Nel suo discorso del 24 agosto il presidente Joe Biden ha ribadito che le operazioni di evacuazione dirette dagli Usa cesseranno entro la scadenza fissata al 31 agosto.
A giudizio di Amnesty International Usa, il messaggio che Biden ha comunicato a coloro che sono più a rischio in Afghanistan è riassumibile in questo modo: “L’opzione preferita dalla Casa bianca è di abbandonarvi al vostro destino”.
I Talebani stanno rintracciando e attaccando persone sulla base del credo religioso, della militanza in associazioni della società civile, dell’identità, del genere, delle opinioni e dell’appartenenza a gruppi linguistici o etnici.
Per questo, Amnesty International Usa chiede alla Casa bianca di continuare a negoziare per procedere alle evacuazioni per tutto il tempo necessario per far uscire dall’Afghanistan le persone più vulnerabili.
“Le organizzazioni per i diritti umani, in Afghanistan e nel mondo stanno redigendo gli elenchi delle persone che devono essere evacuate. I talebani pure, ma non un obiettivo completamente diverso e hanno tutto il tempo che vogliono per farlo. Perché il presidente Biden non fa lo stesso?”, ha chiesto Paul O’Brien, direttore generale di Amnesty International.
“Il presidente Biden si è impegnato a non consegnare la guerra in Afghanistan a un successivo presidente. Ora deve prendere un altro impegno: di non consegnare a un successivo presidente la crisi umanitaria in atto nel paese”, ha rimarcato O’Brien.
Le maggiori organizzazioni dei diritti umani hanno chiesto al presidente Biden un’azione più ampia e urgente per portare gli afgani lontano dal pericolo, esprimendo preoccupazioni sull’attuale approccio dell’amministrazione Biden che rischia di mettere in pericolo le vite di migliaia di persone ed esortando le forze statunitensi a restare sul campo, anche oltre il 31 agosto, fin quando la maggior parte degli afgani in pericolo non sarà fuori dal paese.
Tra le organizzazioni firmatarie della lettera inviata al presidente Biden figurano Human Rights First, Human Rights Watch, Hias, Freedom House, Scholars at Risk e molte altre, seriamente preoccupate per la minaccia concreta di rappresaglia dei talebani che migliaia di afgani andrebbero ad affrontare per il proprio credo, per le organizzazioni a cui appartengono o semplicemente a causa del loro essere chi sono. Nonostante gli Stati Uniti abbiano la responsabilità di provvedere all’evacuazione in condizioni di sicurezza di queste persone, nelle attuali circostanze, non sembrano essere sulla strada giusta per evacuare molte delle persone che possono condurre fuori dal paese.
“È inconfutabile – sottolinea ancora O’Brien,- che gli Stati Uniti abbiano contribuito a creare e alimentare questa crisi. Per vent’anni, il governo statunitense ha investito miliardi di dollari nella più lunga guerra della storia degli Stati Uniti, commettendo a mano a mano violazioni dei diritti umani. E quest’oggi l’amministrazione Biden non è in grado di rispondere del proprio ruolo nella creazione di una tale catastrofe umanitaria. Gli Stati Uniti hanno la responsabilità di agire adesso, prima che sia troppo tardi, per le migliaia di afgani le cui vite sono in pericolo”.
Le condizioni di sicurezza attorno all’aeroporto internazionale Hamid Karzai restano instabili, impedendo a molti civili afgani e di altre nazionalità di raggiungere in maniera sicura i propri voli per l’evacuazione. Secondo fonti attendibili, cittadini afgani sarebbero stati picchiati da combattenti talebani mentre cercavano di lasciare la città. Anche se le operazioni di evacuazione dovessero raggiungere l’obiettivo dichiarato dall’amministrazione di trasportare tra le 5.000 e le 9.000 persone al giorno, è improbabile che molti dei cittadini, le cui vite sono in pericolo, riusciranno a partire.
In simili circostanze, le organizzazioni chiedono alla Casa Bianca di: Pianificare la permanenza sul campo delle forze statunitensi fin quando gli afgani che si trovano in condizioni di maggiore vulnerabilità non saranno evacuati in maniera sicura, anche oltre il 31 agosto; Lavorare con partner e alleati per favorire un percorso verso l’aeroporto in condizioni di sicurezza per coloro che cercano di partire; Collaborare con partner e alleati affinché l’aeroporto resti sicuro, operativo e provvisto delle infrastrutture necessarie a supporto di cittadini afgani e stranieri in partenza; Lavorare con i gruppi della società civile, le organizzazioni non governative e il settore privato per incrementare la capacità e il coordinamento delle attività di evacuazione oltre l’obiettivo originariamente stabilito delle 5.000 – 9.000 persone al giorno; Adottare ogni possibile misura per assicurare che tutti i voli in partenza dall’Afghanistan siano pieni.
Le organizzazioni hanno avvertito che, in mancanza di queste azioni, aumenterà il rischio per le vite di migliaia di persone e hanno sottolineato che è necessario che gli Stati Uniti sviluppino un piano operativo d’evacuazione più efficace da proseguire per il tempo necessario per portare a termine la partenza in condizioni di sicurezza di coloro che sono maggiormente in pericolo in Afghanistan.
