In Italia chi critica Israele muore (politicamente)
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In Italia chi critica Israele muore (politicamente)

Non si tratta di antisemitismo, che è per alcuni un. pretesto. Ma il punto ormai non è più questo. E’ bene dirlo e scriverlo alto e forte; chi critica Israele muore (politicamente). E il governo di Israele è più che criticabile

In Italia chi critica Israele muore (politicamente)
Repressione di Israele contro i palestinesi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Agosto 2022 - 13.48


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Non avevamo dubbi. L’inciampo del giovane Raffaele La Regina si è trasformato in quello che Il Foglio ha subito bollato come “Il tarlo anti israeliano della sinistra”.

Divieto di critica

Rimarca Il Foglio in un redazionale: “[…]Mentre le posizioni ufficiali del partito sono sicuramente estranee alla propaganda anti israeliana e antisemita, permane nella militanza un’area di incertezza e di confusione, che riguarda soprattutto (ma non solo) le generazioni più giovani per le quali l’epopea della nascita e dell’autodifesa eroica di Israele è storia antica, mentre la impossibilità di risolvere la questione palestinese parla di più alla loro sensibilità. In una fase in cui sembra che si assista a una svolta nelle relazioni tra Israele e i paesi arabi del Golfo a causa della comune ostilità verso l’Iran, la causa palestinese pare abbandonata a sé stessa, con il doppio effetto di una tendenza all’integrazione dei palestinesi residenti sul territorio israeliano (promossa o ostacolata dai governi di Gerusalemme secondo il loro diverso orientamento) e di una tendenza opposta alla rivolta sostenuta dell’esterno con i lanci di razzi di Hamas e di Hezbollah.

Confrontarsi con questa situazione complessa e contraddittoria non è semplice per nessuno, il che induce a limitarsi a ripetere principi generali (come ha fatto Letta e come fanno i leader di quasi tutte le formazioni politiche, esclusa l’estrema sinistra). Questo non aiuta però i militanti a capire i nodi attuali del problema e li spinge in molti casi ad assumere posizioni declamatorie che finiscono col confinare, e talora sconfinare, nell’antisemitismo. E’ un problema antico della sinistra non solo italiana (basti pensare alle posizioni antisemite che fino a poco tempo fa prevalevano nel Partito laburista), e andrebbe affrontato. Ma non un argomento spicciolo di campagna elettorale…”. Così Il Foglio, giornale che chi scrive apprezza per la qualità delle sue analisi di politica estera, ma che sul conflitto israelo-palestinese non si può certo dire al di sopra delle parti.

Sia chiaro. In discussione non è il giudizio sull’improvvido meme, condiviso nel 2020, dal giovane segretario regionale Dem della Basilicata. Ma il punto ormai non è più questo. E’ bene dirlo e scriverlo alto e forte; chi critica Israele muore (politicamente).

Esemplare è il caso di Rachele Scarpa, candidata del Pd in Veneto. 

Il “casus belli” – sollevato dal senatore Giovanbattista Fazzolari (FdI) e dall’onorevole Andrea Orsini (Forza Italia) – è ancora una volta un post pubblicato nel 2021. Citando anche Human Right Watch, Scarpa parla di “regime di apartheid di Israele” e di “atti di guerra e di repressione nei confronti dei civili da parte del governo israeliano”. Fazzolari ha parlato di “deliranti attacchi” e Orsini di “pesante indizio della mentalità che serpeggia in una parte significativa della sinistra italiana»” definendo “addirittura osceno accostare le parole Israele e apartheid»” .

La mia è stata una “legittima critica alla politica del governo israeliano, quando in passato in nome del diritto di difesa è arrivato a colpire la popolazione civile, ricevendo critiche da tutto il mondo, anche da parte di esponenti del mondo ebraico”, è stata la replica di Scarpa che su Facebook ha aggiunto: “La mia militanza politica è iniziata dal viaggio nel campo di concentramento di Auschwitz e ritengo una priorità assoluta lottare contro razzismo e antisemitismo”.

Ora, che cosa si contesta alla giovane candidata Dem? Di aver affermato che Israele ha instaurato un regime di apartheid in Cisgiordania? Ma a scriverlo, documentandolo, non sono solo Human Rights Watch e Amnesty International ma anche, come Globalist ha documentato in decine di articoli, organizzazioni israeliane impegnate nella difesa dei diritti umani, come B’Tselem.

Ma di questo poco o nulla interesse a Matteo Renzi che spara il seguente tweet: “Ho detto alla Knesset – a nome dell’Italia – che Israele ha il diritto e il dovere di esistere. Che tristezza vedere la nuova sinistra mettere in discussione questo principio, come hanno fatto anche Corbyn e Melenchon. Noi siamo altro, siamo altrove #ItaliaSulSerio.

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L’altro Matteo (Salvini) non gli è da meno. Che “cinguetta”: #Credo nella difesa dello Stato ebraico, anche dall’odio del Pd e della sinistra.

Tutti antisemiti e nemici d’Israele?

