Ecco a voi Vladimir Vladimirovic Putin il Grande, imperatore di tutte le Russie amico dei neo-fascisti
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Ecco a voi Vladimir Vladimirovic Putin il Grande, imperatore di tutte le Russie amico dei neo-fascisti

Altro che la Grande Guerra Patriottica. Altro che la denazificazione dell’Ucraina, tra l'altro da parte di un personaggio che ha appoggiato l'estrema destra neo-fascista e post-nazista di mezzo mondo

Ecco a voi Vladimir Vladimirovic Putin il Grande, imperatore di tutte le Russie amico dei neo-fascisti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Giugno 2022 - 17.35


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Signori e signori, ecco a voi Vladimir Vladimirovic il Grande, imperatore di tutte le Russie. 

Altro che la Grande Guerra Patriottica. Altro che la denazificazione dell’Ucraina, tra l’altro da parte di un personaggio che ha appoggiato l’estrema destra neo-fascista e post-nazista di mezzo mondo. Altro che la ricostruzione di una Unione Sovietica 2.0. Se Globalist lo ha definito da tempo “Zar” e non Presidente, un motivo c’era. Ed è Putin stesso a corroborarlo

Vladimir il Grande

La notizia ha fatto il giro del mondo. Nel 350° anniversario della nascita di Pietro I, detto il Grande, il presidente russo  ha tracciato un inquietante parallelismo. “È incredibile, ma non è cambiato quasi nulla”, ha detto dopo aver inaugurato presso il centro espositivo Vdnkh una mostra sull’uomo che regnò, prima come zar, e poi come imperatore, per 43 anni fino alla morte nel 1725 e che diede il suo nome a una nuova capitale, San Pietroburgo, città natale di Putin, che fece costruire sulla terra che aveva strappato alla Svezia.

“Pietro il Grande ha guidato la Grande Guerra del Nord per 21 anni. Sembrava stesse togliendo qualcosa alla Svezia. Non le stava togliendo nulla. Stava riprendendo il controllo”, ha detto il leader del Cremlino incontrando un gruppo di giovani imprenditori. “Quando fondò una nuova capitale, nessuno dei Paesi europei riconobbe questo territorio come appartenente alla Russia. Tutti lo consideravano parte della Svezia. Ma da tempo immemorabile, gli slavi vi abitavano insieme ai popoli ugro-finnici. Stava riprendendo (quello che apparteneva alla Russia) e rafforzando (il Paese)”.

Tre contributi preziosi

Scrive Lanfranco Caminiti su Il Dubbio:”La storia sta davvero finendo e Putin è the last man standing – come recitava il famoso libro di Fukuyama? Riscrive in diretta la storia comunista dell’Unione sovietica, magari per dirci che sì, l’umanità ha come meta la democrazia liberale, abbandonando per strada monarchie, oligarchie, dittature, teocrazie, et voilà anche la Russia ci è arrivata? Non era questo, il sogno alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Unione sovietica? Non era questo, il sogno di Gorbaciov? Macché. Putin riavvolge il nastro della storia: «Da tempo immemorabile, le persone che vivono nel sud- ovest di quella che storicamente è stata terra russa si definivano essi stessi russi e cristiani ortodossi. Questo era il caso prima del XVII secolo, quando una parte di questo territorio si unì allo stato russo, e dopo».

Siamo, storicamente dalle parti di Ivan IV Vasil’evic, Ivan il Terribile, primo zar di tutte le Russie, e di Pietro Alekseevic Romanov, Pietro il Grande, primo imperatore di Russia. Ma non manca nemmeno Caterina: «Nel 2021, il cantiere navale del Mar Nero a Nikolayev ha cessato l’attività. I suoi primi approdi risalgono a Caterina la Grande». Eccolo, il Pantheon di Vladimir Vladimirovic Putin: Ivan, Pietro e Caterina.

Niente bolscevichi – persino il trattato di Brest- Litovsk che Lenin volle a tutti i costi con la Germania per finire una guerra che troppi morti russi aveva provocato, viene criticato: «umiliante», viene definito. Cancellati dalla storia, ma non come faceva Stalin, che li sbianchettava dalle foto, man mano che i suoi vecchi compagni cadevano nella Grande Purga degli anni Trenta. No no, in diretta tv, sotto gli occhi del mondo. Perché Putin ha bisogno di mettere sotto accusa la Rivoluzione russa del ’ 17 – quella che ha sostanzialmente creato l’Unione sovietica moderna? Perché egli critica il principio di “stato confederativo” – l’eccessiva autonomia che venne concessa dai bolscevichi alle multiple nazionalità che componevano l’ex impero russo che, va ricordato, copre un ottavo della superficie terrestre e ha undici fusi orari.

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È lì, in quella costituzione che sta il male che è venuto dopo. «Quando si tratta del destino storico della Russia e dei suoi popoli, i principi di sviluppo statale di Lenin non erano solo un errore; erano peggio di un errore, come si suol dire. Questo è diventato palesemente chiaro dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991».Insomma: è colpa di Lenin se la Russia si è sciolta come neve al sole.

