Così nel Kazakistan la rivolta si è internazionalizzata
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Così nel Kazakistan la rivolta si è internazionalizzata

Supermercati, banche e ristoranti chiusi, la polizia che presidia i punti nevralgici, le truppe russe che controllano l'aeroporto.

Così nel Kazakistan la rivolta si è internazionalizzata
Rivolta nel Kazakistan
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8 Gennaio 2022 - 13.07


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Supermercati, banche e ristoranti chiusi, la polizia che presidia i punti nevralgici, le truppe russe che controllano l’aeroporto.

Una cappa di silenzio e di tensione pesa su Almaty, teatro delle peggiori violenze dei giorni scorsi in Kazakistan.

Paese isolato

Scontri, arresti, violenze. Nonostante le richieste della comunità internazionale in Kazikistan il presidente Kassym-Jomart Tokayev, non arretra dalla linea dura contro i dissidenti. “L’ordine è ristabilito”, nelle parole del presidente Kassym-Jomart Tokayev, sebbene al prezzo di decine di vittime. Ma ancora non basta: “banditi e terroristi”, afferma il capo dello Stato rivolgendosi alla nazione con un discorso televisivo, non si sono ancora completamente arresi, e quindi lui stesso ha dato alle forze di sicurezza l’ordine di “sparare senza preavviso per uccidere”. La leadership kazaka, intanto, serra i ranghi con gli amici del fronte anti-occidentale, che le garantiscono il loro pieno appoggio. Uno “speciale ringraziamento” lo riserva al presidente russo Vladimir Putin, che ha immediatamente risposto al suo appello di inviare le forze di Mosca insieme a quelle degli altri Paesi riuniti nel Trattato di difesa collettiva (Csto), cioè Armenia, Bielorussia, Tagikistan e Kirghizistan, oltre allo stesso Kazakhstan. Ben nove aerei Ilyushin sono arrivati all’aeroporto di Almaty per trasportarvi soldati e mezzi militari russi. Mentre il presidente cinese Xi Jinping invia a Tokayev un messaggio di elogio per le “misure forti” da lui adottate, che hanno consentito di stroncare quella che ha definito una “rivoluzione colorata” delle “forze straniere”. Da Pechino, assicura Xi, arriverà all’uomo forte del Kazakhstan tutto “il necessario sostegno”. Ora che il peggio della crisi sembra superato, il presidente kazako ha invece parole dure verso l’altro fronte, quello dei Paesi occidentali, che lo avevano invitato ad aprire un dialogo con gli oppositori per mettere fine alle violenze. “Che sciocchezza! – sbuffa dagli schermi della tv -. Come si può negoziare con criminali e assassini?”. Secondo Tokayev, infatti, i disordini sono stati provocati da “20.000 banditi” che hanno preso d’assalto Almaty.

“Abbiamo avuto a che fare con criminali armati e addestrati, sia locali che stranieri. Pertanto, devono essere distrutti”, taglia corto Tokayev. Ma il presidente ne ha anche per i media e le organizzazioni per i diritti umani, “demagoghi irresponsabili” lontani dal sentire del popolo kazako, che a suo dire hanno avuto “un ruolo istigatore alle violazioni della legge e dell’ordine”. Mentre Internet comincia a essere riattivato in alcune regioni del Paese, e il presidente promette di revocare lo stato d’emergenza nelle aree in cui la situazione sarà tornata alla calma, il Kazakhstan comincia a fare i conti con le conseguenze di questi cinque giorni di violenze. Secondo le autorità sono stati uccisi 26 di quelli che definiscono “criminali” e 18 membri delle forze dell’ordine, di cui due sarebbero stati decapitati. Oltre 3.800 gli arresti e non meno di 400 i feriti ricoverati negli ospedali. Il tutto provocato da uno scoppio di rabbia popolare innescato da un’improvvisa impennata dei prezzi del Gpl, ma che non sembra tradursi in una reale minaccia per il regime a causa della mancanza di un’opposizione organizzata. Un ruolo rivendicato in un’intervista alla Reuters – non è chiaro con quale reale autorità – dall’ex oligarca Mukhtar Ablyazov, accusato in patria e in Russia di reati finanziari ma che vive in Francia con lo status di rifugiato politico. Abliyazov, tra l’altro, è il marito di Alma Shalabayeva, espulsa nel 2013 dall’Italia insieme con la figlia Alua verso il Kazakistan. Solo dopo alcuni mesi a madre e figlia fu consentito di lasciare il Paese asiatico per fare ritorno appunto in Italia.

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Arresti “eccellenti”

Secondo quanto riferito da un comunicato del Knb, il Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan, l’ex capo dei servizi di sicurezza kazaki ed ex premier Karim Masimov, è stato arrestato per alto tradimento.. Fedelissimo dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev, Masimov era stato sollevato due giorni fa dalla carica, che manteneva dal 2016, dal presidente Tokayev.

