Oppio, armi, tasse, donazioni: radiografia della "Taliban Holding"
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Oppio, armi, tasse, donazioni: radiografia della "Taliban Holding"

Altro che solamente corano e burqa: la chiave del successo, anche militare, dei talebani risiede nella loro ricchezza.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Agosto 2021 - 16.50


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Oppio, armi, tasse e “donazioni”: radiografia della “Taliban Holding”. 

La chiave del successo, anche militare, dei talebani risiede nella loro ricchezza. Il gruppo gestisce infatti una cifra d’affari che supera il miliardo e mezzo di dollari l’anno e si tratta di denaro di varia provenienza. I nuovi signori di Kabul hanno imposto un sistema fiscale parallelo, ricevono soldi da sostenitori esteri e gestiscono le materie prime come oro, litio e pietre preziose. Ma la maggior parte dei loro soldi proviene da attività illegali. Prima fra tutte il traffico di stupefacenti. Vengono associati alle scuole coraniche, al burka, alla proibizione di bere alcol, al rigore e a un moralismo estremo. Ma la verità è che oggi i talebani sono dei veri e propri narcotrafficanti. La coltivazione di papaveri in Afghanistan era stata da loro ufficialmente proibita quando erano ancora al Governo, nel 2001; erano riconosciuti da tre Paesi soltanto e speravano che questo gesto di buona volontà avrebbe messo fine al loro isolamento internazionale. Non ha funzionato. Un anno dopo, a seguito degli attentati dell’11 settembre, perdevano il potere e il Paese veniva occupato dall’esercito USA. È stato in quel momento che tutto è cambiato. I talebani si sono presentati ai coltivatori non più come i custodi dei principi dell’Islam, ma come i difensori dagli invasori stranieri che bombardavano campi e laboratori. Hanno iniziato tassando i produttori, ma si sono presto messi a gestire coltivazioni, raffinerie e distribuzione. Hanno insomma costruito un impero che ha garantito loro molti fedeli e importanti alleanze, ma soprattutto moltissimo denaro. La produzione di oppio oggi rappresenta tra il 20 e il 30% del PIL afghano. E i derivati dell’oppio talebano finiscono dappertutto. In Sudafrica, Giappone, Filippine, nelle mani della mafia italiana, dei cartelli russi e statunitensi. In tutto il mondo fuorché in Messico e Cina.E non si parla solo di vie criminali. Viene acquistata anche dall’industria farmaceutica che per produrre anestetici e antidolorifici si rivolge a rivenditori autorizzati per lo più indiani… che si riforniscono sempre in Afghanistan. Un circuito insomma che a lungo ha tenuto a galla questa rete estremista e criminale e che ha reso possibile il ritorno lampo di un emirato islamico.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc),che ha condotto un sondaggio nella regione Sud-Ovest del Paese, il 58% delle tasse imposte ai coltivatori andavano nel 2019 in mano ai talebani, il 15% ai potentati locali, il 10% a gruppi antigovernativi, il 9% a polizia e pubblici ufficiali, l’8% ad altri. La regione del Sud-Ovest (tra Helmand e Kandahar) è stata scelta per il sondaggio perché è quella da cui proviene la maggior parte dell’oppio, ed è storicamente sotto il controllo dei talebani.

l gruppo ha infatti sempre sfruttato questo commercio per finanziare le proprie attività (secondo gli Usa rappresenterebbe il 60% delle entrate dei talebani): proprio per questo staremo a vedere se rispetteranno questa volta la promessa – espressa dal portavoce nella prima conferenza stampa dalla presa di Kabul – di «fermare la produzione di droga in Afghanistan». In molti ci hanno provato, i talebani stessi prima e poi anche gli americani, senza successo. Troppi gli interessi in campo, sia internazionali (i profitti prodotti all’estero dal traffico di droga proveniente dall’Afghanistan sono infatti molto maggiori rispetto a quelli ricavati nel Paese) sia domestici. Anche dei coltivatori e dei braccianti che ci lavorano, centinaia di migliaia di persone e famiglie che spendono quei soldi soprattutto per comprare cibo, medicine e ripagare i debiti. Insomma, beni di prima necessità senza i quali la loro condizione sarebbe ancora peggiore. Se si vorrà davvero estirpare la produzione di oppio dal Paese bisognerà dunque trovare una valida alternativa di sviluppo.

Il Financial Times ricostruisce le fonti del finanziamento dei talebani, al di là del traffico d’oppio ed eroina, che rappresenta una parte minoritaria delle entrate del movimento. I ribelli hanno sempre guadagnato di più dai dazi sul trasporto attraverso i loro territori di beni quali carburante e sigarette. “La fonte primaria” delle finanze talebane “è la tassazione di beni legali” ha detto a Ft David Mansfield, analista di Afghanistan per il think tank britannico Overseas Development Institute. “Le droghe non sono una fonte significativa di finanziamento per i talebani come sostengono in molti, una convinzione che ha portato a una comprensione distorta dell’economia e della ribellione”. Dopo che gli Usa nei giorni scorsi hanno bloccato l’accesso alle riserve della banca centrale e l’Fmi ha rifiutato lo sblocco di un finanziamento, il controllo dei talebani dei valichi di confine e il loro ruolo centrale nell’economia sommersa del Paese consentiranno al movimento di avere una sorta di cuscinetto per attutire le pressioni finanziarie. Tuttavia il nuovo regime integralista dovrà muoversi in fretta per evitare la crisi e subentrare nel pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e nel funzionamento dello Stato.