Ma la critica si sposta su un piano “teorico” e morale, contro la corruzione invalsa in Ucraina per colpa dell’Occidente e contro la sua supposta “civilizzazione”: «Questa situazione pone la domanda: povertà, mancanza di opportunità e potenziale industriale e tecnologico perduto: è questa la scelta della “civilizzazione” filo- occidentale che usano da molti anni per ingannare milioni di persone con promesse di pascoli celesti?». La Russia non sa che farsene della democrazia liberale, non sa che farsene del bolscevismo, non sa che farsene del confederalismo: la Russia è un impero. «Da tempo immemorabile» è così, il resto sono frattaglie della storia. Abbiamo uno zar e un imperatore di tutte le Russie, nuovo di zecca: Vladimir Vladimirovic il Grande”.

Così Caminiti

Lo “Zar di Kiev”

Altrettanto prezioso è il contributo di Francesco D’Agostino. Che su Avvenire annota: “Pochi hanno rilevato che Nicola II, l’ultimo imperatore russo, tra i suoi numerosi titoli, aveva anche quello di «Zar di Kiev». E non arriveremo mai a cogliere fino in fondo le ragioni profonde dell’odierno conflitto tra Ucraina e Russia se non saremo in grado di distinguere il carattere nazionale dell’Ucraina, che si è potentemente rafforzato in questi tragici e sanguinosi anni di guerra, e il carattere non nazionale di quella entità politica che chiamiamo Russia (e che un tempo si era soliti distinguere in Russia ‘bianca’, ‘nera’, ‘rossa’ ecc.). 

Alla radice della Russia non c’è infatti il senso di appartenenza a una identità particolare (quale quello che caratterizza, oltre all’Ucraina, la Slovacchia, la Polonia e tante altre nazioni come ad esempio quelle balcaniche), ma il senso di reverenza verso un potere sovrano, la cui essenza si condensa perfettamente appunto nella parola Zar (che deriva, come è noto, dal latino Caesar, per alludere a un potere carismatico, prima ancora che giuridico e/o dinastico). 

Quando Pietro il grande, «Zar di tutte le Russie», decise di dare al suo regime una consistenza continentale, decise di adottare per se stesso e per i suoi discendenti il titolo di Imperatore e di qualificare il proprio dominio come un Impero. Si noti però che nel- le intenzioni di Pietro la qualifica di Zar e quella di Imperatore dovevano restare affiancate e nessuna delle due poteva pretendere di assorbire o di escludere l’altra. Chi visita Mosca e in particolare il grande museo storico che si affaccia sulla Piazza Rossa (che, com’è noto, è denominata ‘rossa’ , non per riferimenti politici, ma solo perché in russo il rosso è, per definizione, ‘bello’), apprende subito, dalle sintetiche ma chiare ed efficaci didascalie che accompagnano e illustrano le singole opere esposte, la differenza tra l’identità zarista e quella imperiale. 

Pietro il grande esercitava come Zar il suo potere sui suoi sudditi slavi: un potere che essi non avevano alcuna difficoltà a riconoscere e venerare, al punto che erano più che pronti a sacrificare per esso la loro stessa vita – chi ama la musica russa conoscerà senz’altro quel capolavoro che è Una vita per lo Zar di Glinka. Come Imperatore, invece, Pietro il grande si rivolgeva ai popoli asiatici che aveva sconfitto e sottomesso e ai popoli europei, che non avevano mai conosciuto un potere zarista, ma che da secoli ben si erano adattati a riconoscere, sia pure con qualche variante, le diverse forme di potere imperiale che si erano presentate sul loro suolo. In sintesi, la finalità del potere zarista non era tanto quella di creare un sentimento nazionale russo (che in sé e per sé non è mai esistito), ma un efficace sistema di potere e di governo autoritario. Il che è esattamente quello che sta facendo (o sta cercando di fare) adesso Vladimir Putin. 

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Coloro che amano la democrazia diffidano del potere e cercano di limitarlo in tutti i modi possibili, convinti come sono che nel suo principio stesso è insito, per dir così, un malefico virus, che fa del potere e della guerra quasi le due facce di una stessa medaglia. Chi ama onestamente il potere (non sperando cioè di trarne un tornaconto personale) ritiene che esso invece sia una cosa buona e debba estendersi il più possibile, perché nel potere è da vedere l’ordine e, al limite, la stessa possibilità dell’amministrazione della giustizia. 

Possiamo anche meravigliarci del consenso che Putin riscuote tra la popolazione che è chiamato a governare, ma non dobbiamo mai dimenticarci che non si tratta di un consenso ingenuo o politicamente manipolato, ma di un consenso che ha radici storiche e ideologiche sue proprie, anche al di là dei confini della cultura europea in senso stretto. 

