Ucraina: i pacifisti e quelle accuse infamanti di 'pilatismo"
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Ucraina: i pacifisti e quelle accuse infamanti di 'pilatismo"

Sono sempre dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: migranti, richiedenti asilo, sfruttati, oppressi. Il concetto alla base della manifestazione di sabato è quello di “neutralità attiva”. 

Ucraina: i pacifisti e quelle accuse infamanti di 'pilatismo"
Manifestazione per la pace
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Marzo 2022 - 18.15


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Provate voi ad organizzare una manifestazione nazionale. E farlo in pochissimo tempo. Credetemi, è una impresa improba. Problemi organizzativi, logistici, trattare con le forze dell’ordine il tragitto del corteo, il palco, la gestione della piazza…C’è poi la parte politica, non meno impegnativa. Discutere la piattaforma di convocazione, mettere insieme soggetti collettivi diversi, ognuno con la propria storia, identità, punto di vista.

 La Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd) è riuscita in questa impresa. Ha avuto il merito, insieme alle tante organizzazioni, associazioni, sindacati, ong che hanno promosso e organizzato l’iniziativa di sabato, di riempire di decine di migliaia di persone, oltre 50mila, Piazza San Giovanni. Una Piazza storica per la sinistra. Una per tutte: il milione di persone che in quella Piazza dettero l’ultimo saluto ad Enrico Berlinguer. Una Piazza che negli ultimi tempi era stata “occupata” dalla destra, anche quella fascista. Sabato pomeriggio, Piazza San Giovanni è “tornata a casa”. 

Riempita da 50mila persone che erano lì per dire che non esiste una guerra giusta, che un mondo più giusto e solidale è un mondo senza più armi. Non era facile, non era scontato il buon esito della manifestazione. Per questo non riesco a non indignarmi di fronte ai “maestrini” con la matita rossa e blu che dal salotto di casa, o di un salotto televisivo, o davanti al computer di redazione, dà lezione di coerenza, arrivando fino al punto di scrivere che “i pacifisti vorrebbero incontrare Putin ma Putin non se li fila”, e via perculeggiando. Indignarsi è il minimo sindacale. 

Chi scrive conosce molti dei promotori della manifestazione. E so, avendolo raccontato in tanti articoli e interviste, il loro impegno quotidiano nel dare voce a quanti la voce viene tarpata, soffocata, negata. Sempre dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: migranti, richiedenti asilo, sfruttati, oppressi. Il concetto alla base della manifestazione di sabato è quello di “neutralità attiva”. 

Neutralità attiva non significa cerchiobottismo o una forma capziosa di “pilatismo”. Qualcuno, più o meno in buona fede, ha tacciato di questo i 50mila di Piazza San Giovanni. Costoro sono i fautori della “guerra giusta”, della “guerra umanitaria”. Coloro che a distanza di anni continuano a ritenere giusti i bombardamenti Nato in Serbia, perché quelle bombe erano dalla parte giusta. Noi non siamo dello stesso avviso.  Non lo eravamo quando le bombe piovevano su Belgrado. E non riteniamo che la pace e la libertà dell’Ucraina si conquisti bombardando Mosca. E non per questo facciamo sconti ad autocrati sanguinari come è Vladimir Putin. Come lo sono Recep Tayyp Erdogan o Abdel Fatta al-Sisi e via elencando. Dar voce in quella Piazza arcobaleno a chi è stato vittima di guerre colpevolmente “dimenticate”, in Afghanistan, in Siria, in Palestina, non significa voler parlare d’altro rispetto alla tragedia che si sta consumando in Ucraina. Vuol dire non accettare una gerarchia degli orrori. 

Hanno preso la parola Batool Karim (co-portavoce dell’Iraqi Social Forum), Silvia Maraone (IPSIA Acli attiva nei Balcani), la rifugiata siriana Yasmine Azeem, Amos Basile (Casco Bianco in Ucraina per IBO Italia socio Focsiv), Malak Mattar (studentessa e pittrice palestinese di Gaza), due donne afghane della Fondazione Pangea. Oltre ad un messaggio delle organizzazioni di madri di soldati russi, ucraini e bielorussi contro l’arruolamento. Ospite internazionale della manifestazione è stata Beatrice Fihn, direttrice esecutiva della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, insignita nel 2017 del Premio Nobel per la Pace, che evidenzierà il pericolo di escalation nucleare del conflitto in Ucraina. Tutti “filo-Putin”?

