Russia, di storico c'è solo il default sul debito
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Russia, di storico c'è solo il default sul debito

La guerra in Ucraina ha riportato la Russia al 1918. E non è un ritorno al passato di cui lo zar del Cremlino possa vantarsi. Il perché è presto detto: la Russia è in default sul suo debito in valuta estera per la prima volta dal 1918

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28 Giugno 2022 - 16.44


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Altro che ritorno ai grandi fasti imperiali. La guerra in Ucraina ha riportato la Russia al 1918. E non è un ritorno al passato di cui lo zar del Cremlino possa vantarsi. Il perché è presto detto: la Russia è in default sul suo debito in valuta estera per la prima volta dal 1918. Lo riporta Bloomberg. Il default (cioè l’insolvibilità per le obbligazioni vendute) è scattato alla scadenza del “periodo di grazia”, su 100 milioni di dollari di obbligazioni non pagate, bloccate a causa delle sanzioni ad ampio raggio, adottate ai danni del Cremlino in risposta all’invasione dell’Ucraina. Il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro – da parte del debitore – ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. 

Indietro di un secolo

A conferma di quanto riportato da Bloomberg, l’agenzia di rating Moody’s ha confermato che la Russia ha fatto default sul debito per la prima volta in un secolo, dopo che i possessori di bond non hanno ricevuto 100 milioni di dollari come pagamento degli interessi. “Ulteriori insolvenze su pagamenti futuri di coupon sono possibili”, aggiunge Moody’s in un comunicato. 

La crisi morde

Molti cittadini russi – rimarca un report di linkiesta.it –  iniziano ad accusare il colpo delle sanzioni. Lo ha raccontato il Financial Times  in un articolo firmato da Polina Ivanova, che segue Russia e Ucraina per il quotidiano britannico: «Le sanzioni e gli embarghi commerciali occidentali stanno lentamente penetrando nell’economia russa, portando chiusure dei negozi e interruzioni delle catene di approvvigionamento». La quotidianità, la vita di tutti i giorni, per le strade delle città russe – spiegano le persone sentite dal quotidiano economico – non sembrerebbe cambiata più di tanto. «Se non accendi il telegiornale, potresti facilmente avere l’impressione che non stia succedendo nulla», dice al Financial Times Tatiana Mikhailov, economista che vive nella capitale russa. Ma è una percezione solamente superficiale: le offerte di lavoro sono praticamente sparite nonostante i dati sulla disoccupazione siano rimasti stabili; la piattaforma di reclutamento online HeadHunter ha rilevato un calo del 28% nel numero di posti di lavoro offerti ad aprile rispetto al mese di febbraio; gli annunci di lavoro in marketing, PR, risorse umane, management e banche sono scesi tra il 40 e il 55%. Anche il numero di persone in congedo – cioè in licenza temporanea dei dipendenti dovuta a esigenze speciali di un’azienda o di un datore di lavoro – è aumentato da 44mila di inizio di marzo a 138mila di metà maggio.

Dal mondo del commercio al dettaglio arrivano altre indicazioni: a Mosca i negozi che vendono anche brand stranieri occupano circa il 40% degli spazi di vendita al dettaglio nei grandi centri commerciali e circa il 15-20% dei locali nei centri commerciali di Mosca sono ora chiusi.

“La mancanza di beni importati sta cambiando le abitudini di consumo dei russi”, si legge sul Financial Times. “È difficile dire esattamente fino a che punto siano diminuite le importazioni, poiché le autorità russe hanno smesso di pubblicare dati. Ma utilizzando invece i dati di 20 dei maggiori partner commerciali della Russia, gli economisti dell’Institute of International Finance hanno stimato che le importazioni ad aprile sono diminuite del 50% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente”.

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Il commercio con il mondo esterno è precipitato, i consumatori ormai sono riluttanti a spendere, anche perché l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità inizia a comprimere i bilanci delle famiglie.

E le prospettive, soprattutto per le aziende russe più piccole, sono piuttosto grigie, pur non avendo tutte le informazioni necessarie perché non ci sono molti dati ufficiali e il Cremlino ha detto alle aziende che non sono più obbligate a riportare i bilanci ufficialmente.

«Pochissime aziende vogliono creare una strategia o pianificare contratti a lungo termine su larga scala in questo momento», ha detto a Reuters  Anastasia Kiseleva, partner di una piccola società di pubbliche relazioni a Mosca. «Le imprese, soprattutto quelle più piccole, saranno impegnate nella pura sopravvivenza, senza sviluppare o creare nulla di nuovo».

