Scienziati annunciano la scoperta della prova più convincente dell'esistenza di vita oltre il sistema solare
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Scienziati annunciano la scoperta della prova più convincente dell'esistenza di vita oltre il sistema solare

Un pianeta gigante a 124 anni luce dalla Terra ha fornito le prove più forti mai rilevate che la vita extraterrestre potrebbe prosperare oltre il nostro sistema solare, affermano alcuni astronomi.

Scienziati annunciano la scoperta della prova più convincente dell'esistenza di vita oltre il sistema solare
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17 Aprile 2025 - 11.45


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Un pianeta gigante a 124 anni luce dalla Terra ha fornito le prove più forti mai rilevate che la vita extraterrestre potrebbe prosperare oltre il nostro sistema solare, affermano alcuni astronomi.

Le osservazioni del telescopio spaziale James Webb su un pianeta chiamato K2-18 b sembrano rivelare le impronte chimiche di due composti che, sulla Terra, sono noti solo per essere prodotti da forme di vita.

La rilevazione di queste sostanze chimiche, il dimetilsolfuro (DMS) e il dimetildisolfuro (DMDS), non costituirebbe una prova definitiva di attività biologica aliena, ma potrebbe avvicinarci molto alla risposta alla domanda fondamentale: siamo soli nell’universo?

“Questa è la prova più convincente finora di un’attività biologica oltre il sistema solare”, ha dichiarato il professor Nikku Madhusudhan, astrofisico dell’Università di Cambridge che ha guidato le osservazioni. “Siamo molto cauti. Dobbiamo interrogarci sia sul fatto che il segnale sia reale, sia su cosa significhi”.

Ha aggiunto: “Tra decenni potremmo guardarci indietro e riconoscere che questo è stato il momento in cui l’universo vivente è diventato una possibilità concreta. Potrebbe essere il punto di svolta, quello in cui la domanda fondamentale sull’esistenza di altra vita nell’universo è diventata una che possiamo effettivamente porci”.

Non tutti però sono convinti, poiché restano interrogativi sulle condizioni generali di K2-18 b: sono davvero favorevoli alla vita? E DMS e DMDS, che sulla Terra sono prodotti soprattutto dal fitoplancton marino, possono essere considerati dei biosegnali affidabili?

K2-18 b, situato nella costellazione del Leone, ha una massa quasi nove volte quella della Terra ed è 2,6 volte più grande, orbitando nella zona abitabile della sua stella, una nana rossa fredda grande meno della metà del Sole. Quando il telescopio spaziale Hubble rilevò vapore acqueo nella sua atmosfera nel 2019, gli scienziati lo definirono “il mondo più abitabile conosciuto” oltre il sistema solare.

Quel presunto segnale d’acqua si rivelò essere metano, secondo osservazioni successive del team di Madhusudhan nel 2023. Tuttavia, gli studiosi sostennero che il profilo del pianeta era compatibile con un mondo abitabile, coperto da un vasto e profondo oceano – una visione che rimane controversa. In modo ancora più provocatorio, il team di Cambridge riportò un accenno di rilevazione di DMS.

I pianeti oltre il nostro sistema solare sono troppo lontani per essere fotografati o raggiunti con sonde robotiche. Ma gli scienziati possono stimarne dimensioni, densità e temperatura, e analizzarne la composizione chimica osservando il pianeta mentre passa davanti alla sua stella madre, misurando la luce stellare che attraversa la sua atmosfera. Nelle ultime osservazioni, le lunghezze d’onda assorbite da DMS e DMDS hanno mostrato un netto calo proprio mentre K2-18 b transitava davanti alla nana rossa.

“Il segnale è arrivato forte e chiaro”, ha detto Madhusudhan. “Se possiamo rilevare queste molecole su pianeti abitabili, è la prima volta che la nostra specie riesce in qualcosa del genere… è incredibile che sia possibile”.

I risultati, pubblicati su The Astrophysical Journal Letters, indicano concentrazioni di DMS, DMDS o di entrambi (le loro firme si sovrappongono) migliaia di volte superiori a quelle presenti sulla Terra. I dati presentano una significatività statistica di “tre sigma” (cioè una probabilità dello 0,3% che il segnale sia dovuto al caso), anche se questo non raggiunge la soglia d’eccellenza normalmente richiesta in fisica.

“Potrebbero esserci processi che non conosciamo in grado di produrre queste molecole”, ha ammesso Madhusudhan. “Ma non credo che ci siano processi noti che possano spiegarlo senza tirare in ballo la biologia”.

Una difficoltà nell’identificare eventuali altri processi risiede nel fatto che le condizioni su K2-18 b sono ancora oggetto di dibattito. Mentre il team di Cambridge propende per l’ipotesi di un pianeta oceanico, altri suggeriscono che si tratti di un gigante gassoso o di un mondo con oceani di magma, non di acqua.

C’è chi ipotizza che il DMS possa essere stato portato sul pianeta da comete – ma ciò richiederebbe un’intensità di bombardamento estremamente improbabile – oppure prodotto in bocche idrotermali, da vulcani o da tempeste elettriche tramite processi chimici esotici.

“La vita è una delle opzioni, ma è solo una tra tante”, ha detto la dottoressa Nora Hänni, chimica dell’Istituto di Fisica dell’Università di Berna, la cui ricerca ha dimostrato che il DMS può essere presente anche su comete ghiacciate e prive di vita. “Dovremmo escludere rigorosamente tutte le altre possibilità prima di affermare che si tratta di vita”.

Altri studiosi sostengono che misurare l’atmosfera di un pianeta potrebbe non fornire mai una prova definitiva dell’esistenza della vita. “È un aspetto poco considerato nel campo, ma le tecnofirme – come un messaggio intercettato da una civiltà avanzata – potrebbero costituire una prova molto più forte, per quanto improbabile sia trovarne una”, ha affermato la dottoressa Caroline Morley, astrofisica dell’Università del Texas ad Austin, aggiungendo comunque che le scoperte rappresentano un importante passo avanti.

Anche la dottoressa Jo Barstow, scienziata planetaria della Open University, ha giudicato significativa la rilevazione, ma ha affermato: “Il mio livello di scetticismo per ogni affermazione relativa a prove di vita è permanentemente al massimo, non perché non creda che la vita esista altrove, ma perché ritengo che per una scoperta tanto profonda e significativa sia necessario un livello di prova estremamente elevato. E non credo che questo nuovo studio abbia ancora raggiunto quel livello”.

A 120 anni luce di distanza, non c’è alcuna possibilità di risolvere il dibattito con osservazioni ravvicinate, ma Madhusudhan osserva che ciò non è stato un ostacolo alla scoperta dei buchi neri o di altri fenomeni cosmici.

“In astronomia, non si tratta mai di arrivarci fisicamente”, ha detto. “Cerchiamo di capire se le leggi della biologia siano universali. Non la vedo come una questione del tipo: ‘Dobbiamo andare a nuotare nell’acqua per pescare il pesce’”.

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