamente bilingue e capace di esprimersi in un italiano senza accenti regionali, espresso da una voce calda e ben modulata, che sembrava nata proprio per il mezzo radiofonico.
Carosio la radiocronaca la inventò di sana pianta e la propose ai rigidi dirigenti della Rai dell’epoca, raccontando loro una partita immaginaria che si svolgeva soltanto nella sua fantasia. Le prime radiocronache risalgono al 1933, quando la radio contava appena 300.000 abbonati, e furono fatte nelle difficoltà ambientali più ostiche: a bordo campo e raccontando le gesta di calciatori per la maggior parte sconosciuti che non portavano neppure i numeri sulle maglie (le maglie saranno numerate da 1 a 11 e ogni numero corrispondeva ad un ruolo preciso soltanto sei anni dopo, nel 1939). Carosio prima della partita entrava nell’albergo dove alloggiavano i calciatori e li “fotografava” con la mente uno per uno, facendosi ripetere più volte il nome e il ruolo.
Carosio ha raccontato il calcio agli italiani che prima dell’avvento della televisione, e anche anni dopo, lo hanno immaginato attraverso la sua voce suggestiva. Ha inventato anche il linguaggio del calcio, molti termini che sono rimasti nel vocabolario moderno: in epoca fascista le parole straniere erano bandite e quindi a Carosio fu chiesto di tradurre il linguaggio inglese del calcio in italiano, per cui il goal diventò la rete, il corner diventò il calcio d’angolo, il penalty diventò il calcio di rigore, il free kick diventò la punizione, l’off side diventò il fuori gioco e via continuando.
Nel dopoguerra la radio ebbe grandissima diffusione e diventò il medium più importante e più popolare e per noi ragazzi il calcio era quello che ci veniva raccontato da Nicolò Carosio alla radio. Infatti, una piccolissima minoranza veniva portato alla stadio a vedere la partita che si giocava nella propria città; le altre partite venivano raccontate dalle cronache dei giornali, che allora erano minuziose fino ad analizzare la partita minuto per minuto, come una sorta di streaming ante litteram e a posteriori, oppure per vedere le fotocronache bisognava pazientare fino al mercoledì, quando usciva Il Calcio e il Ciclismo illustrato, che era il nostro 90° minuto.
Carosio non parteggiava per nessuna squadra, anche se a lui, come a tutti i suoi successori, venivano attribuite simpatie varie e spesso contrastanti. Carosio tifava per la Nazionale, di cui raccontò ben sei mondiali tra cui i due trionfali del 1934 e 1938. Nel raccontare le gesta della Nazionale Carosio sfogava tutta la sua partigianeria, e anche il suo spirito patriottico, e riservava le parole più roboanti e l’enfasi più retorica alle gesta degli Azzurri, mentre minimizzava su quelle degli avversari.
La prima partita che sentii alla radio, e che fu anche il mio primo impatto diretto con il calcio, fu Italia-Inghilterra del 1948, quando avevo poco più di sei anni. Ebbene in quel fiume di parole che Carosio modulava sempre a favore dei giocatori italiani, alzando la voce alle loro azioni salienti, e abbassando i toni fino a farli diventare sommessi quando a fare il gioco erano gli inglesi, io tornai a casa convinto, come pure il mio amichetto proprietario dell’apparecchio radio che non era ancora entrato nella nostra casa, convinto che l’Italia avesse vinto la partita. Quando mio padre mi disse che avevamo perso 4-0 non ci volli credere. Me ne convinsi il soltanto il giorno dopo quando il risultato veniva riportato in bella evidenza sul giornale.
Nostalgia di quel calcio lì? No per carità, perché allora tutto era povero, noi stessi e le nostre case eravamo poveri, il calcio era povero ed anche i mezzi di comunicazione erano poveri. Però un pizzico di nostalgia per il “mistero” che aleggiava intorno al calcio sì, in un’epoca in cui tutto ci viene spiattellato, persino le malefatte dei giocatori in campo e persino quando si mettono le mutande prima della partita. Ma nostalgia per un grande signore che ci raccontava il calcio e che ci insegnava anche l’italiano e che si chiamava Nicolò Carosio.

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