L'Fbi non indagò su Trump dopo l'assalto golpista a Capitol Hill
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L'Fbi non indagò su Trump dopo l'assalto golpista a Capitol Hill

La gestione delle indagini sull'ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il suo entourage in relazione all'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 è stata oggetto di controversie

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20 Giugno 2023 - 09.29


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La gestione delle indagini sull’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il suo entourage in relazione all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 è stata oggetto di controversie. Secondo quanto riportato dal Washington Post, l’Fbi ha impiegato oltre un anno prima di avviare ufficialmente le indagini su Trump. Documenti interni citati dal Washington Post rivelano che nel marzo 2021, il nuovo Attorney General, Merrick Garland, responsabile del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, ha promesso di porre l’insurrezione del 6 gennaio come massima priorità del suo mandato. Tuttavia, sembra che ci siano state delle difficoltà precedenti.

Nei due mesi precedenti, gli agenti federali dell’Fbi avevano aperto 709 indagini, incriminato 278 insurrezionisti e identificato 885 possibili sospetti. Tuttavia, nel primo rapporto presentato a Garland dal procuratore generale di Washington, Michael Sherwin, nominato durante l’amministrazione Trump nel maggio 2020, non vi era alcun riferimento a Trump e ai suoi consiglieri. Secondo il Washington Post, alcuni agenti dell’Fbi si sarebbero opposti a un’operazione di polizia nella residenza di Trump, che si è poi verificata l’anno scorso.

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Tuttavia, la scoperta di documenti “top secret”, contenenti informazioni sensibili sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha segnato una svolta nelle indagini e probabilmente ha influenzato l’atteggiamento dell’FBI. È importante notare che l’FBI è stata successivamente accusata dall’ex presidente Trump di corruzione.

Prima che Garland desse l’accelerazione all’inchiesta federale, lo stesso procuratore Sherwin e Paul Abbate, vice direttore dell’Fbi, avevano annullato un piano presentato dai procuratori federali per indagare direttamente alcune persone legate a Trump e stringere il cerchio attorno al tycoon. I due avevano definito la richiesta «prematura». 

In realtà, secondo il Post l’atteggiamento dell’Fbi era stato l’opposto di quello che ha sempre sostenuto l’ex presidente: non è che l’agenzia federale fosse ossessionata dall’idea di metterlo sotto indagine, ma il contrario. Prima dell’arrivo di Garland, non aveva svolto nessuna indagine sul tycoon, e in seguito aveva manifestato qualche reticenza. Per mesi «non si poteva usare la parola che comincia con T», nei briefing degli investigatori, ha rivelato un funzionario al Washington Post.

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 Cioè citare Trump nei report è stato a lungo vietato, per paura che l’inchiesta condotta dal dipartimento potesse generare ipotesi di strumentalizzazione politica. La scoperta dei file riservati nel resort del tycoon a Mar-a-Lago, Florida, ha tolto ogni remora e trasformato la storia in un caso di emergenza nazionale. Garland ha scelto come super procuratore una persona al di sopra di ogni sospetto, Jake Smith, che si era già fatto un nome come procuratore capo della Corte penal internazionale dell’Aja, specializzato in crimini di guerra. Dopo un lungo e silenzioso lavoro di inchiesta, Smith ha presentato i risultati. E Trump è stato incriminato con trentasette capi d’accusa. 

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