Nel carcere di Mittiga, situato a Tripoli e diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati documentati almeno 34 omicidi tra i detenuti e violenze sessuali ai danni di 22 persone, tra cui un bambino di 5 anni, perpetrate dalle guardie.
Questo emerge dal dispositivo della Pre-Trial Chamber della Corte Penale Internazionale, che il 18 gennaio ha notificato – a maggioranza – un mandato di arresto contro il generale libico, fermato in Italia il 19 e successivamente rilasciato. Secondo i giudici dell’Aja, «ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli».
I fatti
Le accuse contro Almasri
Il 18 gennaio 2025, la Camera Preliminare I della Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del generale libico Osama Elmasry Njeem, noto anche come Almasri. Le accuse che la Corte intende indagare riguardano il suo ruolo, in qualità di capo delle Forze di Deterrenza Speciali operanti a Tripoli, nella commissione di crimini internazionali a partire dal 15 febbraio 2015, in particolare contro i detenuti della prigione di Mitiga. Secondo le accuse, questa prigione avrebbe detenuto e continua a detenere persone arrestate per motivi legati alle loro credenze religiose (cristiani o atei), per aver violato le norme della polizia morale (ad esempio, per omosessualità), per appartenenza a gruppi armati in conflitto con il governo di Tripoli, ma anche con finalità di estorsione. Molti dei detenuti sono migranti in transito. Le accuse comprendono crimini di guerra come trattamenti disumani, tortura, stupro e violenza sessuale, nonché omicidio, oltre ai crimini contro l’umanità di detenzione illegale, tortura, stupro, omicidio e persecuzione.
La cooperazione dell’Italia con la Corte Penale Internazionale
Nello stesso 18 gennaio, la richiesta di arresto è stata inoltrata a sei Paesi europei (e una richiesta di cooperazione è stata inviata anche all’Interpol) dopo che gli investigatori avevano appreso che Almasri potesse trovarsi in Europa. La Corte ha consultato le autorità competenti dei vari Paesi, agendo in coordinamento con i rispettivi organismi e condividendo informazioni sui movimenti del sospetto in tempo reale. L’arresto è avvenuto a Torino (Italia) nella mattina di domenica 19 gennaio.
La procedura che l’Italia deve seguire per cooperare con la Corte è regolata dalla Legge n. 237 del 20 dicembre 2012. La legge stabilisce che la cooperazione con la Corte, inclusa la consegna della persona ricercata, avviene sempre tramite il Ministro della Giustizia, responsabile di “ricevere le richieste della Corte e darvi seguito”, eventualmente con la collaborazione di altri ministri (in particolare, in caso di richiesta di arresto e consegna, il Ministro dell’Interno). La misura cautelare nei confronti della persona ricercata è richiesta dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma e decisa dalla Corte d’Appello di Roma con un’ordinanza soggetta a ricorso in Cassazione.
Arresto e rilascio
Secondo il comunicato stampa del 22 gennaio 2025, il 19 e 20 gennaio, su richiesta dell’Italia, la Corte non ha rilasciato alcuna dichiarazione riguardo all’arresto di Almasri, evidentemente fiduciosa nella sua rapida trasferimento all’Aia. Lunedì 21 gennaio, senza aver ricevuto comunicazioni dalle autorità italiane, la Corte ha appreso (presumibilmente con notevole disappunto) che il ricercato era stato rilasciato e rimpatriato in Libia nella serata dello stesso giorno con un volo fornito dallo Stato italiano. L’aereo, partito intorno alle 11:00 dall’aeroporto di Roma Ciampino, è atterrato all’aeroporto di Torino per prelevare il ricercato e successivamente è tornato a Tripoli, dove è atterrato intorno alle 21:45.
Nel comunicato stampa del 22 gennaio, la Corte ha dichiarato di aver richiesto un rapporto ufficiale alle autorità italiane riguardo ai fatti, senza però ricevere risposta. Da notizie di stampa si è saputo che la Corte d’Appello di Roma avrebbe ritenuto illegittimo l’arresto effettuato dalla polizia torinese, poiché eseguito senza aver precedentemente concordato l’operazione con il Ministro della Giustizia. Il Ministro sarebbe stato informato della misura cautelare solo il 21 gennaio, presumibilmente quando l’operazione per il ritorno di Almasri in patria era già in corso.
Ribadire la serietà dell’impegno italiano
L’episodio è gravissimo e mette in evidenza una grave mancanza di coordinamento tra gli organi statali responsabili di garantire la cooperazione con la Corte Penale Internazionale o una scelta deliberata, a livello politico, di non dare seguito alla richiesta di consegna. In entrambi i casi, si tratterebbe di una circostanza molto preoccupante, anche perché i crimini attribuiti a Osama Elmasry Njeem hanno un legame diretto con questioni che interessano l’Italia, considerato che le torture e gli stupri avvenuti nella prigione di Mitiga e perpetrati dalla polizia sotto il comando del generale libico sono collegati almeno in parte ai flussi di traffico di esseri umani che l’Italia si è impegnata a combattere in ogni modo e luogo. Senza contare l’impegno diplomatico del Paese contro le persecuzioni religiose, comprese quelle che colpiscono i cristiani nel mondo.
È significativo ricordare che nel 2022 il Procuratore della Corte Penale Internazionale aveva commentato con soddisfazione la collaborazione tra gli investigatori della Corte e le autorità italiane, che aveva portato all’estradizione dall’Etiopia all’Italia di un cittadino eritreo ricercato per traffico di esseri umani attraverso la Libia.
Almasri non gode di alcuna immunità internazionale. Non esiste alcuna giustificazione apparente per una scelta di non cooperazione con la Corte. Né può essere accettabile una spiegazione che imputi l’accaduto alla negligenza colpevole di qualche funzionario che non avrebbe informato il Ministro della Giustizia dell’imminente arresto, considerando che consultazioni e scambi di informazioni “in tempo reale” tra Roma e L’Aia erano attivi almeno dal 18 gennaio.
La serietà dell’impegno italiano nel rispettare gli obblighi derivanti dalla ratifica dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale rischia di essere compromessa, in un momento storico in cui si avverte con sempre maggiore urgenza la necessità di far funzionare la giustizia penale internazionale, mentre gli ostacoli al suo funzionamento si moltiplicano in proporzione diretta.