“In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di una operazione militare ma di guerra che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini”. “In quel paese martoriato – ha continuato – cresce di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria. Rivolgo il mio accorato appello perché si assicurino davvero i corridoi umanitari. Sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura”. “Ringrazio tutti coloro che stanno accogliendo i profughi, soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato. Prevalga pure il buonsenso, si torni a rispettare il diritto internazionale”.

E ancora: “”In questi giorni sono andati in Ucraina due cardinali, per servire il popolo, per aiutare – ha annunciato -: il cardinale Krajewski, elemosiniere, per portare gli aiuti ai più bisognosi, e il cardinale Czerny, prefetto ‘ad interim’ del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale”. “Questa presenza di due cardinali lì – ha aggiunto- è la presenza non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: ‘la guerra è una pazzia, fermatevi per favore, guardate questa crudeltà”.

Così Papa Francesco nell’Angelus di oggi. Anche lui è un “filo-Putin”?

Un impegno in qualunque latitudine

Scrive Alessandro Gisotti su Vatican News: “Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra”. Il 5 marzo del 2021 iniziava il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq. Un viaggio da molti sconsigliato per motivi di sicurezza, da altri temuto per il rischio di “fallimento”, considerate le divisioni interne alla società irachena, e il non sempre facile dialogo tra le diverse religioni presenti nel Paese. Quella visita, fortemente voluta dal Pontefice, è stata – nonostante le preoccupazioni della vigilia – un successo. Anzi di più: è stato un viaggio-messaggio che ha sottolineato come la pace sia possibile, la convivenza necessaria e che – come affermato da Francesco in una Mosul devastata dalla ferocia dell’Isis – la fraternità, malgrado tutto, è più forte del fratricidio. Le parole pronunciate un anno fa in una delle aree più martoriate del pianeta risuonano oggi profetiche, come un monito, mentre nel cuore dell’Europa si combatte una guerra distruttiva, scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Le sofferenze sono immani come insostenibile è il debito di vite umane recise da questo conflitto. L’ordine stesso delle cose ne risulta sconvolto perché, come già constatava amaramente Erodoto, “in tempo di pace i figli seppelliscono i padri, in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli”.

Mai come prima, se non forse durante la Crisi dei missili a Cuba nel 1962, l’umanità teme un’escalation militare che tracimi pericolosamente in un nuovo conflitto globale. Una follia aliena alla ragione eppure ora paventata come possibile. E tuttavia, già molti anni fa – per lo più inascoltato – il Papa aveva messo in guardia da una Terza Guerra Mondiale combattuta “a pezzi”: dalla Siria allo Yemen, dall’Afghanistan all’Iraq. Elenco a cui ora si aggiunge tragicamente l’Ucraina. Instancabilmente, Francesco ha levato la voce in questi quasi nove anni di Pontificato in favore dei popoli oppressi dal flagello delle guerre, specie di quelle dimenticate perché combattute lontane dai centri di potere o nel disinteresse dei grandi mezzi di comunicazione. Quante volte il Papa ha lanciato appelli per i bambini dello Yemen, vittime innocenti di un conflitto brutale. Quante volte ha ricordato il dramma della Siria e quante iniziative ha messo in campo – di preghiera, umanitarie e diplomatiche – per quel popolo che da oltre dieci anni non conosce pace.

Chi fa la guerra dimentica l’umanità”, ha detto domenica scorsa all’Angelus con il cuore straziato per l’Ucraina. Chi fa la guerra, ha soggiunto, “non guarda alla vita concreta delle persone”, ma “si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio”. Ed è anche la più lontana dalla logica della fraternità, che accetta pazientemente l’altro così come è in quanto figlio dello stesso Padre. Papa Francesco visitando, nel settembre del 2014, il Sacrario militare di Redipuglia nel centenario della Prima Guerra Mondiale denunciò l’assurdità della guerra sottolineando che “è folle perché il suo piano di sviluppo è la distruzione”. In questi giorni, dall’Ucraina stravolta dall’invasione militare russa, arrivano immagini proprio di questa distruzione che non risparmia nessuno. E l’interrogativo che si fa più angosciante giorno dopo giorno è: per quanto ancora?”.

