Ancora su Amnesty International e i dispensatori d'infamia

Amnesty International è finita in questo tritacarne mediatico. Del casus belli abbiamo già scritto. Quello su cui vorremmo soffermarci è il la perdita di memoria. E’ come se vivessimo in un eterno presente.

Ancora su Amnesty International e i dispensatori d'infamia
Riccardo Noury
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Agosto 2022 - 17.16


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Mi scuso se torno sulla campagna di odio scatenata contro Amnesty International dopo la pubblicazione del contestato rapporto sull’Ucraina. Se ci torno non è per la stima e l’amicizia che mi legano ad alcuni esponenti di AI – uno tra tutti – Riccardo Noury, l’infaticabile portavoce di Amnesty International Italia -. L’amicizia non c’entra. Penso che sia importante tornarci su per quel senso di verità e di giustizia che dovrebbe valere per tutti. Soprattutto per chi fa comunicazione. Perché? Semplice. Perché le parole pesano come pietre e a volte fanno più male delle pietre.

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Chi fa il mestiere di giornalista dovrebbe conoscere il valore della parola. Sapere che esse vanno maneggiate con cura, con estrema cura. Perché le parole possono ferire, infangare. E questo vale soprattutto oggi, in un tempo marchiato dagli “squadristi della tastiera”, dai produttori seriali di fake news, da quelli che scriverebbero di tutto pur di aumentare i “mi piace”. E allora giù con gli insulti. Ma questo si può anche mettere in conto, sono i tempi, bellezza. Tempi infami, verrebbe da aggiungere. Ma la cosa si fa più grave quando a partecipare al tiro al bersaglio mediatico si aggiungono illustri opinionisti, giornalisti di chiara, e in alcuni casi, meritata fama. Amnesty International è finita in questo tritacarne mediatico. Del casus belli abbiamo già scritto. Quello su cui vorremmo soffermarci è il la perdita di memoria. E’ come se vivessimo in un eterno presente. Ciò che si è fatto, ciò che si è stato, tutto questo scompare. Cancellato.

Così è per Amnesty. Così è stato per l’Anpi. Così per il movimento pacifista che ha “osato” affermare che la guerra non si combatte con un’altra guerra. Che non esiste una guerra giusta ma che deve esistere una pace giusta, per la quale vale la pena battersi, con le “armi” della non violenza, della disobbedienza civile. Ma questo non piace agli estensori delle liste di proscrizione. Non va bene. Perché quello che si esige è una cosa e una cosa soltanto: schierarsi. Dalla parte giusta. Quale? Quella che loro decidono che sia. Quello che pretendono d’imporre è una visione del mondo in bianco e in nero. Come se non esistessero le tante sfumature di grigio .Ecco, sull’Ucraina  abbiamo toccato l’apice di questo schema malato. Tutto è così semplice: da un lato l’aggressore, dall’altro l’aggredito. La parte giusta è stare con quest’ultimo. Senza se e senza ma. Il resto  – le domande, gli approfondimenti, il racconto della realtà in tutte le sue molteplici e contraddittorie sfaccettature – non solo è inutile. E’ dannoso. E chi si esercita in questo è un sodale del macellaio del Cremlino, un complice degli assassini russi. Sarebbe inutile elencare gli innumerevoli rapporti dal campo nei quali Amnesty International ha documentato i crimini di guerra e contro l’umanità di cui si sono macchiati i militari russi. Per questo la sua sezione russa è entrata nel mirino del regime. Ed è un mirino che punta le sue vittime. Per azzittirle, e se s’intestardiscono, farle fuori. Non c’è peggior cieco di chi non vuol guardare. Amnesty ha documentato qualcosa che chiama in causa, ma non sul banco degli imputati, alcune modalità di comportamento dell’esercito ucraino, tali da poter mettere a rischio la vita dei civili. Per questo è colpevole. Per questo va messa alla gogna. E qui torniamo a noi. A noi giornalisti. Ce ne sono di bravi, di coraggiosi, sapete.