Un’indicazione importante arriva dai sulla riscossione dell’Iva sui beni nazionali. Secondo il ministero delle Finanze, le entrate Iva – che riflettono la spesa dei consumatori – sono diminuite del 54% ad aprile rispetto all’anno precedente.

Dopo settimane, mesi di dichiarazioni ottimistiche venerdì scorso il ministro dell’Economia russo, Maxim Reshetnikov, ha affermato che c’è stata una «crisi della domanda» nella spesa delle imprese e dei consumatori.

Queste difficoltà vanno inserite in un contesto reso ancor più complesso dalla guerra. Il Cremlino sta ovviamente foraggiando una campagna militare che eserciterà enormi pressioni sul bilancio: lo stesso ministro delle finanze Anton Siluanov venerdì ha dovuto dichiarare che Mosca ha richiesto «enormi risorse finanziarie per l’operazione militare speciale».

Molti cittadini sono già entrati in “modalità sopravvivenza, in modo molto simile a quanto accaduto circa trent’anni fa, al crollo dell’Unione Sovietica. «Il pieno impatto sulla produzione economica e sui posti di lavoro dal ritiro delle imprese occidentali, dalle case automobilistiche alle banche – si legge ancora su Reuters – deve ancora essere visto. L’impatto vero e proprio delle sanzioni si sentirà ancora più nettamente nei prossimi mesi».

Di grande interesse è anche lo scritto di Luciano Capone su Il Foglio: […]

Un primo segnale importante arriva dal petrolio, che rappresenta la principale voce dell’export russo e la più importante voce nel campo delle entrate del bilancio federale. Mentre l’Unione europea sta discutendo, non senza difficoltà e divisioni sui tempi e sulle modalità per arrivare a un progressivo embargo del petrolio e dei prodotti derivati russi, le attuali sanzioni stanno già producendo un effetto. Il ministero delle Finanze russo ha comunicato che il prezzo medio del petrolio degli Urali nel mese di aprile è stato di 70,5 dollari al barile, solo 8 dollari in più rispetto allo scorso anno. I 70 dollari al barile di aprile sono circa il 20% in meno della media gennaio-aprile (85 dollari), segno di un declino improvviso del prezzo. Vuol dire che già le sanzioni attuali stanno costringendo Mosca a vendere a sconto di 35-40 dollari rispetto al Brent.

All’effetto sul prezzo va aggiunta una riduzione dei volumi, dato che i mercati asiatici non sono in grado di assorbire la riduzione della domanda europea, che porterà a un calo della produzione di 2-3 milioni di barili al giorno. Il ministro delle Finanze Anton Siluanov prevede un calo del 17% della produzione, che la porterebbe al livello più basso da 18 anni. Anche il carbone sta seguendo lo stesso trend: ad aprile le esportazioni sono crollate del 20% (il 9% da inizio anno), a causa del calo degli acquisti in Europa e dell’impossibilità logistica di dirottare le vendite in Asia. Questo ha una ricaduta sulle entrate. Secondo i dati, diffusi ieri, del ministero delle Finanze i ricavi di aprile di gas e petrolio sono stati di 133 miliardi di rubli in meno: secondo le stime preventive l’eccesso dei prezzi energetici rispetto al livello base avrebbe dovuto far fruttare 414 miliardi di rubli ma ne sono entrati nelle casse solo 281 (un terzo in meno).

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Dati negativi arrivano, chiari, anche dal mercato interno. Sempre nel mese di aprile sono crollate di un terzo le vendite di automobilirispetto al mese di marzo, che già era stato disastroso. Nel settore automobilistico si è fermata la domanda, vista la situazione di crisi, ma si è arrestata anche l’offerta visto che a causa delle sanzioni l’industria ha dovuto bloccare la produzione per mancanza di componenti occidentali. Nel settore dell’abbigliamento, anche per via della chiusura delle grandi catene internazionali,le vendite si sono ridotte del 25%. Questo, inevitabilmente, porterà a un aumento della disoccupazione che si manifesterà nei mesi estivi.

Il Cremlino sta preparando un budget, il nostro Def, prevedendo un -10% del pil, il più grande crollo degli ultimi 28 anni. Ma potrebbe essere una stima ottimistica, anche perché non tiene conto delle nuove sanzioni sul petrolio. Secondo le stime di diversi economisti e istituzioni internazionali, laRussia potrebbe perdere quest’anno anche il 15% del pil. Non si tratta di una forte recessione, ma della crisi più profonda degli ultimi 30 anni per la Russia, molto più simile alla crisi”, rimarca Capone.

