Attacco in Mali. Soldi, mimetiche, una causa per cui combattere: così si radica il Califfato nero
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Attacco in Mali. Soldi, mimetiche, una causa per cui combattere: così si radica il Califfato nero

Oltre 40 civili sono stati uccisi ieri nel nord del Mali in attacchi attribuiti ai jihadisti contro tre villaggi vicino al confine con il Niger, secondo quanto riferito da autorità militari e locali. 

Miliziani jihadisti nel Mali
Miliziani jihadisti nel Mali
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Agosto 2021 - 17.26


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Il Califfato nero insanguina l’Africa. Oltre 40 civili sono stati uccisi ieri nel nord del Mali in attacchi attribuiti ai jihadisti contro tre villaggi vicino al confine con il Niger, secondo quanto riferito da autorità militari e locali. 
“Più di quaranta civili sono stati uccisi domenica dai terroristi nei villaggi di Karou, Ouatagouna e Daoutegeft.I terroristi sono entrati nei villaggi e hanno massacrato tutti”, ha detto un funzionario della sicurezza all’Afp, intervistato in forma anonima per motivi di sicurezza.

Attacco al presidente

Due uomini armati, uno dei quali brandiva un coltello, hanno tentato di attaccare il presidente ad interim del Mali Assimi Goita, durante le preghiere nella grande moschea della capitale Bamako. L’attacco è avvenuto durante i festeggiamenti per la festa islamica di Eid al-Adha, il 20 luglio scorso, Il presidente è stato portato via dalla sicurezza, secondo quanto ha constatato un giornalista della France Presse sul posto. 

L’ultimo legittimo presidente, Ibrahim Boubacar Keïta, detto “Ibk”, eletto nel 2013 e rieletto nel 2018, era stato rovesciato da un colpo di stato militare il 18 agosto 2020. Sotto la pressione internazionale, i militari avevano deciso di nominare un presidente di transizione e di restituire il potere ai civili entro 18 mesi. Ma nel maggio scorso i colonnelli arrestarono il presidente e il primo ministro dopo la nomina di un nuovo governo di transizione non di loro gradimento imponendo Goita come capo di Stato provvisorio. Il colonnello aveva guidato i due colpi di Stato dell’ agosto 2020 e del maggio scorso.

Nel marzo-aprile 2012 il nord del Mali era stato conquistato da gruppi jihadisti legati ad al-Qaida che però erano stati in gran parte scacciati da una missione militare internazionale lanciata nel gennaio 2013 su iniziativa dell’ex-colonialista francese. Intere aree comunque restano fuori dal controllo delle forze maliane, francesi e della missione nelle Nazioni Unite (Minusma), spesso oggetto di attacchi. Il 10 giugno, a margine del vertice Nato, Emmanuel Macron ha annunciato “la fine dell’operazione ‘Barkhane'”, lanciata in Mali nel 2014. 

Africa, trincea jihadista

Rimarca Raffaella Scuderi su Repubblica: “L’Africa del Sahel e della fascia subsahariana si sta facendo sempre più insicura. Il terrorismo indebolisce i governi, le forze di sicurezza governative sempre più fragili abusano della popolazione civile e i gruppi jihadisti si rafforzano e si espandono. È il quadro che emerge dall’ultimo rapporto di Verisk Maplecroft, società internazionale di ricerca strategica e analisi dei rischi, che ogni trimestre stila un indice di pericolosità a livello globale.
L’ultima relazione parla di Africa in caduta libera. Sette Paesi sui 10 più pericolosi del mondo sono nel continente, sotto il Sahara. A cui se ne aggiungono altri 9 che prima erano ritenuti sicuri. La percentuale di aumento del rischio terrorismo rispetto all’analisi del 2019, è del 13%. Burundi, Costa d’Avorio, Tanzania, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Kenya, Mozambico e Senegal, sono diventati più pericolosi dell’anno scorso. Solo Ruanda e Repubblica Centrafricana sono più sicuri”.

Radiografia dell’arcipelago jihadista

A fornirla, è un documentato report di Roberto Colella su ilfattoquotidiano.it: “In Africa restano saldi la Jamaat Nusrat al-Islam wal-Muslimin (Jnim) e soprattutto Al Shabaab. La prima incentrata sul Mali, che opera anche in Burkina Faso e Niger, istituita nel marzo 2017. Si tratta di una federazione di gruppi jihadisti filo-qaedisti guidata dal carismatico Iyad ag Ghaly. La seconda, Al-Shabaab – un affiliato di al-Qaeda in Somalia, specializzato soprattutto in attentati e rapimenti”. Quanto allo Stato islamico, annota Colella, 2 seppur privo di un leader carismatico, gode in Africa di una organizzazione meticolosa. Nel marzo 2015, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, aveva prestato giuramento ad Abu Bakr al-Baghdadi e allo Stato Islamico. Da allora il nome Boko Haram scomparve, cedendo il posto all’Iswap oggi definito un protoesercito. Shekau fu poi rimpiazzato dalla testa dell’Iswap che scommise le sue carte su Abu Musab al-Barnawi, figlio del fondatore di Boko Haram, Mohammad Yusuf.  Shekau continua oggi ad operare vicino alla foresta di Sambisa con una fazione di 1.500 combattenti, sotto il nome internazionale di Boko Haram o con quello locale di Jama’at Ahl as-Sunnah lid-Da’wah wa’l-Jihad (Jas), ma è spesso citato come seconda branca dell’Iswap, avendo rigettato il decreto dell’Isis.

