Ucraina, sei mesi di guerra, nessuna iniziativa di pace. E’ la sintesi desolante quanto vero di ciò che da 180 giorni sta accadendo nel cuore dell’Europa.
Denuncia e mobilitazione
“Il 24 agosto saranno sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Sei mesi di uccisioni, omicidi, infanticidi, femminicidi, feriti, mutilati, sfollati, rifugiati, sofferenze, disperazione, distruzioni, macerie,…
In sei mesi di guerra, alcuni si sono arricchiti ma tutti gli altri sono diventati più poveri. E se la guerra continua, sarà sempre peggio.
Sul campo di battaglia, lo scontro sarà sempre più aperto, esteso e crudele, la gente continuerà ad essere ammazzata e le distruzioni continueranno senza sosta, mentre speculatori, mercenari, produttori e trafficanti di armi faranno fortuna.
Da noi, il drammatico aumento dei prezzi del gas, delle materie prime e del cibo spingerà milioni di persone nella povertà e nell’insicurezza, molte imprese dovranno chiudere, crescerà l’inflazione e arriverà la recessione economica.
Intanto nel mondo, la guerra sta radicalizzando le divisioni internazionali, minacciando addirittura la catastrofe atomica, sottraendo attenzione e risorse a tutte le grandi emergenze globali come il cambiamento climatico, la fame e la salute. Questa guerra ci sta facendo molto male e abbiamo urgente bisogno che qualcuno la fermi! È pazzesco che ancora oggi non ci sia una seria iniziativa per la pace. Se scoppia un incendio tutti si mobilitano per spegnerlo. Se scoppia una guerra nessuno interviene. Perché?
Spendiamo montagne di soldi per ammazzare e non li investiamo per salvare la vita delle persone. Paghiamo un prezzo altissimo a causa della guerra e non facciamo nulla per fermarla! Che senso ha?
Mettete fine a questa guerra!
Mercoledì 21 settembre, nella Giornata internazionale della pace promossa dall’Onu, assieme a tutte le persone consapevoli e responsabili, chiediamo a gran voce: Fermate questa guerra!
Non permettiamogli di soffocare la nostra vita!
Prendiamoci cura gli uni degli altri e del pianeta”.
E’ l’appello del Comitato Promotore Marcia PerugiAssisi, al quale
Fa seguito un comunicato stampa nel quale si afferma: “Sei mesi fa è scoppiato un incendio spaventoso e nessuno sta cercando di spegnerlo. Una follia!
In sei mesi, sono bruciate decine di migliaia di chilometri dell’Ucraina ma la gara tra chi ha scatenato l’incendio e chi butta benzina sul fuoco ci minaccia sempre più da vicino. Siamo in pericolo!
Prima che le fiamme divorino anche le nostre case, facciamo sentire la nostra voce!
Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, le nostre condizioni di vita stanno peggiorando e i piani di ripresa dalla pandemia sono stati seriamente compromessi. Sei mesi dopo, stiamo subendo il drammatico aumento dei prezzi, siamo dentro ad una crisi energetica senza precedenti e ad un processo duraturo di impoverimento. La prosecuzione della guerra, sommata alle conseguenze del cambiamento climatico e all’acuirsi delle disuguaglianze sta gettando le famiglie italiane in una condizione economica e psico-sociale drammatica”.
Datele ascolto
Quella che segue è la dichiarazione del Direttore generale dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia, Catherine Russell.
“Almeno 972 bambini in Ucraina sono stati uccisi o feriti dalla violenza da quando la guerra si è intensificata quasi sei mesi fa, una media di oltre cinque bambini uccisi o feriti ogni giorno. E queste sono solo le cifre che le Nazioni Unite hanno potuto verificare. Crediamo che il numero reale sia molto più alto.
L’uso di armi esplosive ha causato la maggior parte delle vittime tra i bambini. Queste armi non fanno distinzione tra civili e combattenti, soprattutto quando vengono usate in aree popolate, come è accaduto in Ucraina a Mariupol, Luhansk, Kremenchuk e Vinnytsia. E l’elenco continua.
Ancora una volta, come in tutte le guerre, le decisioni sconsiderate degli adulti mettono a rischio estremo i bambini. Non esistono operazioni armate di questo tipo che non comportino il ferimento di bambini.
Nel frattempo, al di là dell’orrore dei bambini uccisi o feriti fisicamente negli attacchi, quasi tutti i bambini in Ucraina sono stati esposti a eventi profondamente angoscianti, e quelli che fuggono dalla violenza sono a rischio significativo di essere separati dalle famiglie, di subire violenze, abusi, sfruttamento sessuale e tratta.
