Dopo aver comprato mezza Londra il Qatar si appresta a conquistare l’Afghanistan
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Dopo aver comprato mezza Londra il Qatar si appresta a conquistare l’Afghanistan

In Afghanistan, l'emirato è un attore centrale, centralissimo. Doha, per cominciare, ha ospitato i colloqui tra gli Stati Uniti e i talebani. E poi c'è la grande forza dei petrodollari

Il capo dei talebani Abdul Ghani Baradar e il ministro degli esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani
Il capo dei talebani Abdul Ghani Baradar e il ministro degli esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Agosto 2021 - 16.50


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Ospiterà i mondiali di calcio del 2022. E da tempo osoita la sede centrale dei Talebani. Ha comprato mezza Londra e ora si appresta a conquistare l’Afghanistan. Con la forza dei petrodollari e con una politica estera da manuale del gioco su più tavoli. In una parola : Qatar.

In Afghanistan, il Qatar è un attore centrale, centralissimo. Doha, per cominciare, ha ospitato i colloqui tra gli Stati Uniti e i talebani. L’anticamera del pasticciaccio attuale. Di più, il Paese della penisola arabica ha contribuito ad assicurare un’evacuazione sicura da Kabul. Ma non finisce qui. Come ricorda Reuters, il Qatar nel 2017 fu boicottato dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati poiché accusato di stringere legami compromettenti con i militanti islamici. Doha ha sempre negato le accuse, ma finanziare l’Afghanistan ora significherebbe aiutare i talebani (da tempo in cima alla lista delle violazioni dei diritti umani) e fornire un assist importante a gruppi simili. Un aspetto che l’agenzia di stampa definisce imbarazzante, soprattutto pensando che nel 2022 il Qatar ospiterà la Coppa del mondo di calcio.

E così, mentre la situazione del Paese peggiora l’attenzione, piano piano, si sposterà dall’evacuazione al fronte economico. O, meglio, a come finanziare l’Afghanistan per evitarne il collasso. Gli Stati Uniti hanno congelato gran parte dei 9,5 miliardi di dollari della banca centrale afghana, mentre il 75% dei finanziamenti esteri di cui beneficia l’Afghanistan è in dubbio.

Il Qatar, dal canto suo, aveva promesso oltre 8 miliardi di dollari di assistenza diretta sotto forma di sovvenzioni, obbligazioni e prestiti all’Egitto quando i Fratelli Musulmani erano saliti al potere in seguito alla rivolta del 2011. Un precedente importante. Doha, anche in questo caso, potrebbe puntare al ruolo di intermediario. Analogamente, il Qatar investe massicciamente in imprese occidentali per accrescere l’interesse e la sensibilità dell’Occidente verso Doha. Una questione di sicurezza, anche.

E a proposito di sicurezza, il Qatar punta alla vicinanza con gli Stati Uniti (che mantengono una grande base militare nel Paese). Gli americani, qualora l’Afghanistan implodesse in maniera definitiva, avrebbero ripercussioni enormi. Ecco allora che un partner come quello qatariota potrebbe aiutare: gli Stati Uniti potrebbero stabilizzare la situazione afghana sfruttando risorse finanziarie non americane.

L’esercizio, di per sé, è delicato. Sarebbe un guaio se il Qatar agisse da solo, come fece con l’Egitto. Qualsiasi aiuto del Paese all’Afghanistan dovrebbe essere ragionato. E deciso di concerto con le Nazioni Unite e i partner regionali, chiosa Reuters. Per ottenere, in cambio, concessioni dai talebani a livello di diritti umani e impegno contro il terrorismo. Difficile trovare un equilibrio, ma appare evidente come il ruolo di mediatore del Qatar ne stia uscendo sempre più rafforzato.

Nel frattempo, secondo la Reuters gli Studenti coranici si sono rivolti anche a Doha per la gestione non-militare dell’aeroporto di Kabul.

Da anni –  rimarca Mirko Annunziata in un interessante analisi storico-politica su Treccani – Doha, svolge un ruolo di mediazione tra le varie forze, interne e straniere, coinvolte in Afghanistan, Talebani compresi. Lo storico accordo tra l’amministrazione Trump e  i leader talebani in merito al ritiro degli americani dal Paese, accordo oggi considerato come il prodromo alla situazione attuale, è stato siglato a Doha, dalla quale prende anche il nome. I recenti meeting tra Talebani e forze politiche afghane continuano a tenersi nella capitale qatariota ed è pressoché certo che i futuri incontri per trovare un accordo di pace si terranno sempre a Doha. Il ruolo del governo qatariota tuttavia non si limita all’organizzazione di colloqui tra i vari attori coinvolti in Afghanistan. Il piccolo emirato attualmente è impegnato a sua volta nel giocare un ruolo attivo rispetto ai recenti avvenimenti. Da diversi giorni Doha ha richiesto ufficialmente 

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alla leadership talebana un cessate il fuoco e, a seguito della caduta di Kabul, il ministro degli Esteri qatariota Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani ha incontrato una delegazione talebana 

 per discutere del futuro assetto politico del Paese… Già nel 2016, Doha invitò una delegazione talebana in occasione di un meeting dedicato alla pacificazione dell’Afghanistan. Appare evidente come da tempo il Qatar stia inseguendo una politica ad alto rischio instaurando un dialogo con uno dei gruppi più temuti e osteggiati a livello internazionale. La Realpolitik dell’emirato tuttavia sembra aver dato i suoi frutti: oggi il Qatar può vantare un vantaggio nel coadiuvare il nuovo corso politico dell’Afghanistan, un Paese la cui importanza strategica va di pari passo con la sua tragedia storica”, rimarca ancora Annunziata.

