E a un certo punto ci siamo dimenticati che di Aids si muore
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E a un certo punto ci siamo dimenticati che di Aids si muore

In Africa mieteva vittime a ciclo continuo. Ma fu quando 'le tre lettere di Hiv" arrivarono tra le alte schiere di Hollywood e del mondo della musica, che la dolorosa grammatica deflagrò in Occidente

E a un certo punto ci siamo dimenticati che di Aids si muore
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Enzo Verrengia Modifica articolo

14 Novembre 2017 - 21.38


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Dagli all’untore? La condanna di Valentino Talluti a 24 anni di carcere per avere  contagiato 30 donne con il virus HIV, quando peraltro l’accusa aveva chiesto l’ergastolo, riporta in auge un dibattito accantonato sotto gli incessanti cascami mediatici di quella che il sociologo tedesco Ulrich Beck definì fin dal 2000 “la società del rischio”, titolo di un suo saggio fondamentale.
Dopo l’euforia per la rivoluzione e conseguente liberazione sessuale, il tripudio  ell’amore libero e la caduta delle barriere moralistiche, il mondo avviato all’Era
dell’Acquario si trova ad affrontare un’emergenza sanitaria che paradossalmente
riguarda le società avanzate, dove si ritenevano acquisite l’igiene e la profilassi a
garanzie di una minore incidenza degli incubi epidemici ancora sospesi sui Paesi tutt’ora travagliati dal sottosviluppo. Lo stesso Aids, peraltro, miete esistenze in Africa. Ma in Occidente, il male più temuto, fin dal suo tragico esordio, insidia tutte le fasce della popolazione, creando sospetto, panico e, cacce agli untori che azzerano la razionalità e divengono ennesimo oggetto di morbosità nel circuito della comunicazione

«Sono tre lettere difficili da assimilare» dichiarò Charlie Sheen nel corso del popolare programma Today sulla rete televisiva americana Nbc.  Si riferiva all’Hiv. Si vociferaba da tempo che lo avesse contratto, dopo una caduta a picco nelle sregolatezze: feste a base di cocaina con pornostar, maltrattamenti all’ex moglie, Denise Richards, che dal canto suo affermò di essere abbondantemente informata della malattia di Sheen. L’avrebbe contratta sei anni fa, secondo l’ammissione dell’attore stesso: «Devo porre fine all’assalto e al fuoco di fila e alle mezze verità che stanno minacciando la salute di tanti altri». Sembrava una voglia tardiva di redenzione dalle turbolenze che distrussero la carriera di Sheen ancor prima dell’infermità. Tanto da rimediare la clamorosa perdita del ruolo di Charlie Harper, ildongiovanni della sit-com Due uomini e mezzo. Otto anni di successo televisivo cancellati dai suoi comportamenti intollerabili. Il tragico outing sanitario di Sheen giunse nel 2015 a solo qulche settimana dal 1º dicembre, giornata mondiale control’Aids.
Alla metà degli anni ‘80 la nuova sigla sorse sinistra sull’orizzonte del costume collettivo. Al che si profilò un nuovo problema di coscienza, individuale e collettiva. La “peste del 2000” costringeva a rivedere le singole posizioni, azzerava affetti o altri ne creava in quel miracolo che è la solidarietà nel dolore. I casi più clamorosi  incominciarono ad affiorare per il pubblico proprio da Hollywood. Kenneth Anger, che della mecca del cinema fu il graffiante detrattore ufficiale in una saga di due volumi, avrebbe potuto avere nell’Aids materiale per una nuova sortita
Sul finire del luglio 1985, Rock Hudson partì per la Francia, a tentare una cura contro
il virus con l’équipe di Luc Montaigner. Prima dell’ammissione di aver contratto la
temutissima sindrome, l’impatto devastante venne dalla rivelazione ormai inevitabile
della sua omosessualità. Hudson, allo stadio quasi terminale, non chiese che di essere
considerato un essere umano. Si è tanto parlato di sfruttamento e reificazione del
corpo femminile. Ma ci si accorse che il discorso valeva anche al contrario. Un mito
macho può distruggere chi ne è portatore. L’Aids  di Hudson fece accorgere di chi
per tutta l’esistenza era stato costretto a recitare in un ruolo sbagliato. Di più, a
negare la sua stessa natura.

La reazione della comunità cinematografica fu isterica. All’epoca, si credeva ancora che l’Aids si trasmettesse perfino con i baci. Così la prima a farsi prendere dal panico fu Linda Evans, che aveva praticato con Hudson il french-kissing sul set del serial televisivo Dinasty. Ne scaturì un censimento non certo apprezzabile di divi celebrati per la loro emblematica virilità che invece occultavano inclinazioni di altro segno. Rock Hudson
evocava di rimbalzo il suo partner in Il gigante, James Dean, del quale si seppe, dopo
la sua prematura morte, che era bisessuale. Meno comprovate le voci di omosessualità su Burt Lancaster, che comunque ebbe molti amici nella comunità gay e sostenne la campagna per la lotta all’Aids.  Marlon Brando divenne un oggetto di sogni proibiti con le sue esibizioni in canottiera di Fronte del porto. Nella maturità rivelò senza giri di parole superflue: «Come molti uomini ho avuto esperienze omosessuali e non me ne vergogno».

Un altro simbolo della mascolinità, per quanto sul registro dell’eleganza raffinata, era Cary Grant. Dopo la sua dipartita, nel 1986, si cominciò a ventilare che fosse bisessuale. All’incirca quello che in precedenza si era detto di due icone hollywoodiane, Rodolfo Valentino ed Errol Flynn. L’angelico, Alain Delon ammise più volte i avere approfittato dell’ascendente su altri uomini per fare carriera. Del resto, si ricorda ancora la morte del suo segretario, ritenuto un ricattatore di Vip con tendenze omosessuali. A Delon fu chiesto se aveva tendenze gay. Lui rispose: «E allora, cosa ci sarebbe di male se fosse vero? Faccio quello che ho voglia di fare. La sola cosa che conta è l’amore».
Nei mesi di tanto isterico gossip William M. Hoffmann scrisse As Is, dramma teatrale
su una coppia di omosessuali, di cui uno ha contratto il virus. L’autore esternava uno
scenario desolato e desolante: «Spesso sogno ad occhi aperti di nuovi progetti. Ma
l’altro giorno sono tornato alla realtà. Uno degli attori che vedevo bene in una parte è
morto di Aids  come pure uno dei produttori” Eguale pietà evocò la scomparsa di John Holmes, lo stallone di Gola Profonda. Una vitalità indefessa che cedeva a un corpuscolo invisibile. Pier Vittorio Tondelli, scrittore degli anni ‘80 per eccellenza, si ritrovò dentro —efisicamente— la più terribile eredità del fatale decennio. Fra Hudson e Tondelli, un bollettino di perdite con nomi sempre più illustri, che nasconde una lista di casi anonimi. Vi fu la vigilatrice carceraria che venne graffiata a Rebibbia da una detenuta sieropositiva e contrasse l’Aids.  O ancora le casalinghe che lo presero dai mariti che le avevano tradite con soggetti a rischio. Il peggio fu l’infermiera che soccorse una tossicodipendente sieropositiva dal cui braccio schizzòdel sangue infetto, e fu contagio.

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