L’inizio dell’anno scolastico tra poco più di una settimana è un duro promemoria di quanto i bambini in Ucraina hanno perso. Il sistema scolastico ucraino è stato devastato dall’escalation delle ostilità in tutto il Paese. Le scuole sono state prese di mira o utilizzate dalle parti, con il risultato che le famiglie non si sentono sicure di mandare i propri figli a scuola. Secondo le nostre stime, 1 scuola su 10 è stata danneggiata o distrutta.
Tutti i bambini hanno bisogno di andare a scuola e di imparare, compresi quelli coinvolti nelle emergenze. I bambini in Ucraina e quelli sfollati a causa della guerra non fanno eccezione.
L’Unicef continua a chiedere un cessate il fuoco immediato in Ucraina e che tutti i bambini siano protetti dalle violenze. Questo include la fine dell’uso brutale di armi esplosive nelle aree popolate e degli attacchi alle strutture e alle infrastrutture civili.
I bambini ucraini hanno urgente bisogno di sicurezza, stabilità, accesso a un apprendimento sicuro, servizi di protezione dell’infanzia e sostegno psicosociale.
Ma più di ogni altra cosa, i bambini ucraini hanno bisogno di pace”. Cosi la responsabile dell’Unicef.
Chi tutela i più indifesi?
A sei mesi dall’inizio della guerra, così si esprime Save the Children: “Tra il 24 febbraio e il 10 agosto almeno 942 bambini sono stati uccisi o feriti in Ucraina, una media di cinque bambini al giorno, con 356 bambini che hanno perso la vita e 586 feriti, il 16% di quelli uccisi aveva meno di 5 anni. Secondo l’Onu, il numero totale delle vittime è probabilmente molto più alto di quello attualmente accertato.
A Kharkiv, una città prima piena vita, i bombardamenti incessanti hanno danneggiato più di 600 edifici nel primo mese di guerra, secondo i funzionari della città ucraina, compresi asili, scuole e strutture sanitarie.
Dana*, 29 anni, e sua figlia Antonina*, 2 anni, sono fuggite da Kharkiv a marzo, al culmine dei bombardamenti sulla città. Prima di riuscire a fuggire dalla città, si sono rifugiate in una cantina da cui sentivano il rumore degli attacchi aerei sopra la loro testa.
“Antonina* sentiva tutte le esplosioni e aveva paura, non riusciva a dormire. Quando la stessa cosa accade qui si spaventa e chiede: ‘È scoppiato qualcosa, mamma. Cosa è esploso?’. Con una bambina di soli due anni e mezzo, non posso spiegarle che c’è una guerra in corso e che i bambini stanno morendo. È troppo piccola”, ha raccontato Dana* che rassicura sua figlia dicendole che i forti boati che sente sono tuoni. Questa tattica, però, non funziona con i nipoti più grandi, che sono più consapevoli di ciò che sta accadendo.
“Fanno molte domande. Uno dei miei nipoti – ha aggiunto Dana – ha nove anni e chiede: ‘Morirò anch’io?’. I suoi genitori fanno fatica a trovare le parole giuste per rispondergli. La mia nipotina di cinque anni chiede: ‘Quando sarò grande, dovrò ancora correre subito verso l’uscita quando c’è una sirena?’. Loro capiscono [che questo non è normale]”.
In alcune zone del Paese i bambini stanno crescendo in prima linea in una guerra brutale che trasforma le aree urbane in campi di battaglia, causa morti e feriti gravi che vedranno la loro vita segnata per sempre, e distrugge le infrastrutture necessarie a garantire l’accesso a cibo e all’acqua indispensabili per vivere.
Dana e Antonina vivono ora a Dnipro, dove Save the Children le sostiene con generi di prima necessità e cibo grazie alla collaborazione con un partner locale, Pomagaem. Dana spera di tornare a Kharkiv il mese prossimo, se sarà possibile farlo in sicurezza. I suoi amici e la sua famiglia sono sparsi in tutto il Paese e vivono ovunque abbiano potuto rifugiarsi quando la guerra si è intensificata sei mesi fa. “Viviamo un giorno alla volta, e questo è tutto. Non siamo venuti qui [a Dnipro] per starci per sempre, torneremo a casa, in ogni caso”, sottolinea Dana*.
Chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità come unico modo per proteggere i bambini dalla violenza e da altre violazioni dei loro diritti. L’Organizzazione condanna gli attacchi alla popolazione e alle infrastrutture civili, tra cui scuole e ospedali, e l’uso di missili balistici e altre armi esplosive che causano vittime tra i civili e violano il diritto umanitario internazionale”.
(*Dana e Antonia sono nomi inventati per nascondere la vera identità di madre e figlia).
Annota Pierre Haski, direttore di FranceInter in un articolo per Obs, tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale: […]Mancano ancora alcune settimane prima del ritorno dell’inverno, un lasso di tempo in cui i due eserciti cercheranno di avvantaggiarsi. L’esercito ucraino, in particolare, prepara una controffensiva per cercare di riconquistare Cherson, nel sud. Per la Russia sarebbe un colpo durissimo.
La situazione militare evidenzia che il momento del negoziato non è ancora arrivato: né per Putin, che nonostante l’avanzata del suo esercito non ha ottenuto il successo decisivo che gli permetterebbe di trattare in posizione di forza; né per gli ucraini, che oggi sarebbero costretti a fare concessioni territoriali che la popolazione non è pronta ad accettare dopo tutti i sacrifici fatti. Ognuno dei due schieramenti è convinto che il tempo sia dalla sua parte: l’Ucraina perché riceve ogni mese nuove armi (principalmente dagli Stati Uniti) che crede possano fare la differenza sul campo, e la Russia perché può contare su una superiorità numerica e perché Putin non è nelle condizioni di poter fare un passo indietro.[…] Ma questi non sono gli unici parametri del conflitto. La guerra si gioca anche sul piano diplomatico. In questo senso un appuntamento decisivo sarà il vertice del G20 in programma a metà novembre a Bali, in Indonesia. I leader di Russia e Cina, Putin e Xi Jinping, hanno annunciato che parteciperanno all’evento. Se l’impegno sarà confermato e se saranno presenti anche gli occidentali – statunitensi, europei, giapponesi, australiani – sarà il primo faccia a faccia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. A Bali ci saranno anche i grandi paesi emergenti come l’India, il Sudafrica, il Brasile e l’Arabia Saudita, la cui posizione è fondamentale per l’equilibrio del mondo di oggi.
In vista di novembre, i due “fronti” globali – quello degli occidentali, ricostituito sotto la guida degli Stati Uniti, e quello dei contestatari dell’ordine internazionale, incarnato da Russia e Cina – moltiplicheranno gli sforzi per ottenere l’appoggio dei paesi emergenti. Gli occidentali, paradossalmente, partono svantaggiati, perché credono di rappresentare la legalità internazionale nel contesto della guerra in Ucraina, mentre all’estero sono accusati di usare due pesi e due misure: mobilitati a sostegno dell’Ucraina dopo essere rimasti largamente immobili quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003, gli occidentali chiudono gli occhi davanti al dramma dei palestinesi e alle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e in altri paesi alleati. Questa differenza di percezione è particolarmente forte in Africa, dove le ex potenze coloniali come la Francia sono derise dai giovani ogni qual volta sventolano la bandiera della democrazia e del diritto contro la Russia. La guerra dell’informazione che imperversa in Africa, soprattutto nei paesi francofoni, è una delle sfaccettature di questo scontro planetario…”.
Un doppiopesismo che Globalist ha rimarcato a più riprese. La guerra combattuta sul campo s’intreccia con quella diplomatica (ambedue supportate dalla non meno importante “guerra mediatica”).
Una cosa è certa. Ed è quella evidenziata dal Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi. Sei mesi di guerra, nessuna iniziativa di pace.
Di tutto ciò non c’è traccia nel mefitico dibattito elettorale in corso nel belpaese. La politica estera – l’Ucraina, Israele …- viene piegata a polemiche strumentali, al rimpallo di invettive, alla gara a chi è più filoatlantista. Di pace non si parla. Al massimo, la si evoca retoricamente. Salvo poi accusare di essere sodali di Putin quanti provano ad agire dal basso, rilanciando la “diplomazia dei popoli”. Per fortuna, i pacifisti hanno la testa dura e non mollano. Continuano a mobilitarsi, a costruire una rete europea “disarmista”, a battersi contro lo “scandalo” del commercio delle armi, definito tale da Papa Francesco, e a sostenere, con lui, che un mondo con più armi è un mondo meno sicuro. Tra le bandiere ammainate, non c’è quella arcobaleno.