La testata online kazaka Orda.kz ieri aveva riportato la notizia dell’arresto di Samat Abish, numero due dei servizi di sicurezza kazaki (Knb) e nipote di Nazarbayev. Il sito internet aveva successivamente smentito la notizia, sostenendo che la fonte fosse errata. Ieri un ex consigliere di Nazarbayev, Yermukhamet Yertysbayev, è apparso in televisione e ha affermato che 40 minuti prima dell’assalto all’aeroporto di Almaty fosse stato detto alle forze di sicurezza di rimuovere il cordone e allontanarsi. Secondo Yertysbayev, i cospiratori hanno anche favorito l’occupazione del comando della Sicurezza Nazionale ad Almaty.    

L’ex consigliere di Nazarbayev ha inoltre affermato che i rivoltosi sapessero dove trovare armi e fossero stati “preparati dal punto di vista ideologico”. Yertysbayev ha inoltre accusato il Knb di aver nascosto informazioni su campi di addestramento per miliziani allestiti nelle regioni montagnose del Paese. Tutte accuse delle quali sarà ora chiamato a rispondere Masimov.

Intanto secondo quanto riferito dal suo addetto stampa l’ex presidente Nazarbayev si trova nella capitale kazaka, e appoggia il governo della repressione sollecitando il sostegno popolare. Vengono smentite così le voci di un suo allontanamento dal Paese. Il suo portavoce Aidos Ukibay ha dichiarato su Twitter che Nazarbayev sarebbe in “contatto diretto” con il presidente Tokayevche Nazarbayev stesso ha scelto come suo successore dopo le dimissioni nel 2019.

Durante le manifestazioni degli scorsi giorni alcuni manifestanti, nella cittadina di Taldykorgan, erano riusciti ad utilizzare un camion dell’esercito per abbattere la statua di Nazerbayev in segno di rivolta verso il regime,

Dall’estero  ha parlato anche l’ex capo della Banca Bta, Mukhtar Ablyazov, marito di Alma Shalabayeva, che si è definito il leader dell’opposizione e del movimento di protesta: “I manifestanti di Almaty chiedono ogni giorno come comportarsi”, ha dichiarato prima di dirsi pronto a tornare in Kazakistan per guidare un “governo ad interim” se la protesta “raggiungerà la giusta portata”.

Mentre i militari di Russia, Bielorussia, Tagikistan e Armenia che fanno parte del blocco del Csto sono già nel Paese, è importante notare le varie reazioni a livello internazionale, soprattutto da parte dei Paesi più interessati al futuro dell’ex Repubblica sovietica dell’Asia centrale. L’agenzia Ria Novosti ha riferito che le truppe rimarranno in Kazakistan per diversi giorni o settimane, con compiti di peacekeeping e a protezione delle installazioni militari.

Le reazioni da mondo

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Il Dipartimento di Stato degli Usa, si legge nel suo sito,  “ha approvato la partenza volontaria dal Kazakistan dei dipendenti non di emergenza del Consolato generale di Almaty e dei loro familiari”.  “Possono verificarsi manifestazioni, proteste e scioperi. – si legge nella nota sul sito web.- Questi eventi possono svilupparsi rapidamente e senza preavviso, interrompendo spesso il traffico, i trasporti, le comunicazioni e altri servizi; tali eventi possono diventare violenti. I cittadini statunitensi in Kazakistan dovrebbero essere consapevoli del fatto che le proteste violente possono avere un grave impatto sulla capacità dell’Ambasciata degli Stati Uniti di fornire servizi consolari, inclusa l’assistenza agli Stati Uniti in partenza dal Kazakistan”.

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al termine della riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica ha chiesto la fine delle violenze. “I diritti umani – ha affermato – devono essere rispettati e ciò include libertà d’espressione e manifestazioni pacifiche”.

L’Unione europea, con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e l’Alto rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell, continua a invitare alla de-escalation. “Ho ricevuto un aggiornamento sulla situazione in una chiamata con il ministro degli Esteri del Kazakistan, Mukhtar Tileuberdi. Ho espresso la disponibilità dell’Ue a sostenere la stabilità e la riduzione delle tensioni. Continueremo a monitorare da vicino la situazione. È importante che i diritti e la sicurezza dei civili siano garantiti”, ha dichiarato Borrell.

Mentre la Cina, vicino interessato del Kazakistan, si complimenta col presidente Tokayev che, sostiene Xi Jinping, ha preso “decisioni efficaci e decisive in un momento critico” riuscendo a “calmare velocemente la situazione”. Lo ha detto in un messaggio inviato al suo omologo kazako, dicendo che ha dimostrato “senso di responsabilità come statista” e si è dimostrato altamente responsabile rispetto al suo popolo e il suo Paese.