“Bisogna fermare la guerra, chiedere l’intervento dell’Onu, che sia presente al tavolo delle trattative. La strada non è l’invio delle armi, ma il ricorso alla massima diplomazia“, ha affermato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini ieri in Piazza. “Non possiamo accettare la guerra come strumento di relazione tra stati. Serve ogni sforzo per fermarla. È importante che il movimento sindacale e della pace sia in piazza”, ha sottolineato. In merito alla decisione della Cisl, che ha preferito non aderire, ha commentato: “È una scelta che rispetto. È importante che le persone siano qui”. Il prossimo obiettivo è organizzare una “grande giornata di mobilitazione dei lavoratori europei per fermare la guerra. Il ruolo dell’Europa è decisivo”, ha chiuso.

Anche Landini è “filo-Putin”?

Annota Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Quella di Roma “è una piazza enorme, preceduta da tante altre piazze, che dice cose molte chiare: questa guerra deve essere fermata immediatamente, la popolazione civile Ucraina deve essere protetta, la popolazione russa che esprime dissenso contro la guerra deve essere tutelata. Occorre che i combattimenti si fermino, che i corridoi umanitari partano, che l’assistenza e l’accoglienza alle frontiere ucraine funzionino davvero”. Noury, che sta partecipando al corteo, ha chiuso: “Sono 30 anni che passiamo da una capitale europea all’altra bombardata: Sarajevo ’92, Belgrado ’98, Kiev 2022. E’ ora che l’Europa diventi protagonista di pace, proponga pace, non cada nella tentazione di prendere le parti di una guerra o dell’altra”.

Anche lui è “filo-Putin”?

Sono filo-Putin, Arci, Acli, Libera, Emergency, Legambiente, Cgil, Movimento Nonviolento, Un Ponte Per, Archivio Disarmo, Associazione Ong Italiane, Link 2007, Rete della Conoscenza, Anpi, Greenpeace, solo per citare alcune delle organizzazioni che hanno promosso la manifestazione di Roma?

“La Rete Italiana Pace e Disarmo e le Organizzazioni promotrici ribadiscono la condanna dell’azione militare in Ucraina da parte della Federazione Russa esprimendo massima solidarietà alle popolazioni coinvolte e sostenendo tutti gli sforzi della società civile pacifista e dei lavoratori e lavoratrici in Ucraina e Russia che si oppongono alla guerra con la nonviolenza.

Chiediamo si arrivi ad una cessazione degli scontri con tutti i mezzi della diplomazia e della pressione internazionale, con principi di neutralità attiva ed evitando qualsiasi pensiero di avventure militari insensate e fermando le forniture di armamenti che non possono certo portare la pace ma solo acuire il conflitto.

La Pace è possibile solo costruendola con il disarmo, la neutralità attiva, la riduzione delle spese militari, il sostegno a forme di trasformazione nonviolenta dei conflitti, il superamento delle alleanze militari, l’opposizione alla militarizzazione e soprattutto proteggendo le persone.

La prima urgenza è quella di fermare le azioni belliche militari e attivare interventi di aiuto umanitario e protezione della popolazione civile, con la garanzia di un passaggio sicuro alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative al fine di garantire assistenza umanitaria alla popolazione coinvolta dal conflitto”.  Questo è il comunicato di convocazione della manifestazione. Cosa c’è di “filo-Putin”?

Programma costruttivo

Un passo di un ampio “manifesto” pacifista: “Al fine di eliminare le motivazioni che stanno alla base di un confronto muscolare pronto a trasformarsi troppo rapidamente in conflitto aperto, occorre dunque lavorare sui seguenti punti specifici: la Russia deve cessare le interferenze e le aggressioni contro i paesi che ritiene essere all’interno della sua “sfera di influenza”, riconoscere i confini ucraini e abbandonare l’idea evocata della “Grande Russia; la NATO non  deve cercare un’ulteriore espansione o impegnarsi in aggressioni; tutte le truppe devono essere ritirate e le forniture di armi, equipaggiamento militare e addestramento devono cessare. […]. Per noi la priorità è costruire un’Europa smilitarizzata dall’Atlantico agli Urali, di pace, di sicurezza per tutti, di libertà e di democrazia. Un’Europa allargata ed aperta al mondo, dove l’Alleanza Atlantica sia una collocazione culturale, di emancipazione collettiva, di condivisione di un progetto globale di pace. 

Tutto questo significa dire “Sì alla pace” e “No alla guerra”. Dire questo è essere “filo-Putin”?

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