Liberazione: Ferrero scrive a Globalist

Il segretario di Rifondazione comunista interviene nella polemica aperta da Ennio Remondino e spiega le sue ragioni. Bene: uniti per salvare il giornale.

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29 Dicembre 2011 - 10.32


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Caro Remondino, nonostante il tono insultante verso Rifondazione ho troppa stima di lei per non provare a dialogare. Lei ha sovente contrastato la disinformazione e quindi resto convinto che lei sia interessato alla verità e non alla polemica. Le allego quindi il testo dell’editoriale che ho scritto per Liberazione in cui si descrive una realtà un po’ diversa da quella da lei presentata. Se ritiene potremo incontrarci, dove ritiene, in forma pubblica o privata, se ritiene in redazione a Liberazione in presenza dei giornalisti di Liberazione perchè ritengo di essere in grado di dimostrare che la tesi secondo cui rifondazione vuole chiudere il giornale è semplicemente falsa. Così come ritengo di essere in grado di dimostrare che rifondazione ha fatto sacrifici pazzeschi per tenere aperta Liberazione sin qui, prima della pugnalata nella schiena del governo.
Cordialmente Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc.

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Il governo ci vuole chiudere di Paolo Ferrero

Il governo Monti, in continuità con il governo Berlusconi, non sta solo attaccando le conquiste sociali ma anche le conquiste democratiche. La conferma da parte di Monti del taglio – attuato da Tremonti – del fondo sull’editoria, fa parte di questo attacco e ci porta a sospendere le pubblicazioni di Liberazione a partire dal 1° gennaio. Le cifre parlano da sole: nel 2010 il taglio del contributo è di circa 500.000 euro, nel 2011 – sapremo a fine 2012 la cifra esatta, perché il contributo viene erogato con un anno di ritardo – è di circa 2 milioni di Euro. Tagli enormi, insostenibili per un giornale come il nostro, che iniziò ad uscire 20 anni fa come settimanale. Questi provvedimenti non colpiscono solo Liberazione ma anche un centinaio di altre testate che rischiano di chiudere, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e una forte riduzione della democrazia nel paese. Basti pensare che oltre a Liberazione rischiano la chiusura il Manifesto e l’Unità. Il Presidente Mao diceva che uccidono più le pallottole di zucchero che quelle di piombo. Qui ci troviamo di fronte ad un sistematico perseguimento della distruzione della sinistra comunista che avviene attraverso misure burocratiche, non attraverso la repressione. Prima l’introduzione delle leggi elettorali maggioritarie, poi l’innalzamento dello sbarramento elettorale per le europee al 4%, oggi il taglio del fondo sull’editoria. Più la crisi avanza e il capitalismo evidenzia il suo fallimento e più provano ad ucciderci.

Questo attacco è tanto più odioso perché noi – partito, Liberazione, lavoratori – abbiamo fatto la nostra parte per quanto riguarda il taglio dei costi. Nel 2008, anno in cui fui eletto segretario e ultimo anno della direzione Sansonetti, la perdita di Liberazione fu di oltre 3 milioni e centomila euro. Nel 2009, primo anno della direzione di Dino Greco, la perdita scese a 1,6 milioni di euro. Nel 2010, la perdita sarebbe stata di 300.000 euro ma il taglio sopra ricordato operato da Berlusconi e Monti ci aggiunge altri 500.000 euro di perdita. Per il 2011, nonostante l’ulteriore riduzione dei costi che abbiamo operato, la perdita dovuta al mancato finanziamento pubblico salirebbe a 2 milioni di euro. Se il governo non avesse operato tagli, noi oggi, grazie all’azione di risanamento portata avanti con determinazione in questi anni, saremmo in pareggio o in lieve attivo.

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In queste condizioni non si può tergiversare, pena il fallimento del giornale e del Partito, che di Liberazione è azionista unico.

La nostra azione deve quindi muoversi su tre direttrici:

In primo luogo la sospensione delle pubblicazioni dal Primo gennaio. Una scelta dolorosa per il partito, i lettori, i lavoratori, ma assolutamente necessaria. Con i tagli di Monti nel 2012 il giornale ci costerebbe una ulteriore perdita di 8.000 euro per ogni numero che va in edicola. Banalmente questi soldi non ci sono.