Un gigante imprigionato

Il Kazakistan è la più grande delle Nazioni nate dalle ceneri dell’Unione Sovietica – Russia esclusa – l’ultima ad aver dichiarato l’indipendenza dal suo scioglimento, il 16 dicembre 1991. Si trova in Asia Centrale ma la parte più occidentale, al di là del fiume Ural, fa parte geograficamente dell’Europa. 

La sua estensione davvero notevole ne fa il 9 Paese al mondo per dimensioni, più di 2,7 milioni di km2, oltre ad essere il più grande Stato del mondo senza accesso al mare in quanto il Mar Caspio è considerato un lago. A Nord e Ovest confina con la Russia, ad Est con la Cina, a Sud con Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan. 

Storicamente abitato da gruppi e imperi nomadi – in successione sciti, popoli dell’Impero persiano achemenide, turchi, mongoli dell’impero di Gengis Khan, kazaki e russi – il Kazakistan è ancora oggi un mosaico di etnie, a maggioranza musulmana – 70,4%, per lo più sunnita – ma con una significativa minoranza russa. Il 24,8% dei suoi circa 18,7 milioni di abitanti è cristiano, in maggioranza ortodossi. 

La sua storia degli ultimi 30 anni è legata a doppio filo a quella del suo ex presidente, il “padre della nazione” Nursultan Nazarbayev, che ha persino dato il suo nome alla capitale, già Astana fino al 2019. Modernizzatore autoritario, ha garantito al Paese pace e stabilità tra le diverse etnie oltre ad averlo trasformato in una potenza energetica. In effetti il Kazakistan possiede sterminate risorse minerarie – il 60% di quelle dell’ex Unione Sovietica – tra cui ferro (bacino Kustanaj, Nord-Ovest), carbone (Karaganda e Ekibastuz), petrolio, metano e diversi metalli usati nell’elettronica, nell’ingegneria nucleare e nella missilistica. Risorse che ne fanno la prima economia dell’Asia centrale, nonchè il più importante produttore ed esportatore di petrolio nell’ambito della Comunità di Stati indipendenti (CSI). 

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Il Paese ospita anche il 20% delle terre coltivate dell’ex Urss, ovvero un immenso campo di frumento in grado di produrre un terzo del totale dell’ex blocco sovietico. Nelle aree coltivate del Sud crescono frutta, ortaggi, tabacco, riso, canapa e cotone mentre le aree più asciutte della sua sterminata steppa vengono usate per il pascolo stagionale di pecore, mucche, cavalli e cammelli. Infine piantagioni di oppio – legale fino al 1991 – sono presenti in diverse parti del Kazakistan, prima destinate alla produzione di medicinali oppiacei, oltre a quelle di cannabis, soprattutto nel centrosud dello Stato (sulla carta il programma governativo contro il narcotraffico è cominciato nel 1993, non senza difficoltà di attuazione). 

L’ex presidente Nazarbayev è stato inoltre capace di tenere un equilibro geopolitico e strategico invidiabile: da una parte l’alleanza con la Russia di Vladimir Putin, dall’altra la continua mediazione, anche economica, con la Cina, e questo senza perdere mai di vista il dialogo con l’Occidente. Una linea di politica estera che ha permesso al Kazakistan di essere il Paese ospitante per i negoziati sulla crisi ucraina, quelli sull’Iran e per i colloqui internazionali sulla Siria. 

L’emblema della crescita economica sostenuta trainata dal ricco settore energetico – almeno fino al 2014 – è stata la capitale Astana, trasformata da una sonnecchiante città di provincia in una luccicante metropoli con edifici ultramoderni progettati da architetti di fama mondiale.  Oggi la capitale ribattezzata Nur-Sultan è il simbolo di un potere che promette di andare ben oltre il nuovo millennio, nonostante le recenti proteste popolari sintomatiche del crescente malcontento socio-economico a partire dal 2019. Gestita con autoritarismo, la repubblica presidenziale del Kazakistan è uno Stato mono-partitico – il Nur Otan, di cui Nazarbayev è il leader – nel quale raramente la popolazione ha apertamente criticato il regime. A scendere in piazza due anni fa sono state le donne kazake, manifestando a favore di maggiori sostegni alle famiglie e migliori condizioni abitative.

Conseguenza diretta di una crescita economica che negli ultimi anni ha subito numerose battute d’arresto, figlia del crollo del prezzo del petrolio nel 2014. Come già successo nel 2019, ora è il governo del presidente Kassym Jomart Tokayev ad essere accusato di incapacità di migliorare gli standard di vita e di non riuscire a rendere il Paese un po’ più indipendente dal petrolio e dal gas.

Una cosa è certa: l’intervento di 2.500 membri delle forze di pace del Csto (ha trasformato le rivolte in Kazakistan ancor più in un affare che coinvolge le grandi potenze mondiali, su tutte Russia e Cina. 

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