In Kazakistan la "rivolta del gas" che infiamma il "protettorato" della Russia di Putin
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In Kazakistan la "rivolta del gas" che infiamma il "protettorato" della Russia di Putin

La “rivolta del gas” si trasforma in guerriglia civile. Repressa nel sangue. Decine di manifestanti" sono stati uccisi dalla polizia in Kazakistan durante la notte, mentre sono continuate le proteste violente in tutto il Paese

In Kazakistan la "rivolta del gas" che infiamma il "protettorato" della Russia di Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Gennaio 2022 - 17.48


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La “rivolta del gas” si trasforma in guerriglia civile. Repressa nel sangue. Decine di manifestanti” sono stati uccisi dalla polizia in Kazakistan durante la notte, mentre sono continuate le proteste violente in tutto il Paese. Lo annuncia la stessa polizia kazaka. “La scorsa notte le forze estremiste hanno tentato di prendere d’assalto gli edifici amministrativi e il dipartimento di polizia di Almaty, oltre a dipartimenti e posti di polizia locali”, ha dichiarato un portavoce della polizia.

“Decine di assalitori sono stati eliminati e le loro identità sono in corso di accertamento”, ha dichiarato il portavoce della polizia della repubblica centroasiatica ex sovietica, Saltanat Azirbek, che ha definito la loro uccisione una “operazione antiterrorismo” .Secondo il ministero dell’Interno kazako, citato dai media locali, almeno 12 membri delle forze dell’ordine sono rimasti uccisi negli scontri e altri 353 feriti. Uno sarebbe stato decapitato. Immagini diffuse sui media e sui social locali mostrano negozi saccheggiati e alcuni edifici amministrativi presi d’assalto e dati alle fiamme. Un bilancio da guerra civile. Destinato a crescere col passare delle ore.

 Intanto la Russia e i Paesi facenti parte della Csto (Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva, che raggruppa sei ex stati sovietici) hanno inviato una “forza di pace” in Kazakhstan. Lo ha annunciato su Facebook il presidente dell’alleanza, il premier armeno Nikol Pashinyan, spiegando che saranno inviate “forze di pace collettive” per un “tempo limitato per stabilizzare e normalizzare la situazione nel Paese” causata da “interferenze esterne”. La richiesta di aiuto ai Paesi alleati era giunta dal presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev che si era rivolto direttamente al presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.

I militari russi stanno venendo trasportati in Kazakhstan per via aerea e il contingente già atterrato ha avviato le operazioni.

L’esplosione di violenza per le strade dell’ex Repubblica sovietica dell’Asia Centrale ha reso necessaria la dichiarazione dello stato d’emergenza ad Almaty, la città più grande del Paese e sua capitale finanziaria situata nella regione di Mangystau, ricca di petrolio, e nella capitale amministrativa Nur-Sultan. Qui le proteste sono state più violente, con la polizia che ha sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla. Il provvedimento resterà in vigore dal 5 al 19 gennaio, secondo quanto riportato dal sito presidenziale, e prevede anche il coprifuoco dalle 23 alle 7. Tokayev in giornata si era rivolto alla popolazione con un video pubblicato su Facebook per chiedere il ritorno alla calma. “Non cedete alle provocazioni – aveva detto – Non ascoltate chi vi incita ad assalire gli edifici del governo. Si tratta di un crimine per il quale sarete puniti“. Il ministero dell’Interno in un comunicato ha affermato che i dimostranti hanno “ceduto alle provocazioni” e che “gruppi di cittadini hanno bloccando le strade ed hanno bloccato il traffico, turbando l’ordine pubblico”. E aveva poi smentito le notizie riguardo a una sua possibile fuga dal Paese, rilanciando con la promessa di un pacchetto di riforme a breve.

Secondo quanto denunciato dal gruppo di monitoraggio web NetBlocks su Twitter, il governo ha scelto di ricorrere al blackout di Internet per oscurare tutto ciò che sta accadendo nel Paese: “Il Kazakhstan sta attualmente vivendo un blackout di Internet a livello nazionale dopo una giornata di interruzioni di internet mobile” e altre “restrizioni parziali”, ha affermato l’ong annunciando che questo “potrebbe limitare gravemente la copertura delle proteste antigovernative che si stanno intensificando”. Una mossa che potrebbe precedere una pesante repressione da parte delle forze militari, dato che il presidente Tokayev ha promesso una risposta “dura” ai disordini in corso nel Paese: “Come presidente, sono obbligato a proteggere la sicurezza e la pace dei nostri cittadini, a preoccuparmi dell’integrità del Kazakhstan”, ha detto alla televisione kazaka e aggiungendo che intende “agire nel modo più duro possibile”. E così è stato.

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Il caos politico in Kazakhstan si è trasformato in guerriglia civile dopo che migliaia di persone si sono riversate per le strade di diversi centri, in una protesta senza precedenti nella storia del Paese, per manifestare contro l’aumento del prezzo del gas. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine nel tentativo di sedare le rivolte, è stato dichiarato lo stato d’emergenza ad Almaty e nella capitale Nur-SultanIn seguito èstato esteso a tutto il Paese. 