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In secondo luogo proseguiremo l’azione politica nei confronti del governo, su due direttrici. Innanzitutto la costruzione di un fronte ampio di protesta e pressione al fine di ottenere il ripristino del fondo per l’editoria, già a partire dei fondi che saranno erogati a fine 2012 per l’anno 2011. Su questo terreno sono già state fatte varie azioni sia dal partito che dalla direzione e dai lavoratori di Liberazione, si tratta di proseguire e intensificare questa azione di lotta e pressione e di allargarla coinvolgendo di più tutti i giornali interessati dal taglio. Inoltre stiamo operando con gli uffici governativi per ottenere la certezza che il finanziamento alla testata di Liberazione – sia pure ridotto – possa essere erogato anche se Liberazione dovesse uscire come settimanale o come quotidiano on line. Nel corso del mese di gennaio il governo ci ha garantito una risposta certa in modo da avere una base chiara da cui partire per decidere come proseguire la missione di Liberazione.

In terzo luogo abbiamo lanciato una campagna di sottoscrizione finalizzata al rilancio di Liberazione nella forma del quotidiano – cartaceo o on line – o del settimanale. Una volta avuta una risposta chiara del governo, a seconda della cifra che avremo raccolto di sottoscrizione, decideremo come procedere. E’ infatti evidente che ogni prosecuzione di Liberazione non potrà dar luogo a nuovi deficit che nessuno può pagare.

A queste tre linee di lavoro se ne accompagna una quarta, legata alla eventuale disponibilità da parte dei giornali della sinistra di ospitare una pagina autogestita di Liberazione per tutto il periodo in cui Liberazione non uscirà autonomamente.

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Nell’auspicare che questa solidarietà militante tra testate di sinistra possa essere realizzata, vi chiediamo quindi di contribuire con la vostra sottoscrizione affinché Liberazione non muoia. Sarebbe un danno per la democrazia, un colpo alla sinistra e una perdita pesante di posti di lavoro. Non possiamo accettarlo, convinti come siamo che Liberazione abbia un utile compito da svolgere.

Ringraziamo Ferrero per le sue precisazioni (alle quali qui sotto risponde Ennio Remondino) e, per parte nostra, vogliamo impegnarci a raccontare questa vicenda, nella speranza di dare un seppur piccolo contributo per salvare una testata che ormai ha una sua storia ben definita e tutelare la professionalità di colleghi bravi e coraggiosi. Le nostra pagine (fortunatamente sempre più visitate) sono aperte per ospitare interventi, appelli e, ovviamente, critiche. Gianni Cipriani

La replica di Ennio Remondino

Caro Ferrero,

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se ho dato l’impressione di toni insultanti verso Rifondazione come partito me ne dispiaccio. Troppi amici personali anche ai vostri vertici non troppo lontani soltanto per pensarlo. Confesso persino qualche tentazione di voto. Di più: qualche crocetta messa nel dubbio. Io contesto, da semplice giornalista, l’opportunità di alcune scelte “tecniche” fatte da alcuni di Rifondazione. Contro di loro, ammetto, ho usato toni forti (insultanti mi pare esagerato) e l’ho fatto volutamente. Per le scelte politiche uno può scegliere il non voto. Per quelle sindacali e di lotta, Lei mi insegna (buffo quel Lei al posto di “compagno”), vale il confronto anche serrato, ma sempre il confronto.

Le chiusure, il prendere o lasciare come se l’emergenza Liberazione fosse nata improvvisamente, come un fungo fuori stagione, non sono -a mio modesto avviso- accettabili da parte di alcuno.
Sarà mio personale piacere incontrarla personalmente, ma certamente senza alcuna veste né di “comitato di lotta” né di mediatore sindacale, ruoli che non mi appartengono e a cui altri, molto più preparati di me, e legittimati dai loro incarichi sono a questo delegati.

Mi permetto per ultimo di osservare che, date per veritiere le amare sorprese, le “pugnalate nella schiena” da parte del governo, è nelle prerogative prime di una forza politica denunciarle e farle conoscere. Farle capire. Il dubbio personale è che, se non le hanno capite, prese per buone, accettate sia i colleghi di Liberazione sia i sindacati di poligrafici e giornalisti, forse qualche altro problema, oltre a quelli da Lei denunciati, esista come causa di questa crisi.

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Comunque, a questo punto anche a nome di tutta Globalist, come già anticipato da Gianni Cipriani sopra, l’impegno all’ascolto. Ma di tutte le parti in causa. E questo impone che esista dialogo.

Cordialmente, Ennio Remondino, giornalista.

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