Prendiamo sul serio Bruno Vespa. Davvero. Prendiamo sul serio i suoi “cinque minuti” di show pro-Meloni sul caso Almasri. Prendiamo sul serio il suo grido indignato rivolto a tutti quei “puristi”, anime belle, che fanno finta di non sapere che tutti gli Stati fanno cose brutte e cattive per preservare la sicurezza nazionale. Prendiamolo sul serio. Perché solo così si può capire a cosa è arrivata l’Italia. La sicurezza nazionale affidata a uno stupratore di bambini, ad un losco individuo che ha trasformato uno dei campi di detenzione per migranti in Libia in qualcosa che non ha nulla da invidiare ai lager nazisti. Ecco, caro Vespa, il punto.
Qui non si parla di fare affari o affidare la sicurezza del fu Belpaese a presidenti sanguinari, autocrati che hanno riempito le patrie galere di decine di migliaia di oppositori, moltissimi dei quali sono diventati dei desaparecidos. Glu ultras della realpolitik sostengono che non è l’Italia che può decidere chi sia il presidente dell’Egitto (al-Sisi), della Tunisia (Saied) o della Turchia (Erdogan) tanto per citarne alcuni. Con Egitto, Tunisia, Turchia, un Paese come l’Italia non può non fare i conti. Anche se questo significa chiudere gli occhi sui mandanti del brutale assassinio di Giulio Regeni, sui migranti, molti dei quali donne e bambini, deportati nel deserto tunisino e lì lasciati morire di fame e di sete. Non siamo noi che possiamo impedire la pulizia etnica dei curdi nel Rojava siriano perpetrata dalla Turchia e dal suo sultano-presidente con il via libera dell’Occidente che si è ben presto scordato che a combattere in prima linea, a Kobane, i nazislamisti dell’Isis erano le combattenti e i combattenti curdisiriani.
Già su tutto questo si potrebbe aprire una discussione. Ma ora non è questo il punto. Il punto è che chi governa l’Italia ha deciso di affidare la sicurezza nazionale a dei veri e propri criminali, torturatori, stupratori, su cui pende un mandato di arresto internazionale, spiccato da quella Corte penale internazionale dell’Aja, alla quale l’Italia aderisce fin dalla fondazione della Cpi con lo Statuto di Roma. È l’Italia che riceve in pompa magna a Palazzo Chigi un altro criminale di guerra libico, il generale Khalifa Haftar.
Questo è il punto. A questo degrado siamo arrivati.
Ritratto di un criminale
“Almasri per me è un torturatore, un trafficante di esseri umani, un criminale di guerra, uno stupratore. Con tutti i crimini contro l’umanità che ha commesso per me è un incubo, da cui non mi sono più svegliati fin dal 2019. E questo sentimento è tornato dalla scorsa settimana”. Così David Yambio, uno dei rifugiati vittime del generale Almasri, a margine della conferenza delle opposizioni in cui sono stati ascoltati tre rifugiati vittime del generale, lui, LamMagok e MahamatDaou.
Yambio, presidente di Refugees in Libya, ha detto che, dopo l’espulsione con volo di Stato di Almasri, “avverto un gransenso di tradimento e di paura, paura per coloro che sono ancora in Libia. Paura per le donne e i bambini che subiranno torture e stupri. Ma anche paura per i cittadini libici che ci hanno aiutato a formalizzare le accuse ad Almasri presso la Corte Penale Internazionale”. “Ora lui è tornato e noi sentiamo una grande delusione. Ora l’Italia condivide la responsabilità delle vittime uccise dal sistema di Almasri”, ha concluso David Yambio.
Non basta? E allora leggete e meditate su quanto scritto dal giornalista italiano che più e meglio conosce le cose più indicibili della suburra libica: Nello Scavo.
Scrive Scavo su Avvenire: “Patente turca e auto tedesca. Esibisce la carta d’identità di un paradiso fiscale. In tasca, la chiave elettronica di un appartamento nel villaggio per ricchi a Istanbul. C’è chi in Libia va cercando il petrolio. E chi a Tripoli ha trovato l’America. Come il generale Almasri. Ora che è un superlatitante non potrà facilmente recarsi a Londra partendo da Tripoli e facendo scalo a Roma. E chissà cosa aveva da dire il generale agli avvocati di un noto studio inglese specializzato in diritto dell’immigrazione. Alle richieste di “Avvenire” i legali non hanno risposto.
L’uomo d’affari
Il generale scarcerato dalla corte d’appello di Roma e riportato in Libia con un jet di Stato è anche un uomo d’affari. Sui biglietti da visita si presenta come «general manager» di due compagnie private con sede in Turchia, numeri di telefono fissi del Regno Unito e dell’Ontario, in Canada. Oltre al cellulare personale con numerazione di Tripoli. Quale sia il commercio della “Al-Asale Al-Dahabiye 1” e della “Al-Asale Al-Dahabiye 2” non è ancora chiaro. Di certo per acquistare il nuovo Rolex Submariner Hulk, acciaio e corona verde, il generale ha estratto una delle otto carte bancarie “platinum”. Sul listino il prezzo consigliato è di 9mila euro, ma la scarsa reperibilità ne fa moltiplicare per tre le quotazioni. Una cifra che equivale ad almeno due anni di stipendio di un ufficiale libico.