Amira Hass, Gideon Levi, Zvi Bar’el, Anshell Pfeffer. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. E comprendere gli attivisti di B’Tselem o di Peace Now. E i militari che a un certo punto hanno detto basta ad essere strumenti di occupazione. Hass, Levi, Bar’el, Pfefffer: sono alcune delle firme più prestigiose del giornalismo israeliano e di uno dei più autorevoli quotidiani d’Israele: Haaretz. Nei loro articoli hanno raccontato dei guasti dell’occupazione, della colonizzazione, dell’oppressione esercitata sul popolo palestinese. Sono per questo degli antisemiti? E lo sono scrittori o storici che non hanno mai smesso di battersi per riconoscere i diritti dell’altro da sé, senza per questo venir mai meno al loro orgoglio di essere ebrei e israeliani: penso ai compianti Abraham Yeoshua, ai compianti Amos Oz e Zeev Sternhell, che nell’ultima guerra in Libano ha pianto la morte di suo figlio Yoni. Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscerli, d’intervistarli, con qualcuno di loro di diventare amico. Sono anche loro antisemiti perché hanno preso posizione contro i guasti prodotti dalla colonizzazione dei Territori palestinesi occupati? E lo sono premi Nobel per la pace, come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter o l’eroe della lotta all’apartheid Desmond Tutu, che hanno raccontato del regime di apartheid che vige in Cisgiordania e degli effetti devastanti che oltre un decennio di assedio a Gaza ha provocato sulla vita di quasi 2 milioni di palestinesi, il 56% dei quali minorenni? Chi scrive ha sempre pensato, comportandosi di conseguenza, che mai, mai, Israele andava criticato per quello che è (il focolaio nazionale ebraico che si fa Stato) , ma per quello che fa. Per le politiche portate avanti dai suoi governi, quando esse provocano sofferenza e umiliazione che non possono essere giustificate invocando il diritto di difesa. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo né con l’antisionismo. 

E “nemica d’Israele” viene etichettata anche Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976.Nata a Belfast da famiglia cattolica, Maguire, decise di dedicarsi alla pace nel suo Paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento “Donne per la pace”. Maguire è anche presidente della Nobel Women’s Initiative, la fondazione che unisce le donne insignite di questo prestigioso riconoscimento.

“La pace, per essere davvero tale, deve coniugarsi con la giustizia. Senza giustizia non c’è pace – ebbe a dire  a Globalist in un colloquio di qualche tempo fa –  E non c’è pace quando un popolo è sotto occupazione, quando viene derubato della sua terra o segregato in villaggi-prigione. Quello palestinese è un popolo giovane, e intere generazioni sono nate e cresciuto sotto occupazione, passando da un conflitto all’altro, senza speranza, con la sola rabbia come compagna. E dove c’è rabbia, dove la quotidianità è sofferenza, è impossibile che cresca la speranza”. Per aver sostenuto queste idee Maguire è stata ritenuta da Israele “persona non gradita”. Definizione soft, per non dire nemica. “Ho imparato sulla mia pelle cosa significhi discriminazione e odio – rimarco in quella conversazione la Nobel per la Pace -. Io mi sento amica d’Israele e un amico vero è quello che prova a convincerti che stai sbagliando, che proseguendo su una certa strada finirai male. È questo che provo a dire agli israeliani: riconoscere il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente, al fianco del vostro Stato, porre fine all’embargo a Gaza e alle inumane punizioni collettive, è fare onore a voi stessi, alla vostra storia. È investire su un futuro di pace che non potrà mai essere realizzato con le armi. Lo ripeto: non si può spacciare l’oppressione come difesa. Questo è immorale. La colonizzazione non favorisce la pace, ma alimenta l’ingiustizia. Da tempo nei Territori vige un sistema di apartheid e denunciarlo non significa essere ‘nemica d’Israele’ e tanto meno antisemita”.

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La denuncia di Lynk

Il 12 agosto 2021, Michael Lynk, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, si è rivolto alla comunità internazionale affinché riconosca gli insediamenti israeliani come crimini di guerra alla luce dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Quando lo Statuto venne adottato nel 1998, venne allo stesso modo riconosciuto che gli insediamenti israeliani violano il divieto assoluto per una potenza occupante di trasferire parte della propria popolazione civile in un territorio occupato.
Il Relatore ha affermato che per Israele gli insediamenti hanno due funzioni principali: garantire che i territori occupati rimangano sotto il controllo costante e perpetuo di Israele ed assicurare che non vi sarà mai uno Stato palestinese. Ha inoltre aggiunto, rivolgendosi al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, che gli insediamenti sono il motore dell’occupazione israeliana che dura ormai da 54 anni, la più lunga nel mondo moderno”. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), nei primi 10 mesi del 2021 ci sono stati 410 attacchi da parte di coloni contro palestinesi. In questi attacchi sono stati uccisi quattro palestinesi, ha riferito l’OCHA.