Ieri  il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha deciso di sciogliere il governo guidato dal primo ministro Askar Mamin. E in un discorso alla Nazione ha fatto sapere che “ci sono morti e feriti“.

La Russia invita le parti al “dialogo”. 

“Appoggiamo una soluzione pacifica a tutti i problemi nell’ambito del quadro giuridico e costituzionale e attraverso il dialogo, non attraverso disordini di piazza e violazione delle leggi”, ha reso noto in un comunicato il ministero degli Esteri. Il presidente ha inoltre dichiarato di aver fatto appello alla Russia e ai suoi alleati per aiutare il suo paese a reprimere le proteste superare quella che ha definito una “minaccia terroristica”. Appello immediatamente accolto. La missione in Kazakhstan dei Paesi “fratelli” potrebbe “richiedere circa un mese”. Lo ha riferito il vicepresidente della Commissione Difesa della Duma, spiegando che il compito delle truppe sarà “contribuire a neutralizzare gli istigatori della violenza e mettere in sicurezza le infrastrutture strategiche”.

Nel frattempo i manifestanti hanno puntato il principale aeroporto del Paese, quello internazionale di Almaty. Lo ha reso noto il canale di notizie locale Orda tramite Telegram. Secondo l’ufficio stampa dell’aeroporto, le autorità non hanno più il controllo dello scalo dopo che “45 invasori” hanno preso il controllo della struttura. Al momento del sequestro non erano presenti passeggeri nel terminal, precisa. Tutti i voli per il Kazakhstan sono stati cancellati. Le autorità hanno ripreso nella note il controllo dell’aeroporto.

L’esplosione di violenza per le strade dell’ex Repubblica sovietica dell’Asia Centrale ha reso necessaria la dichiarazione dello stato d’emergenza ad Almaty, la città più grande del Paese e sua capitale finanziaria situata nella regione di Mangystau, ricca di petrolio, e nella capitale amministrativa Nur-Sultan. Qui le proteste sono state più violente, con la polizia che ha sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla. Il provvedimento resterà in vigore dal 5 al 19 gennaio, secondo quanto riportato dal sito presidenziale, e prevede anche il coprifuoco dalle 23 alle 7. Tokayev in giornata si era rivolto alla popolazione con un video pubblicato su Facebook per chiedere il ritorno alla calma. “Non cedete alle provocazioni – aveva detto – Non ascoltate chi vi incita ad assalire gli edifici del governo. Si tratta di un crimine per il quale sarete puniti“. Il ministero dell’Interno in un comunicato ha affermato che i dimostranti hanno “ceduto alle provocazioni” e che “gruppi di cittadini hanno bloccando le strade ed hanno bloccato il traffico, turbando l’ordine pubblico”. E aveva poi smentito le notizie riguardo a una sua possibile fuga dal Paese, rilanciando con la promessa di un pacchetto di riforme a breve. 

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Secondo quanto denunciato dal gruppo di monitoraggio web NetBlocks su Twitter, il governo ha scelto di ricorrere al blackout di Internet per oscurare tutto ciò che sta accadendo nel Paese: “Il Kazakistan sta attualmente vivendo un blackout di Internet a livello nazionale dopo una giornata di interruzioni di internet mobile” e altre “restrizioni parziali”, ha affermato l’ong annunciando che questo “potrebbe limitare gravemente la copertura delle proteste antigovernative che si stanno intensificando”. Una mossa che potrebbe precedere una pesante repressione da parte delle forze militari, dato che il presidente Tokayev ha promesso una risposta “dura” ai disordini in corso nel Paese: “Come presidente, sono obbligato a proteggere la sicurezza e la pace dei nostri cittadini, a preoccuparmi dell’integrità del Kazakistan”, ha detto alla televisione kazaka e aggiungendo che intende “agire nel modo più duro possibile”.

Nella mattinata di mercoledì, il sindaco di Almaty, Bakytzhan Sagintayev, aveva assicurato che “la situazione nella città è sotto il controllo delle autorità. Dietro ai tentativi di destabilizzazione e le azioni estremiste ci sono provocatori dall’interno e dall’esterno. Le forze dell’ordine stanno adottando le misure necessarie per stabilizzare la situazione, preservare la sicurezza, la pace e la calma”. Ma poco dopo i dimostranti hanno fatto irruzione nel municipio occupando anche il suo ufficio, con spari uditi nelle vicinanze e fumo che si leva dall’interno della struttura, secondo quanto riferisce il corrispondente della testata filo-russa Sputnik. Mentre Russia Today riferisce che altri manifestanti hanno preso il controllo dell’edificio del Comune di Aktobe.

Il risultato dell’intervento delle forze dell’ordine sono stati almeno 200 arresti e 95 agenti feriti negli scontri, tanto che ieri i il capo dello Stato non ha potuto far altro che prendere in mano la situazione e cercare di calmare le manifestazioni accettando le dimissioni del governo che, adesso, è in mano al vicepremier Alikhan Smailov che ricoprirà il ruolo di leader fino alla formazione del nuovo esecutivo.

