Ucraina-Siria: doppia falla per Putin
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Ucraina-Siria: doppia falla per Putin

Come in Siria anche in Ucraina Putin vuole terrorizzare le popolazioni, svuotare le città, distruggere le infrastrutture elettriche, gli ospedali e le scuole per ottenere la vittoria a qualsiasi costo. 

Ucraina-Siria: doppia falla per Putin
Putin e Assad
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Ottobre 2022 - 15.56


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Ucraina-Russia. Doppia falla per lo zar del Cremlino.

Annota su Internazionale Pierre Haski, direttore di France Inter: 

“Alla Russia di Putin la Siria è servita come trampolino di lancio per la riconquista dello status di potenza capace di cambiare il corso della storia anche lontano dalle sue basi. Il presidente russo ha agito in modo brutale. La fase del conflitto ucraino aperta il 10 ottobre evoca direttamente questo metodo. 

Potere di veto
In un libro collettivo minuziosamente documentato, appena pubblicato in Francia e intitolato Syrie, le pays brûlé. Le livre noir des Assad (1970-2021) (Siria, il paese bruciato. Il libro nero degli Assad. 1970-2021), gli autori sottolineano che “tra la fine del settembre 2015 e la fine del dicembre 2019 l’aviazione e la marina russe hanno effettuato decine di migliaia di attacchi”, colpendo soprattutto le infrastrutture mediche e gli assi viari. In questo modo le forze del regime, le milizie sciite filoiraniane e i mercenari russi della compagnia Wagner hanno potuto conquistare i quartieri orientali della città di Aleppo ma anche l’area delle oasi (ghuta) di Damasco, dove sono state usate armi chimiche. Il bilancio umano di quelle operazioni è stato disastroso. 

La prima lezione da trarre dal precedente siriano è che l’esercito russo è disposto a ignorare le convenzioni di Ginevra sul diritto bellico e le proteste internazionali laddove non sono accompagnate da azioni concrete.  Il Cremlino, ieri come oggi, ragiona in termini di rapporti di forza. Durante gli anni del conflitto in Siria la Russia ha usato tredici volte il suo diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu per bloccare qualsiasi condanna delle proprie azioni. Mosca ha seguito la stessa strategia la settimana scorsa ponendo il veto sulla condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell’annessione dei territori conquistati dai russi in Ucraina. 

La seconda lezione è che il Cremlino, ieri come oggi, ragiona in termini di rapporti di forza. In Siria la Russia è intervenuta in forze solo quando ha capito che l’amministrazione Obama non aveva intenzione di lasciarsi coinvolgere nel conflitto. Ricordiamo ancora l’episodio delle “linee rosse” di Obama sull’uso di armi chimiche e l’immobilità degli statunitensi quando queste armi sono state effettivamente impiegate. In Ucraina Putin scommetteva sulla stessa passività, ma evidentemente si è sbagliato. 

In Ucraina le circostanze sono diverse, a cominciare dal fatto che siamo davanti a una guerra russa e non a una guerra in cui Mosca fornisce assistenza. Ma ciò che è accaduto ieri segue la stessa logica: terrorizzare le popolazioni, svuotare le città, distruggere le infrastrutture elettriche, gli ospedali e le scuole per ottenere la vittoria a qualsiasi costo. 

La grande differenza è che l’Ucraina può contare sul sostegno convinto degli occidentali, quello che in Siria era mancato fino all’entrata in scena dei gruppi jihadisti. Il mondo è rimasto indifferente alla catastrofe siriana nonostante qualcuno vi vedesse una nuova guerra civile spagnola, che negli anni trenta fu una prova generale della seconda guerra mondiale. In Ucraina, invece, il sostegno degli occidentali è chiaro. Questo  – conclude Haski – non ha impedito i bombardamenti indiscriminati, ma i rapporti di forza non sono più gli stessi”.

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Effetto domino

Il ritiro da parte della Russia del sistema di difesa aerea S-300 e il trasferimento di piloti e mercenari del gruppo Wagner dalla Siria all’Ucraina hanno contribuito a creare la sensazione di un “vuoto russo”, favorendo la presenza militare iraniana nel Paese mediorientale. A scriverlo è il quotidiano panarabo Al Sharq al Awsat, secondo il quale Teheran avrebbe approfittato della perdita di influenza della Russia in Siria a causa della guerra in Ucraina per reclutare milizie dall’est del Paese e approfondire il livello di cooperazione militare con Damasco. Al contempo, secondo il giornale di proprietà saudita edito a Londra, si sarebbero intensificati gli attacchi attribuiti ad Israele contro i siti delle milizie filo-iraniane, con un sempre maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti.