Scontro tra petromonarchie del Golfo

Interessante in proposito è la ricostruzione fatta su Tempi.it da Amedeo Cascaris: “Nei tre lunghi anni di embargo il Qatar ha sfruttato la questione afghana e il suo rapporto stretto con i talebani per mantenere vivo il proprio ruolo strategico agli occhi di Washington, mentre i rivali – Arabia Saudita, Bahrein, Emirati ed Egitto – isolavano i suoi confini, mettevano la storica emittente Al Jazeera e boicottavano i suoi prodotti. L’accordo tra Stati Uniti e talebani del 29 febbraio 2020 firmato a Doha ha elevato l’emirato del Golfo al ruolo di mediatore di una delle crisi più importanti della storia recente, lasciando ai margini un Paese come gli Emirati noto per le sue grandi ambizioni regionali. Vale la pena ricordare che furono proprio gli Emirati a offrirsi per ospitare colloqui sull’Afghanistan nel 2018 nel tentativo di aumentare la propria influenza politica nell’Asia meridionale. Dopo la conquista talebana dell’Afghanistan e il ritiro disordinato delle forze Usa, il Qatar è al momento l’unico stretto alleato degli Stati Uniti che vanta un rapporto tale con i talebani in grado da poter influenzare e in qualche modo dirigere le loro azioni. L’accreditamento presso le cancellerie occidentali, ha permesso a Doha di portare avanti un ruolo particolarmente ambiguo, da un lato trasportare a Kandahar il co-fondatore e leader dei talebani Abdul Ghani Baradar a bordo di un proprio C-17, dall’altro aiutare l’evacuazione dei cittadini americani dal caos di Kabul. In base a quanto riferito dal Washington Post, l’ambasciatore del Qatar in Afghanistan avrebbe scortato piccoli gruppi di americani nell’aeroporto per garantire loro un passaggio sicuro. Di fronte alle azioni del rivale qatariota, gli Emirati hanno fatto la loro mossa, confermando la propria lontananza dall’ideologia estremista. A differenza di partner storici come l’Arabia Saudita, Abu Dhabi ha optato non per il pragmatismo, ma per una scelta di campo offrendo al presidente afghano Ashraf Ghani rifugio dopo la fuga da Kabul il 15 agosto.

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Nella capitale emiratina, Ghani, ormai leader sconfitto e capro espiatorio per il disastro afgano, ha lanciato il suo messaggio alla nazione, lavorando come un leader in esilio e portando con sé oltre un centinaio di milioni di dollari (164 secondo le stime) di fondi statali, ma probabilmente anche documenti segreti che sono ora nelle mani degli Emirati, ad oggi l’unica nazione araba che abbia contribuito con truppe allo sforzo militare guidato dalla Nato in Afghanistan.

 Come Abu Dhabi utilizzerà questa leva non è ancora chiaro. Tuttavia, appare evidente che terminato il ritiro Usa, e di conseguenza la sua influenza sull’intera aerea, fatta eccezione per l’Iraq, saranno i Paesi regionali a giocare la loro partita. Il primo fronte è quello vicino ai fratelli musulmani formato da Qatar e Turchia che avrà sicuramente rapporti con il nuovo governo, insieme all’Iran. Teheran ha un confine lungo 921 chilometri con l’Afghanistan e ha trascorso anni a prepararsi al ritiro Usa e al ritorno dei talebani. Gli Emirati insieme all’India e a Israele potrebbero essere invece i tre Paesi a costituire un fronte di opposizione reale al regime dei talebani. L’Arabia Saudita, dopo il rilancio dei rapporti con Doha, appare propensa ad una posizione pragmatica, mentre l’Egitto è troppo al di fuori geograficamente per avere una qualche voce in capitolo. Se la posizione dell’India appare chiara, il ruolo di Israele potrebbe non essere quello di semplice spettatore. Infatti insieme al Qatar, l’Iran si sta ponendo come il principale vincitore della competizione mediorientale per l’influenza in Afghanistan. Continua a mantenere legami con gli attori del defunto governo afghano, ha forti legami con la minoranza sciita del Paese e ha quello che sembra essere un rapporto costruttivo con i talebani, anche alla luce delle esportazioni nel Paese che ammontano a 2 miliardi di dollari all’anno in beni di consumo”. 