Gli Hazara nel mirino
I talebani hanno massacrato e torturato diversi membri della minoranza Hazara in Afghanistan. A denunciarlo è sempre Amenesty International. Testimoni hanno fornito resoconti strazianti degli omicidi, avvenuti all’inizio di luglio nella provincia di Ghazni (la città lungo la direttrice Kabul-Kandahar). Nel rapporto pubblicato ieri Amnesty afferma che nove uomini Hazara sono stati uccisi tra il 4 e il 6 luglio nel distretto di Malistan, nella provincia orientale di Ghazni. L’organizzazione ha intervistato testimoni oculari e ha esaminato le prove fotografiche dopo gli omicidi. Gli abitanti del villaggio hanno affermato di essere fuggiti sulle montagne quando i combattimenti tra le forze governative e i combattenti talebani si sono intensificati. Quando alcuni di loro sono tornati al villaggio di Mundarakht per raccogliere cibo, hanno detto che i talebani avevano saccheggiato le loro case e li stavano aspettando. Alcuni di loro hanno subito un’imboscata. Tre delle nove vittime sarebbero state torturate, agli altri i talebani avrebbero sparato.
Il Consiglio della vergogna
Il Consiglio Onu dei diritti umani, convocato il 24 agosto in sessione speciale, ha tradito la popolazione dell’Afghanistan rifiutando d’istituire un meccanismo indipendente di monitoraggio sui crimini di diritto internazionale in corso nel paese dopo la salita al potere dei talebani.
Tale meccanismo era stato richiesto dalla Commissione indipendente per i diritti umani dell’Afghanistan, dall’Alta commissaria Onu per i diritti umani, dalle Procedure speciali Onu sui diritti umani e da una serie di attori della società civile, tra cui Amnesty International. Sollecitato anche dall’Italia, avrebbe consentito il monitoraggio e la denuncia delle violazioni dei diritti umani e avrebbe potuto contribuire a portare i responsabili di fronte alla giustizia.
Il Consiglio Onu dei diritti umani ha invece adottato per consenso una blanda risoluzione che si limita a chiedere ulteriori rapporti e un aggiornamento da parte dall’Alta commissaria Onu per i diritti umani nel marzo 2022, poco più delle attività già in atto.
“La sessione speciale del Consiglio Onu dei diritti umani non ha dato una risposta credibile alla crescente crisi dei diritti umani in Afghanistan. Gli stati membri hanno ignorato le richieste della società civile e delle stesse Nazioni Unite”, afferma Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Molti in Afghanistan stanno già rischiando di subire rappresaglie. La comunità internazionale non deve tradirle e deve accelerare urgentemente gli sforzi per garantire un’evacuazione sicura alle persone che vogliono lasciare il paese. Gli stati devono superare le esitazioni e assumere iniziative adeguate per proteggerle”, annota Callamard.
“Le nostre recenti ricerche sul terreno, sul massacro di uomini di etnia hazara nella provincia di Ghazni, sono la prova che la capacità dei talebani di uccidere e torturare non è diminuita”, ha sottolineato Callamard, per poi aggiungere: “Gli Stati membri del Consiglio Onu dei diritti umani devono rimediare al fallimento odierno nella prossima riunione, in programma tra poche settimane. Occorre urgentemente un robusto meccanismo d’indagine, col mandato di documentare, raccogliere e conservare le prove dei crescenti crimini di diritto internazionale in corso in Afghanistan”.
Nei giorni successivi, di fronte al collasso del governo afghano dopo la presa del potere da parte dei talebani e alle caotiche immagini provenienti dall’aeroporto di Kabul, dove migliaia di persone cercano di lasciare l’Afghanistan e vi sono stati cinque morti in circostanze ancora da chiarire, la Segretaria generale di Amnesty International ha diffuso questa dichiarazione: “Stiamo assistendo a una tragedia che avrebbe dovuto essere prevista ed evitata. La situazione peggiorerà in assenza di un’azione veloce e decisa da parte della comunità internazionale. Migliaia di persone rischiano di subire rappresaglie da parte dei talebani: i docenti universitari, i giornalisti, gli attivisti della società civile e le donne impegnate nella difesa dei diritti umani non devono essere lasciati in balia di un futuro profondamente incerto”.
“I governi stranieri devono adottare tutte le misure necessarie per garantire un’uscita sicura dall’Afghanistan a tutte le persone che rischiano di finire nel mirino dei talebani: accelerando le procedure per l’emissione dei visti, dando sostegno alle evacuazioni dall’aeroporto di Kabul, mettendo a disposizione posti per ricollocazioni e reinsediamenti e annullando ogni rimpatrio forzato in programma. Chiediamo agli Usa di garantire protezione continua all’aeroporto mentre le evacuazioni sono in corso”.
“Infine, chiediamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di adottare una risoluzione d’urgenza per chiedere ai talebani, che ora controllano effettivamente il paese, di rispettare il diritto internazionale dei diritti umani, proteggere i civili e porre fine alle rappresaglie”.
Il “doppio tradimento” deve finire. Se non si vuole essere complici di un crimine contro l’umanità che si sta consumando nel martoriato Afghanistan.