Prezzi più alti e scaffali meno pieni

La corsa dell’inflazione russa, poi, sarebbe il segno di una possibile contrazione dell’offerta interna. Decine e decine di multinazionali hanno chiuso battenti, uscendo dal mercato russo. Da Starbucks a McDonald’s, da Renault a Coco Chanel, l’addio (o l’arrivederci per qualcuno) significa una cosa: c’è meno disponibilità di prodotti sul mercato e questo starebbe innalzando i prezzi al consumo. E se la fuga dei marchi del lusso colpisce solamente la fetta più benestante della popolazione, la chiusura di stabilimenti e catene di negozi più popolari crea danni a tutti. Non solo si alzano i prezzi, ma si abbassano gli standard di vita.

Immaginate se domattina le aziende del resto d’Europa e americane smettessero di venderci i loro prodotti. I negozi resterebbero a corto di telefoni, PC, tablet, non troveremmo più sufficienti auto da acquistare, diverrebbe impossibile persino vestire un paio di jeans o pagare con bancomat o carta di credito. I marchi rimanenti ne approfitterebbero per alzare i prezzi, mentre inizieremmo a subire i contraccolpi della minore offerta anche in termini qualitativi. Non facciamoci ingannare dal super rublo. La vita per i russi si è fatta più maledettamente complicata con la guerra”.

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Le “confessioni” di un oligarca

A darne conto è askanews. “Le sanzioni possono sembrare ingiuste quanto vuoi, con elementi di responsabilità collettiva se vuoi, ma la perdita di vite umane e la distruzione delle città andrà fermata con ogni mezzo disponibile” ha detto il proprietario della NLMK Vladimir Lisin, che ha parlato per la prima volta a Kommersant (quotidiano molto vicino al Cremlino) dell’attuale situazione economica, definendola molto difficile e invitando il governo a non peggiorarla con una regolamentazione mal concepita. Parole che appaiono estremamente critiche, benché espresse con grande delicatezza. “Le catene di approvvigionamento – dice – che si sono formate negli anni vengono distrutte, la logistica, i pagamenti e le infrastrutture finanziarie stanno fallendo” dice Lisin. “E in questo contesto, le regole del gioco cambiano ogni giorno, compaiono nuove restrizioni. In condizioni di elevata incertezza, stiamo cambiando i processi aziendali, cercando di adempiere ai nostri obblighi sociali”.

Le agenzie di rating internazionale hanno declassato ormai da settimane il rating sovrano della Russia a livello pre default e Fitch ha già affermato che un default sarà inevitabile. La stessa parola “default” fa sì che i russi associno immediatamente l’attuale periodo all’agosto 1998 quando il crollo del rublo, il crollo del sistema bancario e la perdita dei risparmi per tutti i russi ebbe luogo e si trasformò in un trauma collettivo. Ma l’analogia è poco applicabile al 2022 mentre gli spettri di oggi fanno ancora più paura di quelli di ieri.

Quello che sta accadendo nell’economia russa va chiaramente oltre una semplice crisi: il governo russo si è dimostrato molto attivo nel trovare soluzioni, ma la fretta è cattiva consigliera. E secondo Lisin alcune iniziative legislative nella Federazione Russa destano preoccupazione. “Ovviamente, molte misure vengono adottate rapidamente ora, ma le loro conseguenze non sono state completamente analizzate. Mi sembra che la velocità debba lasciare il posto alla precisione, all’adeguatezza, affinché le conseguenze non si rivelino devastanti per l’industria nazionale, che dà lavoro a milioni di persone”, aggiunge.

Tra queste iniziative, il miliardario nomina l’ampliamento dell’elenco delle merci di esportazione che dovrebbero essere vendute in rubli. Il 31 marzo Vladimir Putin ha firmato un decreto sulla necessità di pagare in rubli le forniture dai gasdotti ai “Paesi ostili”. Il presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin ha proposto di vendere così anche altri beni, compresi i metalli. “Combattiamo da decenni per i mercati di esportazione dove nessuno ci aspetta” replica Lisin. “Costruisci relazioni con migliaia di clienti in 70 paesi. È difficile immaginare cosa possa convincere i nostri acquirenti a passare ai pagamenti in rubli, assumendosi i rischi valutari”.

Considerazioni significative, perché vengono da dentro il sistema di potere putiniano. 

Siamo ormai ben oltre gli scricchiolii. E un’autocrazia come quella che ha al suo centro, come un monarca assoluto, Vladimir Putin non può reggersi, alla lunga, soltanto sulla  forza, sul controllo ferreo dei mezzi di comunicazione. E sul richiamo ai miti del nazionalismo zarista e al richiamo della Madre Terra Russia.

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