Cocullo, l’Unesco e l’antica storia dei serpari
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Cocullo, l’Unesco e l’antica storia dei serpari

Il rito dei serpari di San Domenico candidato ad essere riconosciuto patrimonio dell’umanità. Viaggio nell'anima di un'antichissima tradizione.<br>

Cocullo, l’Unesco e l’antica storia dei serpari
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10 Gennaio 2014 - 17.33


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di Gioia Chiostri

«L’Unesco farebbe la salvezza di Cocullo. Il rito dei serpari di San Domenico, quel cuore pulsante della Marsica che ha gli atri pagani e i ventricoli cristiani, è già patrimonio dell’umanità, per noi che lo portiamo avanti, da tante generazioni». Cocullo, paese in provincia dell’Aquila, situato nell’estremo lembo della costola marsicana, 246 abitanti contati, candiderà presto il suo rito in Europa per ricevere la qualifica di patrimonio immateriale dell’umanità. Ad esprimersi così è l’assessore alla Cultura del Comune, Loreta Risio.

«Si tratta – ha spiegato – della compilazione di una candidatura che è in mano ad un gruppo di studiosi coordinati dall’antropologa culturale Lia Giancristofaro che insegna all’Università di Chieti. Questo che abbiamo intrapreso è un percorso molto lungo che concerne la schedatura di materiale riguardante il rito dei serpari e il culto di San Domenico. La scelta della candidatura è dettata dal fatto che abbiamo tutti i crismi per ottenere questo ambito riconoscimento. Il rito è profondamente acclimato nel territorio e sentitissimo dalla popolazione. All’Unesco interessa che il culto sia vivo, antico, che provenga dal basso, nel senso che sia pane quotidiano del popolo e non di ideazione recente, e il nostro praticamente si perde nella notte dei tempi. Non è un semplice rito dei serpenti, ma è il rito dei serpari, e cioè di uomini che si immergono nella natura, vivono la ricerca, caccia e cura del serpente, capovolgendo il pregiudizio della sua pericolosità e malignità. Nella Bibbia esso è simbolo del peccato e della tentazione. Per il cocullese medio, invece, è un animale docile, uso ad essere accarezzato e manipolato. E proprio questo dettaglio fa parlare gli antropologi, primo fra tutti Alfonso Maria Di Nola, luminare dell’antropologia, di pacificazione con la natura».

La coordinatrice scientifica, la dottoressa Giancristofaro, parla di salti mortali che lei e il suo staff stanno facendo per tentare di portare alla luce un rito antico, maestoso e suggestivo. «Non ci sono i soldi – sentenzia la studiosa – io sono una volontaria a titolo gratuito, ad esempio. La regione, ahimè, è molto indietro rispetto alla scoperta e valorizzazione di pratiche culturali come questa. Ed è una vergogna. Io, da antropologa, ho sempre avuto un approccio scientifico al rito di Cocullo, cosa che, ovviamente e senza colpe alcune, non hanno gli abitanti locali. Sin da ragazza, vengo al paese con i miei genitori e mi è sempre interessato il lato antropologico della tradizione. È un tesoro inesplorato che va fatto conoscere. Il mio interesse è sicuramente dettato dalla volontà di vedere come il rito cambi col correre dei tempi». «Quanto prima – dichiara la docente universitaria – dovrò concertarmi con Chiodi e i vertici regionali che si occupano della cultura in Abruzzo».

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Ma come nasce la storia di Cocullo? La scintilla è un culto pagano, successivamente preso in prestito dai dogmi cristiani. L’assessore Antonio Zinatelli ci guida all’interno dell’edificio comunale, laddove prende vita la più antica tradizione dei serpari: una teca di vetro, con le spoglie di quello che, un tempo, fu un serpente, segna l’ingresso della mostra. «Anticamente la festa di san Domenico veniva celebrata il primo giovedì di maggio di ogni anno. Col trascorrere degli anni, però, quest’aspetto si è perso e si è deciso di celebrare il rito ogni primo di maggio. Le origine del Santo non sono cocullesi ma si riallacciano alla terra di Foligno, da dove un giorno partì e girò per varie regioni del centro Italia, fondando anche diversi monasteri. Il culto del serpente nasce inizialmente come un rito pagano, risalente alla figura della Dea Angizia, venerata nella Marsica e considerata, secondo la tradizione, un’incantatrice di serpenti. Questa costumanza venne poi trasferita alla leggenda di San Domenico. Tant’è che a Cocullo custodiamo il molare di San Domenico, conservato in una teca di vetro all’interno della Chiesa principale. Altra peculiarità è che il santo non è morto a Cocullo, ma a Sora. Il nostro paese lo ha frequentato per quel poco che è bastato per farlo adorare dai suoi abitanti. La Ciociaria è molto legata al culto di San Domenico, tant’è che ogni anno ondate di ciociari vengono nella Marsica con l’unico intento dell’adorazione spirituale. Suonano con le zampogne inni in onore di San Domenico. Dall’estero invece arrivano a Cocullo personaggi anche di spicco, interessati maggiormente all’aspetto pagano della festa, ossia la manifestazione che si avvale dei serpenti. Il momento più emozionante del rito è l’uscita della statua del santo dalla chiesa: è lì che avviene l’usuale gesto di circondare l’effige con le serpi».

