Cosa ci insegna il papà che ogni giorno si immerge nell'Adda per trovare la figlia annegata
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Cosa ci insegna il papà che ogni giorno si immerge nell'Adda per trovare la figlia annegata

Hafsa aveva 15 anni quando fu travolta dalle correnti del fiume. Il suo corpo è stato cercato a lungo e mai trovato. Da allora lo strazio della famiglia

Il fiume Adda
Il fiume Adda
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

13 Settembre 2020 - 08.50


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l papà che ogni giorno si immerge nelle acque del fiume Adda alla ricerca del corpo della figlia annegata è un’immagine che ci mette tutti in mora, che mortifica le nostre cattiverie, la nostra bontà a tempo.

L’uomo ogni giorno di questa nuova vita tinta dei colori del lutto, raggiunge in bici le sponde del fiume e si immerge sperando che la sorte o il suo e il nostro Dio gli regalino quel che più ora desidera, baciare un’ultima volta la sua Hafsa.

Aveva 15 anni Hafsa, in un giorno di gioia, con la cugina cercava di raggiungere una spiaggetta, c’era d’attraversare, ma è stata travolta dalle correnti del fiume. Quel giorno, lui era in Marocco, la terra dalla quale era venuto in Italia, come tanti, per dare un’occasione ai figli, alla sua Hafsa. Dal suo rientro, dopo le lacrime e la disperazione, non ha altri motivi nella vita. Le autorità, le forze di polizia, la protezione civile e i volontari hanno cercato la ragazza, l’hanno cercata anche oltre i tempi previsti dal protocollo. E ora, spinti dal gesto dell’uomo, torneranno ad affiancarlo lungo le sponde dell’Adda.

La storia del papà che ogni giorno si immerge nelle acque dell’Adda alla ricerca della figlia annegata è entrata nella cronaca per un video girato da chi passava ai margini dell’Adda e ha ripreso la scena straziante dell’uomo che sfida le correnti con gli occhi ben aperti, a scrutare il pelo dell’acqua, a indagare tra i rovi, sui fianchi del fiume. Potrebbe riemergere Hafsa, potrebbe essere incagliata tra i rami che si allungano sull’acqua. “Ho contattato i carabinieri per dire loro che io continuo a cercarla – ha detto il papà – Devo ringraziare i ricercatori, che sicuramente hanno fatto un buon lavoro, ma non sono riusciti a trovare mia figlia….Io non posso smettere di cercarla. Mi sto dando da fare per trovarla e spero che ci sia qualcuno, che voglia aiutarmi…Spero di trovare Hafsa, che magari è incagliata da qualche parte. O spero di essere lì quando il fiume la restituirà. Non posso rimanere a casa ad aspettare”.
Gli è stato detto che le ricerche sono pericolose, che il fiume all’improvviso può ingrossarsi, ma lui non smette, non accetta di uscire dal sudario che conserva la sua Hafsa. Prima o poi la troverà, ne è sicuro. “Ho avuto paura per lui – ha scritto su Facebook chi lo ha filmato – Un familiare, sulla sponda con me, lo ha chiamato continuamente, ma invano. ..”. Il papà che cerca la sua Hafsa anche oggi è lì, lungo e dentro l’Adda, non smette.
Nelle cronache dei giornali, stampati e on line, per arrivare a questa storia si devono attraversare tante altre storie, tutte di violenza, anche di quella che tanti, con superficialità, dicono”bestiale”. Non conoscendo i valori che gli animali, anche quelli feroci, hanno e non tradiscono. L’uomo reso fragile dal dolore più grande, a vederlo in mezzo al fiume sembra dirci come dovremmo essere tutti noi. Come non siamo.

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