“L’ubiquità di questi attacchi e i rapporti credibili sulla passività dell’esercito israeliano nel combattere questa violenza hanno approfondito l’atmosfera di paura e coercizione in tutta la Cisgiordania”, hanno affermato gli esperti, osservando che la violenza dei coloni ha colpito principalmente i residenti palestinesi della cosiddetta Area C, che è sotto completo controllo della sicurezza israeliana. “Siamo molto preoccupati per il fallimento di Israele, la potenza occupante, nell’esercitare i suoi obblighi sostanziali ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra, compreso l’articolo 27, per proteggere la popolazione sotto occupazione”, hanno concluso gli esperti delle Nazioni Unite.

Ad oggi si contano circa 300 insediamenti a Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania, con più di 680.000 coloni israeliani.
Lynk ha descritto l’illegalità degli insediamenti israeliani come una delle questioni meno controverse nel diritto internazionale e nella diplomazia moderni. Tale illegalità è stata confermata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dall’Assemblea Generale, dal Consiglio dei Diritti Umani, dalla Corte Internazionale di Giustizia, dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalle Alte Parti Contraenti la Quarta Convenzione di Ginevra e da molte altre organizzazioni regionali e internazionali che si occupano di diritti umani.
Il Relatore ha parlato anche di tragico paradosso in relazione alla situazione in cui gli insediamenti israeliani sono chiaramente proibiti dal diritto internazionale ma la comunità internazionale è estremamente riluttante nel porre in essere le sue stesse leggi. Anche l’ex Segretario generale Ban Ki-Moon è intervenuto dicendo che ciò che ha permesso a Israele di ignorare le risoluzioni Onu è stato, ed è tuttora, l’assenza di responsabilità giuridica internazionale. La violenza dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà è di routine in Cisgiordania ed è raramente perseguita dalle autorità israeliane.

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“Questo è apartheid”.

Sempre Lynk ha accusato Israele di apartheid in un rapporto presentato martedì 22 marzo ’22 al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. “Il dominio alieno permanente sul territorio occupato e sulla sua popolazione indigena è l’antitesi del diritto umanitario internazionale e, negli ultimi decenni, l’inesorabile occupazione israeliana è diventata indistinguibile dall’annessione”, ha scritto Lynk, un accademico canadese che ricopre la sua posizione dal 2016. Il suo rapporto, presentato al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, arriva un mese dopo che Amnesty International ha rilasciato il proprio rapporto accusando Israele di apartheid e quasi un anno dopo che Human Rights Watch ha rilasciato accuse simili. 

A differenza dei due rapporti precedenti, il rapporto di Lynk si concentra solo sui territori palestinesi. l mandato di Lynk come “relatore speciale per la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967” termina quest’anno e il rapporto in questione è il suo ultimo lavoro nella sua posizione. Il ministro degli Esteri Yair Lapid ha recentemente avvertito che Israele dovrà affrontare intense campagne per etichettarlo come uno stato di apartheid nel 2022, descrivendolo come una “minaccia tangibile e senza precedenti”. Lynk ha notato che “il sistema politico di governo radicato nei territori palestinesi occupati che conferisce ad un gruppo razziale-nazionale-etnico diritti, benefici e privilegi sostanziali mentre intenzionalmente sottopone un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un dominio militare permanente ‘sans droits, sans égalité, sans dignité et sans liberté’ soddisfa lo standard probatorio prevalente per l’esistenza dell’apartheid”. Ha evidenziato tre punti per convalidare le sue accuse che il trattamento dei palestinesi da parte di Israele costituisce l’apartheid – il primo è “un regime istituzionalizzato di sistematica oppressione e discriminazione razziale … dove gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania vivono le loro vite sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici sulla base dell’identità nazionale ed etnica, e che assicura la supremazia di un gruppo su, e a scapito, dell’altro”. Lynk, indicando gli atti israeliani di “uccisioni arbitrarie ed extra-giudiziali, detenzioni arbitrarie, punizioni collettive” e “un sistema di tribunali militari fondamentalmente difettoso e la mancanza di un giusto processo penale”, ha affermato che la presunta ripetizione di questi per lunghi periodi, e la loro apparente approvazione da parte della Knesset e del sistema giudiziario di Israele, “indica che non sono il risultato di atti casuali e isolati ma parte integrante del sistema di governo di Israele”.

“Questo è apartheid. Non ha alcune delle stesse caratteristiche praticate nell’Africa del sud; in particolare, molto di ciò che è stato chiamato ‘petit apartheid’ non è presente”, ha notato. 

“D’altra parte”, ha continuato Lynk, “ci sono caratteristiche impietose del governo di ‘apartheid’ di Israele nei territori palestinesi occupati che non erano praticate in Africa del sud, come le autostrade segregate, alti muri e ampi checkpoint, una popolazione barricata, attacchi missilistici e bombardamenti di carri armati su una popolazione civile, e l’abbandono del benessere sociale dei palestinesi alla comunità internazionale.”

“Con gli occhi della comunità internazionale spalancati, Israele ha imposto alla Palestina una realtà di apartheid in un mondo post-apartheid”, ha concluso.

Per aver sostenuto e documentato tutto questo, il professor Lynk è stato tacciato di “antisemitismo” e di essere “pregiudizialmente ostile verso Israele”.

Chissà che ne pensano i due “Mattei”. 

(prima parte)

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