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Uno di questi è Nello Scavo, inviato di guerra di Avvenire. Ha scritto un libro bellissimo Kiev (Garzanti). Citiamo un passaggio finale. “Tornato a casa, sapevo di non poter essere felice per quello che avevo lasciato, anche se lo sono per quello che ancora una volta ho ritrovato. Mi ero ripromesso di non stare troppo tempo davanti al televisore. Avrei fato bene a prestare fede a quell’impegno. Da anni in libri e articoli denunciavo la strana alleanza tra Cremlino, trumpisti, sovranisti neofascisti e perfino nostalgici dei soviet, in una coalizione che, al seguito di strani allibratori con la faccia di Steve Bannon negli Usa e Aleksandr Dugin in Russia, ha il solo sinistro interesse di creare il caos e poi candidarsi a governarlo. In comune hanno anche l’astio verso papa Francesco, contro cui tramano da fuori e dentro le Mura Leonine. Ma nella penisola delle tifoserie, basta sollevare un interrogativo per finire arruolati in una squadra o nell’altra. Non è così prosegue Scavo. che capiremo la guerra e non è così che ne usciremo. Qua è là ultras, analisti prêt-à-porter, tuttologi della porta accanto passati da ospitate di cucina all’analisi geopolitica. Ascolto chi invita il popolo ucraino ad arrendersi per non finire straziato. Come se sottoporsi silenziosamente a un despota non sia un po’ come morire. Altri che invece inneggiano alla guerriglia, comodamente da un sofà di casa. Ribadisco a me stesso che sono nient’altro che un giornalista. Non ho alcun diritto di invitare a resistere e neanche quello di chiedere di arrendersi. Il mio dovere è raccontare”. 

Il mio dovere è raccontare. E’ quello che da decenni fa Amnesty International. Ognuno di noi si chiede chi è. Se entra in un gruppo, associazione, movimento, partito, e passa dal “io” al “noi”, si chiede “Chi siamo?”.

Amnesty International risponde così: Siamo un Movimento globale di persone che hanno a cuore i diritti umani e che lavorano insieme per promuoverli e difenderli ovunque nel mondo.

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Siamo indipendenti dai governi, da qualsiasi ideologia politica, interesse economico o credo religioso e ci battiamo ogni giorno per le persone, qualsiasi siano i loro nomi e ovunque si trovino, quando libertà, verità, giustizia e dignità sono negate.

Tutte le nostre azioni sono basate su fatti documentati grazie ai nostri ricercatori sul campo, che verificano e segnalano le violazioni dei diritti umani. Attraverso lapressione sulle istituzioni,lamobilitazione della società civile, i progetti di Educazione ai diritti umani, le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblicae diraccolta firme, diamo voce a chi non ha voce.

Dal 1961, abbiamo contribuito a ridare libertà e dignità a migliaia di persone, salvando 3 vite al giorno.

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Un “chi siamo” a cui AI non ha mai derogato. 

Come?

Ricerca

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“Verifichiamo, documentiamo e segnaliamo le violazioni dei diritti umani nel mondo, grazie alla ricerca: è il punto di partenza del nostro lavoro”

Campagne e azioni

“Mobilitiamo e attiviamo la società civile e le istituzioni in favore dei diritti umani, attraverso appelli, petizioni, raccolte firme, flashmob, attività di educazione nelle scuole e agli adulti. 

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Facciamo pressione attraverso incontri diretti con rappresentanti delle istituzioni, delle ambasciate, delle organizzazioni internazionali per portare avanti le nostre istanze e chiedere un cambiamento”.

Cambiamento

“Contribuiamo a salvare le persone che hanno subito tortura, fermare le esecuzioni, dare voce alle minoranze, liberare dal carcere persone imprigionate ingiustamente, convincere i governi a cambiare le leggi che non rispettano i diritti umani”.

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L’amicizia non c’entra. La stima sì. Perché laddove i diritti umani vengono calpestati, laddove le attiviste e gli attivisti per i diritti umani, avvocate e avvocati, giornaliste e giornalisti, blogger… vengono arrestati, torturati, fatti sparire, Amnesty International c’è. Un testimone scomodo. A chi giova infangarlo? A chi legge la risposta. 

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