Le proteste hanno preso di sorpresa anche i vertici delle istituzioni, visto che manifestazioni del genere sono senza precedenti in un Paese autoritario come il Kazakistan, dove la Presidenza controlla ossessivamente e reprime duramente ogni forma di dissenso o insurrezione. Ma le persone in piazza sono aumentate rapidamente dopo le proteste iniziate prima a Janaozen, nell’ovest del Paese ricco di risorse naturali, per poi estendersi alla grande città di Aktau, sulle rive del Mar Caspio. 

Il bastone e la carota

L’ufficio del governo kazako ha annunciato di aver reintrodotto per 180 giorni un tetto ai prezzi di benzina, gasolio e gas di petrolio liquefatto. Troppo tardi, forse, per frenare la rivolta.

Sulla vicenda si è espressa anche la Casa Bianca, che ha chiesto di protestare con “moderazione”.

Protettorato russo

Annota Jacopo Jacoboni su La Stampa: Il gas – di cui il Kazakhstan stesso è produttore, ma Putin il diffusore e in definitiva il beneficiario finale, dal punto di vista geopolitico – è la miccia scatenante, è chiaro che si sta coagulando un malcontento fortissimo e decennale contro il regime di Nursultan Nazarbayev, l’ex presidente, una delle cleptocrazie ritenute più corrotte da tutti gli indici (per esempio da quello dell’Economist). Nazarbayev formalmente nel 2019 ha lasciato, però è rimasto saldamente nelle leve del potere, controllando l’azione e tutti i rubinetti del presidente Kassym-Jomart Tokayev, che dopo lo scoppio della rivolta ha imposto le dimissioni del governo fantoccio del primo ministro Askar Mamin (il vicepremier Alikhan Smailov terrà l’interim fino alla formazione di un nuovo gabinetto, ma di fatto è un governo assoluto di Tokayev). Il presidente ha provato a placare la rabbia annunciando un nuovo prezzo di 50 tenge (11 centesimi di dollaro) al litro, rispetto ai 120 dell’inizio dell’anno, ma non è riuscito a smorzare le manifestazioni.

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Tokayev è considerato dai più critici un pupazzo di Nazarbaev, a sua volta uomo totalmente nelle mani di Putin. Nazarbayev è così l’oggetto delle proteste che circolano foto anche di atti simbolici, per esempio manifestanti che accerchiano un monumento eretto al tiranno nel 2016 a Taldykorgan, nella regione di Almaty, imbrigliato in più punti con corde bianche. I manifestanti cantano l’inno kazako e tirano i cavi per buttare giù la statua dal piedistallo. Scene classiche da fine regime. I critici più benevoli lo ritengono un regime compromesso col putinismo e con una serie di operazioni spregiudicatissime, tra cui interferenze estere, corruzione miliardaria della cricca di Nazarbaev, sequestri e persecuzioni di avversari politici all’estero. L’Italia – il cui sistema politico ha interagito con quel regime in modi infausti e variamente – celebrò una delle sue pagine geopolitiche più ingloriose nella vicenda del sequestro a Casal Palocco, Roma, di Alma Shakabayeva, moglie del kazako Mukhtar Ablyazov, un uomo che – se non era un dissidente privo di interessi – certo si era trovato nel clan contrapposto e Nazarbayev, e fu quindi perseguitato con tutta la sua famiglia”.

Così Jacoboni.

Roma monitora

“L’Europa guarda preoccupata ai sommovimenti del Paese ex-sovietico, il più grande dell’Asia centrale – rimarcano Francesco Bechis e Gabriele Carrer su Formiche.net – Non fanno eccezione l’Italia e il governo di Mario Draghi. ‘Il Kazakhstan è un Paese di riferimento per la stabilità dell’Asia centrale, oltre che un importante partner commerciale italiano’, dice a Formiche.net il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, che dalla Farnesina sta seguendo il dossier in contatto con l’ambasciatore italiano a Nur Sultan, Marco Alberti. ‘Oltre ad essere un importante partner commerciale dell’Italia, il Kazakhstan è un asse portante del formato 5+1 (Italia più Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, ndr)”, aggiunge. Dietro la compostezza diplomatica c’è la preoccupazione della Farnesina per la destabilizzazione di un’area su cui l’Italia ultimamente ha scommesso molto, non solo sul piano economico”.

“Quel che accade in Kazakhstan suscita grande forte preoccupazione. Il più grande Paese dell’area centroasiatica è scosso da una crisi che non può essere risolta con la repressione, ma soltanto con riforme che superino il carattere autocratico della leadership del Paese. E suscita non minore preoccupazione la richiesta di intervento di truppe straniere, fatto che mette in causa indipendenza e sovranità del Paese. Si fermi ogni azione repressiva e si apra una stagione di apertura e di riforme, unica via per uscire dalla crisi di queste ore”, dichiara Piero Fassino, Presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati. 

Interessi commerciali, geopolitica, sicurezza. Tante ragioni perché le vicende kazake inquietino Roma. 

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