Secondo alcuni osservatori, da parte loro i russi starebbero facendo il possibile per trovare un accordo tra la Turchia e la Siria, con lo scopo di ritirare le proprie truppe impegnate nel Paese mediorientale e schierarle in Ucraina. A riguardo, il sito web basato a Parigi “Intelligence Online” ha riferito che il presidente dell’Organizzazione nazionale dell’intelligence della Turchia, Hakan Fidan, avrebbe incontrato il capo dei servizi segreti siriani, Al Muhaberat Ali Mamluk, tra agosto e settembre, con la mediazione della Russia. Fonti citate dal sito web hanno dichiarato che la Russia ha assunto un ruolo di mediatore dopo che la Turchia ha fornito segnali di voler avviare un processo normalizzazione delle relazioni con Damasco. La questione, tuttavia, sarebbe complessa. I ribelli siriani turcomanni hanno infatti preso parte in questi anni alle operazioni della Turchia nel nord della Siria, in particolare contro le milizie curdo-arabe sostenute dagli Stati Uniti, che di recente hanno reagito alle azioni turche lungo il confine, a volte in coordinamento con le Forze armate siriane.

Le ambizioni del sultano

La Turchia, seconda potenza militare della Nato, ha una serie di avamposti militari sul terreno ed è accusata dal governo di Damasco di occupare militarmente parte del Paese. Nonostante il conflitto a bassa intensità non sia mai cessato, come testimonia il bombardamento turco che ieri ha ucciso tre soldati siriani vicino alla città di confine di Kobani, la ripresa dei colloqui a porte chiuse tra i capi dell’intelligence di Turchia e Siria è comunque un segnale di apertura, avvenuto peraltro dopo un vertice avvenuto lo scorso 19 luglio a Teheran tra Vladimir Putin, Ibrahim Raisi e Recep Tayyip Erdogan.

Di recente, il quotidiano turco Hurriyet ha riferito che il presidente turco Erdogan aveva espresso il desiderio di incontrare il presidente Bashar al Assad al vertice dell’Organizzazione per cooperazione di Shanghai (Sco), che si è concluso il 16 settembre a Samarcanda, in Uzebekistan, a cui hanno preso parte, oltre al capo dello Stato turco, anche gli omologhi di Russia e Iran, Putin ed Raisi. Tuttavia, Assad non ha partecipato al summit di Samarcanda. “Vorrei che Assad fosse venuto in Uzbekistan, gli avrei parlato”, avrebbe affermato Erdogan, secondo quanto riferito dall’editorialista di Hurriyet, Abdulkadir Selvi. “È andato in guerra contro i ribelli per mantenere il proprio potere. Ha scelto di proteggere il proprio potere. Pensava di proteggere le aree che controllava. Ma non poteva proteggere vaste aree”, avrebbe aggiunto Erdogan.

La variabile israeliana

Di grande interesse è l’analisi di Mauro  Indelicato per InsideOver.

Scrive Indelicato: “Sono lontani i tempi in cui il presidente russo Vladimir Putin e l’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu  tenevano almeno un colloquio telefonico a settimana. Indice di rapporti molto intensi tra il Cremlino e lo Stato ebraico, in grado di abbracciare molti dossier riguardanti soprattutto il medio oriente. Oggi la situazione appare abbastanza diversa. Pochi giorni fa il numero due del consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medevdev, ha lanciato un avvertimento che sa di ultimatum: se Israele dovesse dare armi all’Ucraina allora “i rapporti tra i due Paesi verrebbero distrutti”. A complicare il quadro è stata proprio la guerra in Ucraina: da allora la simbiosi tra le parti è venuta meno. Con tutte le possibili conseguenze del caso. 

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Il quadro dei rapporti tra Russia e Israele

La caduta dell’Unione Sovietica ha comportato, tra le altre cose, un’importante emigrazione di ebrei russi verso Israele. A partire dagli anni ’90, si è assistita un’autentica scalata di persone con cittadinanza russa nei ranghi economici e politici dello Stato ebraico. Oggi diversi leader di partito, come ad esempio Avigdor Lieberman, parlano russo oppure provengono da Paesi dell’ex Urss. Esistono, sia in Russia che in Israele, associazioni che si occupano dei cittadini ebrei russofoni e oggi si stima che nello Stato ebraico il 13% della popolazione parla regolarmente il russo. La lingua è così la più diffusa dopo l’ebraico e l’arabo. 

Tutto questo per dire che le chiamate settimanali tra Putin e Netanyahu non erano figlie unicamente dei buoni rapporti personali tra i due leader, come spesso ribadito in passato in ambito diplomatico. Al contrario, tra Russia e Israele si è assistito, almeno negli ultimi 25 anni, a una graduale crescita delle relazioni sia in ambito politico che culturale ed economico. 

