E’ impossibile cercare di dire qualcosa sull’enciclica “Fratelli tutti” appena uscita e senza averla potuta leggere tutta e con la dovuta attenzione. E’ un’enciclica, forte, dura, ma anche piena di speranza, gentile. E’ un testo che ci avverte dei rischi enormi che abbiamo davanti. Soffermarsi sul suo mettere in guardia da certi populismi e nazionalismi assoluti lo faranno in tanti, e giustamente. E’ uno snodo cruciale del testo. I pericoli che derivano dal non capire che, come dice Francesco, che “siamo tutti della stessa carne”, sono rilevanti. Come quelli che derivano da un empirismo senza principi, da un individualismo mercificato.
Questa enciclica con pagine chiarissime ci avverte che il dramma migratorio è davvero un luogo teologico. Questa espressione Francesco non la usa, ma l’ha usata in passato al riguarda di chi lavora con e per i profughi. Ed è vero, per chi crede e chi non crede, che lì Dio o la vita, a seconda di come la si pensa, ci dice qualcosa di che va al di là dello specifico, ci dice cosa sta succedendo. Guerre, epidemie, catastrofi ambientali, sfruttamento, miseria, abbandono, devastazione, corruzione, dispotismi feroci: tutto questo si tiene, ed è poco considerato osservando lo sconvolgimento planetario che indicano questi flussi fatti da milioni di esseri umani.
Ovvio che ci tenga a dire che andrebbero aiutati a casa loro, o che hanno il diritto a non emigrare. Ma chi li aiuta a casa loro? Chi si impegna perché il loro diritto a non emigrare sia rispettato?
Tutto questo è fondamentale, ma a me preme, detto tutto questo, richiamare un passaggio dove Francesco si distanzia da un certo globalismo, da una pretesa di “governo del mondo”, da una visione “universalista” di mercato, finanza, cultura, modelli: il nuovo sistema culturale delle élites. “Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!”.
Qui c’è qualcosa che parla a tutti e dice a tutti qualcosa di enorme: tutti abbiamo sbagliato, tutti abbiamo tradito noi stessi, ma il pluralismo oggi riparte e riparte dal Vaticano. Riparte ovviamene dagli interlocutori religiosi che con Francesco condividono questa visione, ma il fatto che oggi il vero pluralismo, quello sociale e culturale e quindi anche politico, riparta dal Vaticano, mentre appare stentare in tanti ambienti e culturali, anche liberali, è un fatto di assoluto ed enorme rilievo. Il secolo scorso è stato il secolo in cui le utopie sono state trasferite sul futuro, ad esempio con “il sol dell’avvenire”.
Questo transfer utopico è stato vissuto in maniere assolutista: come ha grosso modo detto il grande Isaiah Berlin: se solo l’omelette può sfamare il mondo potrà mai esserci un problema con il numero di uova da rompere? Dittature e assolutismi dispotici vanno in archivio, e Francesco con questo testo ci invita a riscoprire il valore del pluralismo che ci arricchisce perché per fortuna siamo diversi, non ci impoverisce imponendoci un solo vestito e ritenendo chiunque ne abbia un altro di essere parte di una falsa umanità, quindi da eliminare.
E’ importante leggendo questa enciclica pensare a tante storie, a tante ideologie, a tante visioni. E’ importante perché ci aiuta a capire che ci sarà un motivo se siamo diversi e siamo tutti della stessa carne. Siamo diversi, per questo siamo uguali, nessuno è “migliore”. E solo incontrando l’altro miglioreremo. L’egemonia senza pensiero del consumismo ci allontanerà da tutti i luoghi teologici che ci dicono cosa succede intorno a noi, portandoci forse a a quella che potremmo chiamare l’allegria dei naufraghi i. Così l’allarme che ha indotto Francesco a scrivere questo testo sarà più chiaro nel suo rivolgersi a ciascuno di noi. Il papa ci ha avvertito, tutti. La sua visione è questa: “ L’amore che si estende al di là delle frontiere sta alla base di ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale.”
Su Civiltà Cattolica una guida alla lettura dell’enciclica fatta dal direttore padre Antonio Spadaro
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