È anche cittadino turco
I soldi, per Almasri, non sono un grosso problema. Durante il suo tour invernale percorrendo il vecchio continente da Sud a Nord e viceversa, il generale Osama si era portato nel bagaglio il necessario per affrontare ogni emergenza: 2 carte Visa e 6 Mastercard, 2 emesse da banche del Regno Unito e 6 da istituti turchi. A giudicare da una delle sue carte di identità, giudicate autentiche, il generale è anche cittadino turco. La patente con il timbro di Ankara gli permette di noleggiare auto e guidare liberamente in tutti i Paesi europei. Oltre a una card per l’accesso in camera di un esclusivo albergo milanese di proprietà di una casa di alta moda, il generale accusato dei peggiori crimini di guerra e contro i diritti umani conserva anche la tessera elettronica per accedere a uno stabile del “Mavera Park”. È un elegante complesso residenziale costruito alla periferia di Istanbul, pensato come una piccola Dubai a pochi chilometri dal Bosforo.
Nel libro nero dell’Onu
Da tempo Almasri è nell’occhio degli investigatori internazionali. Lui lo sapeva. L’inchiesta ha toccato suoi collaboratori e raccolto testimonianze delle sue migliaia di vittime. Una lezione il generale l’ha imparata da chi prima di lui era finito nel libro nero delle Nazioni Unite. Come il comandante Bija, il guardacoste-trafficante ucciso nel settembre 2024, su cui si era abbattuta la scure del Consiglio di sicurezza: congelamento dei beni, divieto di espatrio e divieto di pagargli lo stipendio, anche se nessuna delle prescrizioni è stata mai osservata dal governo libico. Dal 15 agosto 2022 Almasri può farsi scudo con la sua terza nazionalità conosciuta, dopo quella libica e turca: Repubblica di Dominica. Un paradiso naturale, ma soprattutto fiscale.
Per diventare cittadino dell’isola del Commonwealth (il cui passaporto consente di viaggiare senza visto d’ingresso in oltre 40 Paesi), occorre avere buone amicizie, versare 100mila dollari, aprire un conto e tenerlo largamente in attivo. Zero imposte sui redditi provenienti dall’estero. E in caso di mandato di cattura, nella piccola capitale Roseau gli sbirri di altri Paesi non possono fare quasi nulla, a parte prendere il sole tra Guadalupa e la Martinica.
Il mandato d’arresto
Con questi accorgimenti, Almasri è riuscito a muoversi per l’Europa inizialmente senza destare troppi sospetti. I documenti sarebbero potuti appartenere a un omonimo residente in Turchia o nei Caraibi, sebbene non sia chiaro con quale documento abbia effettuato il check-in del volo di linea Tripoli-Roma del 6 gennaio. La patente turca con cui ha prelevato l’auto in Germania e l’avviso di voler riconsegnare il mezzo a Roma Fiumicino hanno fatto scattare l’alert dell’intelligence tedesca. Messa in moto l’unità investigativa della Corte penale internazionale, dove lavorano anche funzionari delle autorità italiane, quando il mandato di cattura era pronto Almasri si trovava da poco in Piemonte. Per aumentare le probabilità di un arresto il mandato è stato trasmesso anche a Paesi come Francia, Germania, Belgio, nel caso il generale avesse lasciato l’Italia verso altre destinazioni europee.
Centri di detenzione
Negli ultimi giorni si sono rincorse voci, alimentate anche dalle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni, secondo cui Osama Najeem Almasri non sarebbe un trafficante di uomini né avrebbe a che fare con il business dello sfruttamento. La risposta, oltre che dal contenuto dell’ordine d’arresto internazionale, arriva dagli ispettori Onu. Almasri con la sua milizia controlla diverse prigioni e campi di detenzione libici dove sono detenuti terroristi, attivisti, oppositori politici, giornalisti e centinaia di stranieri migranti.
Due i penitenziari più grandi: Mitiga e Ayn Zara, entrambi nell’area di Tripoli. Ecco cosa scrivevano gli investigatori al Consiglio di sicurezza Onu nel 2022 e di nuovo nel 2023 : «L’abuso è commesso come parte dello schema commerciale illegale che questa rete» gestisce allo scopo «di ottenere guadagni finanziari e di altro tipo dai migranti che sono stati detenuti illegalmente in quelle strutture».
Lo schema criminale
Lo schema si fonda su «quattro fasi operative: a) ricerca e intercettazione dei migranti in mare; b) trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; c) abuso di detenuti in tali centri di detenzione; d) rilascio dei detenuti maltrattati».
La scarcerazione e la consegna agli scafisti, l’ultimo ingranaggio della filiera, avviene solo a precise condizioni. «Gli ex detenuti – scrivono gli ispettori Onu – hanno identificato Osama Najim». È Almasri che insieme a Adel Mohamed Ali (detto “Sheikh Adel”) sono considerati «direttamente responsabili del trasferimento illegale (dei migranti catturati, ndr) e del lavoro illegale», in violazione del «divieto di schiavitù, trattamento crudele e oltraggi alla dignità personale ai sensi del diritto internazionale umanitario».
Ad alcune delle vittime di Almasri gli inquirenti dell’Aja hanno chiesto di disegnare su un foglio la mappa della prigione, indicando le attività che si svolgono nei vari plessi: interrogatori, torture, stupri, riduzione in schiavitù, schiavitù sessuale. Anche in questo caso la descrizione è risultata perfettamente coincidente con le acquisizioni autonome degli investigatori.
Prima di salire a bordo dell’aereo di Stato che il 22 gennaio lo attendeva da 8 ore, quando ancora non si era pronunciata la corte d’appello di Roma, Almasri è tornato in possesso di tutti i suoi documenti. Compresa la garanzia internazionale del nuovo Rolex, souvenir del suo trionfale viaggio in Europa”.
Più chiaro e documentato di così…Caro Vespa, ecco a chi il governo italiano ha affidato la sicurezza nazionale. Senza rancore, ma con amore per la verità e un giornalismo dalla schiena dritta.