I dossier seguiti in comune tra i due Paesi negli ultimi anni

Una vicinanza del genere ha generato non poche novità nel contesto geopolitico. Israele infatti ha potuto diversificare il raggio delle proprie alleanze, includendo a pieno titolo per la prima volta anche Mosca. La Russia dal canto suo ha potuto gestire diversi dossier con lo Stato ebraico, pur avendo i due Paesi posizioni apparentemente distanti. Emblema di questa situazione è la guerra in Siria. Il Cremlino dal 2015 è impegnato in un appoggio diretto al presidente siriano Bashar al-Assad  e le proprie forze controllano lo spazio aereo in buona parte del Paese. Al contrario, Israele ha sempre appoggiato le forze ostili ad Assad e ha sempre temuto un rafforzamento degli altri alleati di Damasco, Iran ed Hezbollah in primis, a ridosso dei propri confini.  Putin da un lato e Netanyahu dall’altro hanno quindi deciso di tenere vivo un filo diretto tra le parti per evitare incidenti. In cambio della rassicurazione israeliana di non colpire obiettivi sensibili siriani, la Russia ha chiuso più volte un occhio negli ultimi anni sulle incursioni dell’aviazione dello Stato ebraico volte a distruggere magazzini o depositi di armi iraniani in territorio siriano. Un sottile e difficile equilibrio, retto e reso solido però dai rapporti di vicinanza tra i due Paesi. Un discorso valso per la Siria, così come per altri dossier. Sull’Ucraina ad esempio, nel 2014 l’allora premier Netanyahu è rimasto neutrale in merito il caso Crimea, non chiedendo quindi la restituzione della penisola a Kiev e non unendosi alle sanzioni imposte dall’occidente a Mosca.

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Le complicazioni arrivate dalla guerra in Ucraina

L’azione russa in Ucraina avviata il 24 febbraio scorso ha un po’ cambiato le carte in tavola. Lo si è visto per la prima volta a marzo, quando Naftali Bennett, premier israeliano subentrato dal giugno 2021 a Netanyahu, non è riuscito a portare a termine un’opera di mediazione tra Putin e Zelensky. Qualcosa evidentemente tra il Cremlino e lo Stato ebraico si è incrinata. Da allora è stato un tanto veloce quanto costante deterioramento dei rapporti. 

L’accelerazione verso il basso delle relazioni si è avuta a giugno, quando il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, ha preferito lasciare il Paese dopo non aver espresso il proprio sostegno all’intervento di Putin in Ucraina. Assieme a lui, anche 17.000 cittadini russi di origine ebraica hanno preferito fare i bagagli ed emigrare in Israele. La cifra è stata resa nota nei giorni scorsi dall’Agenzia ebraica, attiva in Russia sotto l’egida del governo israeliano e minacciata di chiusura dalle autorità di Mosca. 

Il deterioramento dei rapporti lo si è visto nella stessa Siria, dove adesso il Cremlino tende adesso a non chiudere gli occhi sulle incursioni israeliane e dove dal canto suo Israele ha iniziato ad appurare ufficialmente che il sistema antiaereo russo più volte è stato attivato contro i propri caccia. Ma ovviamente la partita più importante si sta giocando sull’Ucraina. La richiesta di Kiev alle autorità dello Stato ebraico di fornire aiuti militari ha innervosito e non poco Mosca. Tanto da far minacciare a Medevdev l’interruzione di ogni relazione. Un atto quest’ultimo di una consistenza non certamente secondaria: la semplice messa in discussione dei rapporti, per giunta arrivata dal numero due di Putin nel consiglio di sicurezza russo, di per sé potrebbe minare i precari equilibri tra le due parti. 

A complicare ulteriormente il quadro dei rapporti è la massiccia fornitura iraniana di droni a favore di Mosca. Oggi il Cremlino, non potendo più contare su un’aviazione di fatto scomparsa dal quadro ucraino, sta facendo affidamento ai velivoli senza pilota girati da Teheran. Tuttavia, pur se deteriorate, le relazioni tra Russia e Israele potrebbero non rovinarsi del tutto. 

Lo si nota dal fatto che lo Stato ebraico sta continuando a mantenere una posizione di equidistanza tra Mosca e Kiev. Gli unici dispositivi militari spediti in Ucraina sono elmetti e giubbotti antiproiettile e poco più. Le ultime richieste da parte del governo del presidente Zelensky non avrebbero ottenuto una risposta positiva. Segno quindi di come una porta per il dialogo con la Russia è destinata a rimanere sempre aperta. 

A questo occorre aggiungere che a breve Israele tornerà al voto, con l’ex premier Netanyahu nuovamente in lizza per la poltrona di capo dell’esecutivo. Un eventuale ritorno in sella del capo del Likud potrebbe favorire una lenta ricucitura dei rapporti con Putin. In conclusione, pur se al minimo storico da 30 anni a questa parte, le relazioni tra Russia e Israele abbracciano un ventaglio così vasto in termini politici da non poter essere tranciate del tutto. E in grado probabilmente di sopravvivere anche alle pesanti turbolenze dettate dalla guerra in Ucraina”, conclude Indelicato.

Di certo lo zar non è più il player assoluto in Medio Oriente. E’ l’effetto Ucraina. 

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