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Sono quattro le specie di serpenti utilizzate durante il rito: il più diffuso è il Cervone, la specie più lunga che vanta l’Europa. Riesce a raggiungere i due metri e 40 centimetri di lunghezza, ma quelli che strisciano sul suolo cocullese arrivano sino a 1.50, in quanto non crescono molto come nelle zone più calde. «Esiste una legge – spiega l’assessore – che permette agli abitanti di Cocullo di catturare i serpenti per via del nostro rito ampiamente riconosciuto. A tal proposito abbiamo anche dovuto consegnare al Corpo forestale dello Stato la lista dei serpari ufficiali. Teniamo i serpenti qualche giorno in apposite teche di vetro espositive con l’intento di portarli alla conoscenza delle scolaresche che vengono al paese in gita scolastica. La caccia parte dal 19 marzo, ossia il giorno d’avvento della primavera, quando i serpenti escono dal letargo».

«Famosa – continua Zinatelli – è anche la Lattarina, chiamata volgarmente in questo modo poiché la leggenda la vuole ghiotta di latte di mucca. Era usa attaccarsi con la bocca alle mammelle dell’animale e succhiarne tutto il latte. Il biacco o serpe nera è, invece, la specie più mordace e aggressiva. C’è poi il dettaglio sacro del terriccio sparso in chiesa come benedizione. Questo viene raccolto dal pavimento brullo di una grotta posta dietro il santuario di San Domenico. Inoltre, nella santa casa di Dio, laddove dovrebbe esserci un fonte battesimale usuale, appare una campanella a cui è attaccato un filo che deve essere tirato con i denti. San Domenico di fatti è riconosciuto protettore contro il mal di denti a Cocullo, ma anche protettore contro i morsi dei serpenti e dei lupi. Dolci tipici di San Domenico sono i ciambellani che anticamente venivano dati solo ai portatori di statua, adesso invece il rito si è ammorbidito e possono gustarli durante la processione anche i visitatori. La gente esterna a queste quattro mura rimane sempre stupita quando viene a Cocullo, perché si rende conto di come il serpente, fondamentalmente, sia un amico dell’uomo e non un suo biblico rivale».

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La pratica all’Unesco per il riconoscimento del rito di San Domenico non è ancora stata inviata. «Ma – dichiara il sindaco Nicola Risio – sarebbe un’occasione culturale unica. Questa idea di far legittimare la tradizione di Cocullo è da parecchio che ci balena per la testa, ma prima di noi era scesa in campo L’Aquila con il rito della Perdonanza e abbiamo deciso di tirarci momentaneamente indietro. La schedatura da inviare all’Unesco costa e questo è un altro importante cruccio per noi, perché dovremmo finanziarci di tasca nostra. Confidiamo in un aiuto della Regione. Il rito di Cocullo è vivo da sempre e sempre lo sarà perché anche la nuova generazione è interessata a non far morire questa fiamma viva e fulgida. È vicino all’attuazione anche un altro progetto, che si intitola “dal cercatore al ricercatore”, proprio per tentare di unire i due grandi aspetti di Cocullo, il rito della caccia ai serpenti, che dopo la funzione vengono immediatamente rilasciati e non uccisi come avveniva in tempi antichi, e lo studio delle specie che avviene con un team di veterinari. Noi speriamo fermamente in questo riconoscimento perché sarebbe linfa vitale per un paese come Cocullo. Abbiamo appoggiato la candidatura dell’Aquila e ci è molto dispiaciuto che la prima volta sia andata male. Adesso tocca a noi. Loro la procedura la stanno portando avanti e non vedo perché ora come ora non possa beneficiarne anche un piccolo centro cittadino come Cocullo».

Questa roccaforte marsicana, alla quale si arriva attraverso una strada tutta curve e suggestivi paesaggi intorno, non ha voltato le spalle alla sua più autentica essenza. Punta, anzi, a riaccenderla di nuova luce, con l’aiuto dello studio, della ricerca, e della passione, che cresce anche sui rovi più inesplorati.

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