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Il gruppo salafita-jihadista affiliato allo Stato islamico, Wilayat Sinai (Ws) è invece la principale minaccia alla sicurezza nazionale egiziana. Dal 2013, il gruppo ha compiuto quasi 2000 attentati, causando oltre un migliaio di vittime solo tra i militari. Infatti, il 1° maggio 2020 un attacco contro un convoglio dell’esercito avvenuto a Bir al-Abd, nel Sinai del Nord, ha ucciso 14 soldati. Varie fonti stimano gli affiliati africani all’organizzazione intorno ai 6.000 uomini.

C’è poi l’Islamic State in Greater Sahara (Isgs) nato a metà del 2015, quando Adnan Abu Walid al-Sahraoui, dirigente degli Almoravidi qaedisti, ha prestato giuramento di fedeltà al (defunto) califfo Al Baghdadi Un atto sconfessato e rigettato dal capo degli Almoravidi che ha defenestrato Al-Sahraoui e mantenuto la linea qaedista. A quel punto Al-Sahraoui e altri almoravidi filo-Daesh hanno abiurato per formare lo Stato Islamico in Mali, poi denominato Isgs.

Nell’ottobre 2017 l’Isis ha cominciato a integrare le azioni dell’Isgs nella sua propaganda. La forza dello Stato islamico nel Grande Sahara è di 425 jihadisti. Il tutto sotto la regia dell’Isis che rilancia l’idea del califfato in salsa africana”.

Negli ultimi mesi il fronte del Jihad è sembrato ridefinirsi attraverso nuove direttrici: dall’Iraq alla Siria e da qui verso l’Egitto e la Libia, attraversando il deserto dell’Algeria e del Mali sino alla parte settentrionale della Nigeria. Gli ultimi anni hanno segnato un irradiamento delle formazioni radicali islamiche in Africa. La fascia sahelo-sudanese immediatamente a sud del Sahara è sempre stata una regione di instabilità e insicurezza. Il Sahara ha acquisito una nuova centralità geopolitica: l’attenzione si è polarizzata sul Mali e sull’intervento internazionale contro le formazioni radicali islamiche e secessioniste che ne hanno occupato il nord e che hanno proclamato lo Stato dell’Azawad. Il corso prevede una prima giornata focalizzata sui mutamenti del mondo jihadista e sulle nuove minacce che esso comporta, in particolare sul territorio europeo. Sono sempre più frequenti, infatti, anche in Europa, i casi di indottrinamenti personali (“individual jihad”) e i casi di combattenti europei sui fronti della jihad in Medio Oriente. La seconda giornata sarà invece dedicata proprio a come la difficile transizione democratica in Nord Africa e Medio Oriente ha aperto ai gruppi jihadisti nuove possibilità e campi d’azione, oltre che nuove connessioni, tra la regione mediorientale e quella africana.

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Scrive su Tag43 Nicolò Delvecchio: “Tra Niger, Mali e Burkina Faso, tre degli otto Paesi della regione (gli altri sono Mauritania, Ciad, Senegal, Sudan ed Eritrea), il terrorismo jihadista ha causato 5 mila morti e 1,4 milioni di sfollati interni solamente nel 2020. I gruppi sfruttano le debolezze dei governi per conquistare terreno e fondare le proprie roccaforti, e nella maggior parte dei casi è necessario l’intervento di forze straniere perché gli eserciti regolari, da soli, non ce la fanno. A gennaio, militari francesi hanno ingaggiato dei violentissimi scontri in Mali con il gruppo Nusrat al-Islam, considerata l’ala militare di al-Qaeda nell’Africa del Nord, uccidendo 100 miliziani tra cui il leader Bah Ag Moussa. A fine 2020 i francesi avevano anche eliminato 20 jihadisti nel nord del Burkina Faso, Paese in cui opera il gruppo Ansour al-Islam. La zona più pericolosa è quella dei “tre confini” tra Mali, Niger e proprio Burkina Faso, teatro di violenze continue. La presenza dei miliziani è anche tra i motivi principali per cui, nella regione, i governi sono sempre più fragili ed esposti a colpi di Stato: tra il 2020 e il 2021 il colonnello Assimi Goita ha rovesciato per due volte l’esecutivo del Mali, e qualche giorno fa è riuscito a salvarsi da un attentato. A fine marzo in Niger c’era stato un tentativo di golpe a due giorni dall’elezione del neo-presidente Mohamed Bazoun, arrivato dopo poco più di una settimana da un attacco in cui 137 civili erano stati brutalmente uccisi nella regione occidentale di Tahoua. Ad aprile il presidente del Ciad Idriss Deby era stato ucciso in un conflitto a fuoco da un gruppo paramilitare e prontamente sostituito al potere dal figlio. Anche per questo già nel 2014 Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad avevano creato il G5 Sahel, organizzazione di coordinamento per la sicurezza regionale, ma la debolezza delle istituzioni rende i suoi membri troppo vulnerabili in caso di mancato intervento della Francia, che guida l’operazione Barkhane in ambito militare. La jihad così avanza, e spesso agisce indisturbata”.