 La corruzione endemica del governo del deposto presidente Ashraf Ghani ha offerto ai talebani la possibilità di conquistare il consenso di molti afghani stanchi di dover pagare tangenti a funzionari corrotti. Ma nonostante le rassicurazioni, gli afghani sono corsi in banca a ritirare i loro risparmi nelle ore successiva alla presa del potere da parte dei militanti e chi ha potuto ha cercato di fuggire all’estero. “Questi comportamenti stanno già cominciando a danneggiare la posizione economica che i talebani hanno costruito spiega Mansfield. Un esempio della governance economica talebana è il tratto di strada che collega la capitale Kabul al valico di confine del 78° miglio nella provincia sudoccidentale di Farah, alla frontiera iraniana. La strada ha oltre 25 checkpoint governativi con pedaggi in vari posti di blocco. Di contro, i talebani che controllano lo stesso tratto di strada hanno un unico check point e rilasciano una ricevuta, quindi è necessario un solo pagamento. Ibraheem Bahiss, consulente per l’Afghanistan dell’International Crisis Group, afferma che i talebani si sono presentati agli afghani come migliori amministratori. “Hanno sempre più cooptato infrastrutture statali per offrire migliori servizi di consegna” ha detto Bahiss a Ft, spiegando che in alcune aree i militanti islamici si sono preoccupati di fare sì che insegnanti e infermieri si recassero al lavoro. Negli ultimi anni i talebani hanno ampliato la loro base impositiva rispetto alle secolari oshr, una decima sui raccolti, e zakat, imposta religiosa del 2,5% sui redditi destinata ai poveri. Nella provincia di Nimroz, i dazi sui beni in transito, come veicoli e sigarette, rappresentava l’80% delle entrate dei talebani, secondo Odi. 

Operazioni minerarie illegali e tasse sui carburanti importati sono fonti ulteriori di finanziamento. Secondo la società di consulenza Alcis le tasse sui carburanti importati dall’Iran hanno fruttato ai talebani 30 milioni di dollari lo scorso anno. Negli ultimi anni sono cresciuti anche i proventi dalla produzione di metanfetamine, che rivaleggia ormai i ricavi dall’oppio. La pianta di efedra che cresce spontanea sugli altipiani dell’Afghanistan centrale viene usata per produrre metanfetamine, secondo il Centro europeo per il monitoraggio di droghe e dipendenze. L’Afghanistan resta il maggior produttore di oppio al mondo nonostante i nove miliardi di dollari spesi in operazioni antidroga dall’invasione Usa del 2001. La coltivazione del papavero da oppio si  è diffusa negli ultimi vent’anni, aumentando solo lo scorso anno del 37%. I talebani tassano i raccolti di oppio, ma gli analisti non sono concordi circa la loro partecipazione attiva al traffico. Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha detto che i militanti vogliono rinunciare alla droga e “far rinascere l’economia”. “L’Afghanistan da oggi sarà un paese libero dai narcotici ma ha bisogno di aiuti internazionali. La comunità internazionale ci deve aiutare così che possiamo avere coltivazioni alternative”. Un ex ministro talebano, che ha chiesto l’anonimato, ha pronosticato “tempi duri” per i militanti e per il Paese assediato che ora cercano di governare. “Il popolo afghano avrà un disperato bisogno di aiuto, ma non sarà facile lavorare con una burocrazia talebana per le ong” ha detto. “L’arrivo dei talebani ha chiaramente messo in imbarazzo gli Stati Uniti, che invece di buoni rapporti potrebbero ora cercare una vendetta politica”. 

La narco economia

“L’Afghanistan è il più grande produttore mondiale di oppio con un valore di esportazione annuo stimato di 1,5-3 miliardi di dollari, e principale fonte per la stragrande maggioranza dell’eroina in tutto il mondo – scrive Antonio Palma in un documentato report su fanpage.it  Inoltre la maggior parte della coltivazione del papavero avviene in aree controllate già da tempo dai talebani dove un monitoraggio è quasi impossibile. Gli islamisti guadagnano dalle tasse imposte in diverse fasi del processo: dalla coltivazione ai laboratori di trasformazione passando al traffico illecito ma in molte zone hanno iniziato da tempo a coltivarlo in prima persona gestendo ogni fase senza intermediari.

