Cinquantamila posti di lavoro. Non li promette il solito candidato con velleità elettorali ma Jeff Bezos, l’artefice di Amazon. Tanti saranno i nuovi occupati nella città degli Stati Uniti che ospiterà la seconda sede del colosso commerciale online, dopo quella inaugurata fin dal 2010 al centro di Seattle, nello Stato di Washington. Questo sembra smentire chi sostiene che Internet distrugga il lavoro. La retribuzione garantita sarà di buon livello per gli standard americani. Ne fa prova l’investimento iniziale della compagnia: 5 miliardi di dollari. Naturalmente, Bezos ha stabilito dei parametri per i centri urbani interessati. I quali, prima di tutto, devono registrare una popolazione superiore al milione di abitanti, poi trovarsi ad almeno quarantacinque minuti da un aeroporto con rotte internazionali e infine qualificarsi per la presenza di un’istituzione universitaria rinomata per la qualità e l’ampiezza dei campi di studio. I termini di presentazione della domanda scadono il diciannove ottobre.
Dopo l’annuncio di Bezos le cronache registrano un’autentica corsa all’accaparramento di Amazon City 2. Ricorda quelle dei pionieri ottocenteschi che si precipitavano nel Far West su scalcinati carri per far valere il diritto di proprietà sui lotti assegnati dal governo federale ai primi arrivati.
Naturalmente, per Amazon le cose non sono così rudimentali. Bezos afferma che il nuovo centro operativo costituirà un polo paritario rispetto a quello di Seattle. In pratica duplicherà l’efficacia operativa dell’azienda, che se anche rimane un caposaldo degli acquisti sul web deve affrontare una concorrenza agguerrita, come succede ad ogni libera impresa nel Paese del capitalismo avanzato per eccellenza. Innanzi tutto Walmart, la storica catena di negozi al dettaglio. Sì, perché Bezos, non contento della sua fetta di mercato elettronico vuole debordare in quello reale delle vendite dirette. Per le strade della piovosissima Seattle non è raro avvistare l’Amazon Treasure Truck, l’autocarro del tesoro di Amazon, un buffo veicolo decorato con luci multicolori che smercia prodotti alimentari a prezzi ridottissimi. Poi ci sono i tradizionali competitors in fatto di libri, specialmente Barnes & Noble, che dal 1873 a oggi ha aperto 640 negozi sul territorio degli Stati Uniti.
Ma la nuova iniziativa di Bezos pone interrogativi sulla mutazione genetica degli acquisti in un mondo dove le distanze geografiche vengono sempre più annullate dai mezzi di comunicazione.
In principio vi fu la posta.
L’idea venne nel 1872 ad Aaron Montgomery Ward, affarista che intuiva come l’immensa estensione geografica del Nordamerica potesse risultare a vantaggio di chi sapesse sfruttarla. Secondo lui, stava già terminando l’epoca dell’unico emporio sulla Main Street delle cittadine nell’entroterra continentale. La distribuzione carente riduceva le possibilità di scelta per gli acquirenti e dava all’esercente un potere monopolistico che gravava sui prezzi, mai del tutto convenienti. Il che danneggiava i produttori, che non riuscivano a smaltire convenientemente articoli vari, alimenti e in particolare l’ampia gamma di consumi destinati al pubblico femminile, dal vestiario agli ingredienti da cucina.
L’intraprendenza di Ward fu premiata dalla fortuna, come spesso accade. L’uscita del suo primo catalogo, su cui comparivano 163 articoli, coincise con lo sviluppo del servizio postale grazie all’espansione della rete ferroviaria. Bastarono pochi anni e il successo del magico fascicolo che permetteva di ricevere tutto o quasi nella propria abitazione fecero parlare alla gente di “libro dei desideri”. A cavallo tra il XIX secolo il XX, l’America seguitava ad essere una sconfinata distesa di comunità contadine e rurali, dominate dalla scarsa o inesistente alfabetizzazione. Il catalogo di Ward e la Bibbia rappresentavano le uniche pubblicazioni reperibili nei focolari domestici.
Seguendo l’esempio di Ward, Richard Warren Sears nel 1896 entrò nel settore con lo stesso metodo, preceduto nel 1993 da una rassegna specializzata in soli orologi. La Francia aveva cominciato nel 1885, quando Mimard e Blanchon rilevarono la Manifacture Francaise d’Armes et de Tir, destinato a divenire il catalogo Manufrance.
In Italia, Ferdinando Bocconi fondò attorno al 1880 i grandi magazzini Alle città d’Italia, antesignani de La Rinascente, che effettuavano vendite per corrispondenza mediante cataloghi stagionali, gli Album delle Novità.
Circola ancora una generazione che ha vagheggiato sui cataloghi Postal Market. Mamme di famiglia che ad ogni stagione potevano rinnovare il guardaroba del marito e dei figli senza doversi scomodare in cerca dei negozi più convenienti. Le stesse, poi, sempre assillate dal bisogno di utensili casalinghi, materiali di cancelleria all’apertura degli anni scolastici e, perché no, biancheria intima. Le pagine dedicate a quest’ultima, con interminabili esposizioni di busti, mutande e reggiseni calamitavano gli sguardi proibiti di adolescenti brufolosi. Fra tante merci, anche volti famosi di testimonial come Giorgio Gaber, Ombretta Colli e Lea Massari. Fino a quel ritornello musicale degli anni ’80: «Con Postal Market uso la testa, e ogni pacco che mi arriva è una festa!»
Si chiamava con una parola soltanto, Postalmarket, nel 1959, allorché Anna Bonomi Bolchini riprese dagli americani la trovata delle vendite per corrispondenza con annesso catalogo. Fu un boom nel boom dei favolosi anni ’60. La prima crisi, comunque, arriva già dal 1980 al 1983. Dopodiché il nuovo miracolo economico italiano, con un fatturato di 385 miliardi di lire nel 1987.
Venti anni dopo, nel 2007, la chiusura e il 25 luglio 2015 la dichiarazione di fallimento da parte del tribunale di Udine.
L’analogo processo di sviluppo nei nuovi canali informatici fu di gran lunga più rapido. Bastarono tre anni dal varo di Internet ed ecco che nel 1994 vi fecero irruzione le attività commerciali. La catena Pizza Hut iniziò ad accettare ordinazioni via computer. Quindi Netscape inaugurò la crittatura SSL, da utilizzare per trasferire dati in rete utilizzabili ai fine degli acquisti online. Lo stesso anni i tedeschi di Intershop cominciarono a vendere in rete, prima del trionfo di Amazon, nel 1995, e di eBay l’anno successivo. Bezos però aveva un altro obiettivo, oltre quello di piazzare libri, “aspirare” online tutta l’offerta commerciale, compresa quella alimentare.
Non c’è ritorno all’era del pizzicagnolo. E anche gli ipermercati del futuro prossimo perderanno consistenza architettonica per espandersi nei pixel del ciberspazio.