Quando le forze di sicurezza locali si rivelano deboli, aumenta il numero di jihadisti, una strategia dominante utilizzata in Iraq durante i primi anni di vita dell’organizzazione. Questo stesso modello è stato riprodotto in Mozambico, Burkina Faso, Niger e Mali. La caccia a nuovi territori ha portato l’Isis ad espandersi anche nell’Asia meridionale e, sebbene l’analisi non sia in grado di sostenere se il suo interesse per l’India sia aumentato rispetto ai periodi precedenti, la leadership dell’Isis ha comunque inteso produrre e propagandare una rivista specifica a livello regionale, Sawt al-Hind, nell’intento di radicalizzare e mobilitare i musulmani che subiscono l’oppressione in India. All’interno del neonato magazine, i lettori possono ottenere consigli su come usare le mani nude per lanciare oggetti pesanti dagli edifici, usare coltelli da cucina, asce e martelli per attaccare i loro nemici o investirli con un veicolo in movimento. Questo, tuttavia, non è solo il caso di Sawt al-Hind: un numero enorme di forum di chat jihadisti fornisce consigli simili. 

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I jihadisti hanno preso il controllo di territori significativi nel Sahel e nelle regioni del Lago Ciad, che comprendono parti del Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Nigeria. Nel 2018, il West Africa Center for Counter Extremism (Wacce) ha riferito che fino a 6.000 africani occidentali che avevano combattuto con IS erano tornati a casa dall’Iraq e dalla Siria dopo il crollo dell’autoproclamato califfato del gruppo.

“Era solo una questione di tempo prima di iniziare a vedere le attività dell’Isis replicate nei loro paesi d’origine”, annota Mutaru Mumuni Muqthar, direttore del Wacce in Ghana, aggiungendo che .i paesi dell’Africa occidentale con istituzioni nazionali deboli e alti tassi di disoccupazione per i giovani hanno eroso la resistenza allo “Stato Islamico”.

“Abbiamo spazi pervasivi e “non governati” che permettono ai gruppi affiliati di operare sul lato cieco delle forze di sicurezza. I paesi che attualmente attraversano diversi conflitti li rendono vulnerabili”, sottolinea Muqthar.

Mentre gli Stati costieri dell’Africa occidentale finora hanno ampiamente evitato gli attacchi, questo potrebbe presto cambiare, ha avvertito Muqthar. La minaccia aumenta più a lungo i gruppi affiliati all’IS “si inaspriscono” e possono mobilitare risorse e capacità nelle aree attualmente sotto il loro controllo, ha detto.

“Questo è il gioco finale per lo ‘Stato Islamico’, ed è per questo che credo che l’intera regione sia a rischio di avere un intero nuovo califfato stabilito”. 

Il direttore del Wacce rileva inoltre che la strategia dell’IS di “reclutare truppe radicate localmente che conoscono molto bene la zona” ha contribuito ai successi dei gruppi contro le forze di sicurezza nazionali e regionali.

I jihadisti hanno un forte appeal sui giovani 

Diversi rapporti d’intelligence rilevano che i gruppi jihadisti che hanno preso il controllo intorno alla zona del lago Ciad hanno un rapporto simbiotico con le comunità locali, offrendo una misura di sicurezza, legge e ordine e disciplina tra le sue fila. La corruzione, una scarsità di opportunità economiche, investimenti e servizi sociali da parte degli attori statali ha spinto la maggior parte dei giovani uomini verso i gruppi affiliati all’IS in Africa occidentale, secondo l’analista nigeriano Bukarti.

“La democrazia non ha funzionato per le popolazioni. I governi devono investire nell’istruzione e nelle infrastrutture e cercare di rafforzare il rapporto tra i governati e il governo, così questi gruppi non saranno in grado di sfruttare le lamentele economiche e reclutare i giovani”, annota ancora Bukarti. 

Con le operazioni militari sostenute dall’Occidente, e per estensione i governi nazionali sono impopolari nelle zone povere del Sahel, i giovani sono sempre più attratti dalla “fantasia eroica” dello “Stato Islamico”. 

“Quando le persone si sentono emarginate, possono cercare qualcosa di grande e significativo. IS presenta questo a causa del suo marchio ‘globale’ e della sua propaganda”, avverte l’analista nigeriano. “Avevamo un ragazzo in Burkina Faso a cui abbiamo impedito di andare all’isis. Gli abbiamo chiesto perché ha scelto l’Isis invece di Boko Haram. Ha detto che gli piacevano le uniformi dell’Isis, che gli hanno mandato. Gli hanno mostrato la mimetica militare che avrebbe indossato”.

Soldi, mimetiche, una causa per cui combattere. Così il Califfato nero si sta radicando in Africa. 

 

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