Se vogliamo intervenire su questo consenso (ammesso che sia lecito farlo, e che possiamo farlo efficacemente) dobbiamo mettere in conto un serrato e anche severo confronto con questa cultura. La democrazia è una parola magica e non dobbiamo mai dimenticarcene; così come, però, non dobbiamo mai dimenticarci che la difesa della democrazia, e prima ancora la sua custodia, è cosa ben difficile, e richiede lungimiranza per non costare – ne siamo tutti testimoni – tante lacrime e tanto sangue”.

I “cattivi della storia” riabilitati

Di Russia, Anna Zafesova ne sa come pochi altri analisti in circolazione. Ecco cosa scriveva, in un pezzo per La Stampa, il 26 maggio 2015: “Erano i cattivi della storia: Denikin, Kolchak e compagnia. I “bianchi”, i nemici della rivoluzione, fedeli allo zar, massacratori e traditori nei manuali scolastici e nell’immaginario della nazione. Ora, con l’installazione della lapide in ricordo del generale Mikhail Drozdovsky, sull’ospedale a Rostov-sul-Don dove era morto, si apre una nuova epoca, e in cantiere ci sono lapidi per l’ammiraglio Kolchak, il generale Denikin e Denisov. È una rivoluzione nel passato imprevedibile della Russia, con i nomi delle persone che figuravano sulle mappe della guerra civile accanto alle frecce in blu (quelle rosse erano ovviamente dei “buoni”, i bolscevichi) incisi nel marmo come gli eroi, patrioti che avevano combattuto valorosamente nella prima guerra mondiale, con un velo di silenzio sulla parte che avevano scelto invece nella guerra civile. 

I manuali di storia sono di nuovo da riscrivere, per volere di Vladimir Putin che nel 2012 ha deciso di reintrodurre nella memoria dei russi la prima guerra mondiale. Una “grande guerra”, “cancellata immeritatamente dalla nostra memoria storica per motivi ideologici e politici”, ha detto il presidente russo, molto impegnato dopo il suo terzo ritorno al Cremlino a costruire i “pilastri spirituali” della nazione. In effetti, la prima guerra mondiale per i russi è praticamente inesistente. Per decenni gli è stata insegnata come la guerra imperialista dello zar, al massimo un preludio alla rivoluzione del 1917. I papaveri, i memoriali in ogni città, i giorni della memoria come in molti Paesi europei, non fanno parte del sentire russo, così come lo shock della “generazione perduta” per la crudeltà del primo grande tritacarne del ’900. 

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Per i russi la “Grande” guerra è la seconda, per la precisione solo quella sua parte, dal 1941 al 1945, che riguarda il loro scontro con Hitler, è quello il ricordo del dolore e della gloria, della paura e del sacrificio. La prima guerra mondiale è praticamente inesistente nel ricordo, anche perché fu un disastro, che la Russia pagò con un milione e mezzo di vite umane, perdita di territori e fine dell’impero, con i protagonisti del conflitto che si lanciavano in un conflitto fratricida tra “rossi” e “bianchi”. 

Ora viene recuperata con 100 anni di ritardo: oltre alle lapidi ai protagonisti, viene introdotta la “Giornata della memoria”, il 1 agosto, data nella quale alla Collina degli Inchini di Mosca – luogo storico della guerra contro Napoleone del 1812 e parco monumentale finora dedicato esclusivamente alla vittoria sui nazisti del 1945 – verrà inaugurato il primo monumento ai caduti del 1914-18. Un recupero di un pezzo di storia perduta che si colloca in un caos di lapidi e statue: nel dicembre scorso è stata rimessa al suo posto la targa sul palazzo dove abitava Leonid Brezhnev, sul palazzo del Kutuzovsky prospekt 26, tolta negli anni 90. Stanno per tornare al loro posto le targhe di Cernenko, Krusciov e tutti gli altri big della storia sovietica, promossi con entusiasmo dal capo del dipartimento della cultura di Mosca Serghei Kapkov, idolo dei giovani alla moda della capitale in quanto ideatore di una serie di progetti “cool”. 

Per qualcuno è il segno di un tentativo di riconciliazione nazionale di un Paese rimasto per troppo tempo spaccato, un modo per recuperare la storia senza più censure, imbarcando buoni e cattivi. Per altri la “riabilitazione” degli eroi monarchici è funzionale al nuovo corso di Putin: patrioti fedeli allo zar, conservatori con un occhio al panslavismo e alla santità ortodossa, difensori di un impero in disfacimento. Nel 2014 arriverà nelle scuole russe il nuovo manuale di storia “unico” voluto dal presidente, che smorza sia i meriti della rivoluzione di Lenin che i crimini di Stalin, mentre la tv di Stato continua a produrre fiction patinate sul passato sovietico, e il comune di Mosca intitola una via a Hugo Chavez. Gli eroi anti-comunisti andranno ad affiancarsi nel pantheon dei bronzi ai numerosi Lenin che abitano le piazze di ogni città russa, in una confusione totale dove ciascuno alla fine sarà libero di scegliersi i santi, i poeti e i condottieri da omaggiare”. 

E il primo tra tutti è Pietro il Grande. Da “imitare”, emulare. E far rivivere. Nel XXI°secolo.

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