Ritenere che la droga sia l’unico introito dei talebani però è sbagliato. Nel tempo gli islamisti hanno diversificato e hanno fatto soldi con varie attività criminali come l’estorsione a fattorie e altre imprese, compresi progetti di aiuto, tassando le economie locali delle zone occupate e chiedendo il pizzo alle attività illegali. I talebani hanno preso anche il controllo dei siti minerari e hanno estorto denaro sia nelle operazioni minerarie legali che in quelle illegali. I militanti però sono talvolta coinvolti anche in rapimenti eccellenti a scopo di riscatto, a dimostrazione che non sono disposti a fermarsi di fronte a nulla.

Secondo gli esperti, il gruppo però riceve anche donazioni da una vasta gamma di benefattori che sostengono la causa o considerano i talebani una risorsa utile, in primis il Pakistan a cui sono fortemente legati ma anche da diversi paesi del Golfo che sottobanco li hanno finanziati a più riprese. Da considerare inoltre che il loro stile di vita non richiede tanti sfarzi e soldi son impegnati solo per mantenere i soldati e comprare armi. In un Paese dilaniato da decenni di guerra civile, però, per le armi sono facili da trovare. Non a caso una delle prime mosse che i talebani hanno fatto in ogni nuovo territorio occupato è stata quella di assaltare subito i depositi di armi e munizione per impossessarsene”.

Relazioni internazionali

 I contadini non hanno alternativa – rimarca su Il Corriere della Sera Roberto Saviano –  il Mullah Akhundzada, appena le truppe dell’Armata Rossa nel 1989 si ritirarono, capì che bisognava smettere di prendere il 10% come pizzo dai trafficanti di eroina, per essere direttamente loro, i guerriglieri di Dio, a gestire il traffico. Impose che tutta la valle di Helmand, a Sud dell’Afghanistan, fosse coltivata a oppio, e chiunque si fosse opposto, continuando a coltivare melograni o frumento prendendo sovvenzioni statali, sarebbe stato evirato. Il risultato fu la produzione di 250 tonnellate di eroina. Akhundzada oggi è indicato come il maggiore leader talebano, ed è uno dei trafficanti più importanti al mondo. Scalano le gerarchie interne (anche religiose) sempre di più i dirigenti talebani trafficanti rispetto a quello che accadeva un tempo, ossia dare incarichi e possibilità di comunicare ai dirigenti militarmente più capaci e alle figure religiose. 

L’eroina talebana fornisce camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra, fornisce i cartelli russi, e rifornisce Cosa Nostra americana e tutte le organizzazioni di distribuzione in Usa a eccezione dei messicani che cercano di rendersi autonomi dall’oppio afgano (a fatica, perché l’eroina di Sinaloa è più costosa di quella afgana). Tramite la rotta Afghanistan—Pakistan—Mombasa (Kenya) i talebani riforniscono anche i cartelli di Johannesburg in Sudafrica, altro immenso mercato. Forniscono eroina ad Hamas, altra organizzazione che si finanzia (anche) con hashish ed eroina e che infatti ha comunicato: : «Ci congratuliamo con il popolo islamico afghano per la sconfitta dell’occupazione americana su tutto il territorio dell’Afghanistan e con i talebani e la loro brava leadership per la vittoria che giunge al culmine di una lunga battaglia durata 20 anni». Queste sono apparentemente alleanze politico—ideologiche, in realtà patti criminali.

I talebani hanno cambiato lo scacchiere internazionale – annota ancora Saviano -. Cosa Nostra e i marsigliesi, dagli anni Sessanta agli anni Duemila, importavano l’eroina dal sud-est asiatico; il monopolio dell’oppio era in Indocina, nel triangolo d’oro Birmania-Laos-Thailandia. Ora i talebani hanno preso il loro posto, lasciando un mercato residuale al sud-est asiatico, una fetta di mercato che va dall’1% al 4%. Gli Stati Uniti, rendendosi conto che i signori dell’oppio li stanno tradendo e che i sovrani del traffico sono diventati i talebani, spenderanno 8 miliardi (fonte: Reuters) per sradicare le piantagioni di papavero: errore fatale, perché i contadini afgani non poterono che schierarsi con gli studenti coranici — è bene ricordare che questo significa talebano…”. Così Saviano.

 A preoccupare l’Occidente, da qualche anno, è anche il fenomeno del narcoterrorismo, ovvero l’alleanza tra le reti della jihad globale (non ultima l’Isis, oggi ormai egemone in molte zone dell’Africa) e i cartelli dei narcotrafficanti, pronti a garantire logistica e supporto armato in cambio di narcodollari. I primi a lanciare l’allarme in tal senso erano stati i russi, che lo scorso anno nel consiglio di sicurezza delle Nazioni unite stimavano in quasi un miliardo di dollari annui il fatturato di Isis derivante dal traffico di droga. Ma il patto tra jihadisti e narcos nasce a monte, tra i campi di papavero in Afghanistan. Fino al 2001 l’oppio era considerato dai leader talebani come contrario all’Islam. Poi con il profumo dei soldi e le cose sono cambiate. Fino al 2008  i talebani guadagnavano 92 milioni di dollari all’anno imponendo una tassa ai contadini. Dal 2011 la strategia è cambiata. E ora l’Occidente aspetta il botto. Altro che “corano” e burqa…

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