Opa su Gaza

“Afghanistan, e non solo. Da Kabul a Gaza.

Dal 2012, il Qatar ha versato a Gaza più di un miliardo di dollari. Ma Doha non vuole finanziare il cessate il fuoco di Hamas-Israele per sempre, soprattutto ora che  il Qatar ha appena impegnato 50 milioni di dollari in Libano per la ricostruzione dopo la devastante esplosione di Beirut. Gaza è uno strumento per il Qatar, e Hamas lo sa fin troppo bene. Gli interessi di Gaza non sono la priorità del Qatar. È stato su richiesta di Israele, e con la benedizione della Casa Bianca, che gli aiuti del Qatar sono arrivati a Gaza. Israele voleva mettere in atto un meccanismo per frenare la ribellione popolare di Gaza, la Grande Marcia del Ritorno. Il capo del Mossad ha persino visitato il Qatar nel febbraio di quest’anno per convincere il suo governo a continuare a finanziare Gaza”, annota su Haaretz Muhammad Shehada, scrittore e attivista della società civile di Gaza,  “Attraverso il flusso di aiuti – rimarca Shehada    il Qatar spera di accrescere il suo profilo regionale e di posizionarsi come un attore significativo nella comunità internazionale. Spera anche di ottenere punti a Washington; di posizionarsi in una luce migliore rispetto ai vicini Stati del Golfo – e un modo sicuro per farlo è quello di dimostrare la sua importanza nel garantire la sicurezza di Israele. Attori internazionali come il Qatar hanno contribuito a sostenere un’economia di violenza a Gaza, con il blocco di Israele, lo scontro interno al campo palestinese e il governo di Hamas come protagonisti chiave. Gli stessi aiuti umanitari legittimano ora una forma di controllo e di tortura dei palestinesi: sovvenzionando minimamente Gaza in modo da tenere a malapena la testa fuori dall’acqua, ma minacciando costantemente di farli annegare. A meno che la comunità internazionale non trovi il coraggio necessario per porre fine al blocco di Gaza, resta l’obbligo minimo di impedire la morte di Gaza”.

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Recentemente, il ministro degli Esteri del Qatar, ha dichiarato che, anche se gli Stati Uniti considerano Hamas come un’organizzazione terroristica, la legittimità del gruppo è accettata dalle nazioni arabe. In un’intervista con i media russi, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani ha ribadito il sostegno del Qatar per il movimento islamico palestinese. Abdulrahman Al-Thani ha aggiunto che la presenza dei leader politici di Hamas nel Paese del Golfo è finalizzata a facilitare l’unità palestinese. Potenza senza esercito

Il Qatar, ovvero Un Paese con poco più di due milioni di abitanti, ma dotato di uno dei fondi sovrani più grandi del mondo. Meraviglie del gas naturale, la risorsa che ha fatto la fortuna del Qatar (è il primo esportatore e ha un Pil pro-capite fra i più alti al mondo) consentendo alla sua Qatar Investment Authority di accumulare, negli anni, enormi investimenti dagli Usa all’Europa, con in Italia un’alleanza accanto a Cassa depositi e prestiti. Se negli gli Usa gli investimenti del Qatar sono sparsi fra proprietà e media e in Asia prevalgono energia e grattacieli, l’Europa è un nodo strategico: specie dopo la crisi finanziaria, che ha visto il fondo Qia accorrere alla richiesta d’aiuto di numerose banche: da Barclays (la quota è ora al 6,3%) a Credit Suisse, fino in tempi recenti a Deutsche Bank, dove Doha punta a superare il 10%. L’Italia piace moltissimo alla monarchia degli Al Thani. Con partecipazioni importanti dalla moda (Valentino è stato rilevato nel 2012 da investitori qatarioti che controllano anche Pal Zileri) agli immobili, dal 100% di Porta Nuova, progetto di riqualificazione in centro a Milano, agli hotel di lusso come il Gallia di Milano o il Four Seasons di Firenze.

C’è anche la grande industria europea: da Volkswagen, dove il piccolo Paese del Golfo controlla ben il 17%, al colosso russo Rosneft (9,75%) fino all’energia di Royal Dutch Shell (2,13%), alle materie prime di Glencore (9%). A Doha piacciono il calcio (gli emiri possiedono il paris Saint Germain) e gli investimenti in Gran Bretagna (almeno 35 miliardi di dollari nel 2015 fra lussuose proprietà, quote nei grandi magazzini di Harrod’s, un 20% dell’aeroporto di Heathrow. Il fondo del Qatar è il primo investitore in Sainsbury e Qatar Airways è al 20% di Iag, la holding che controlla British Airways, Iberia e Aer Lingus.

A ciò si aggiunge la potenza mediatica, esercitata attraverso l’emittente televisiva satellitare al-Jazeera. 

Con questa potenza di fuoco, economica e finanziaria, il “piccolo” Qatar è entrato nella grande partita mediorientale. Da protagonista.

Assoluto. 

 

 

 

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