Provate a guadare quel video senza audio E’ un’esperienza formativa. Osservate la postura, il sorriso ossequioso nei confronti del potente, e munifico, padrone di casa. Casa reale. Il Regno Saud. Imbarazzante. Imbarazzante sono le facce compiaciute del senatore di Rignano, lo sguardo adorante nell’ascoltare le risposte dell’artefice del “Rinascimento” saudita.
Quello che è l’Arabia Saudita, un regime teocratico sanguinario, Globalist lo ha raccontato con dovizia di particolari. Non serve ritornarci su.
Mentre vale la pena riflettere sul “genuflessismo” nei confronti di sultani, emiri, autocrati, proprio non solo di Matteo Renzi. Lui ci mette del suo, come al solito eccede, ma non è che Giuseppe Conte o Luigi Di Maio quando si sono trovati di fronte ai vari Erdogan, al-Sisi, perfino Haftar, per non parlare di Donald Trump e Vladimir Putin, abbiamo mostrato una schiena dritta.
Ma tornaiamo all’ex presidente del Consiglio e alla sua performance saudita. Ora, dopo le facce, rimettete l’audio. E qui siamo alla fiera del “grande”. È un grande piacere e un grande onore essere qui con il grande principe Mohammad bin Salman» dice Renzi, aggiungendo di ritenere che “l’Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo Rinascimento”.
Renzi ha da tempo diversi legami con l’Arabia Saudita e il suo regime. Da alcuni anni la visita regolarmente per conferenze e incontri e da circa un anno siede nel board del FII Institute, il think tank che ha organizzato la conferenza dei giorni scorsi, presieduto da Yasir al Rumayyan, il capo del fondo sovrano saudita.
Le attività di consulenza presso multinazionali e potenze straniere non sono una novità per diversi ex leader mondiali: finito il suo mandato, l’ex cancelliere tedesco Schroeder ha ricoperto incarichi di rilievo presso l’azienda energetica russa Rosneft e la banca di investimento Rothschild. Tony Blair, l’ex primo ministro britannico, ha fondato l’istituto di consulenza Tony Blair Institute for Global Change, intessendo relazioni milionarie proprio con l’Arabia Saudita. La differenza fondamentale tra Schroder e Blair e Renzi è però che i primi due hanno svolto le loro attività una volta ritirati dalle cariche pubbliche. Renzi, invece, in apparenza noncurante del conflitto di interessi che queste attività comportano, come riporta il quotidiano online Domani riceve denaro e fornisce consulenze a un Paese straniero mentre siede al Senato ed è leader di una forza politica che ha dimostrato di avere un grande peso per la tenuta del governo.
L’Arabia Saudita non è l’unico Paese controverso con cui Renzi ha costruito legami: il Fatto Quotidiano ha ricostruito che di recente è stato anche negli Emirati Arabi Uniti, in Cina e in Kazakistan.
Nella sua chiacchierata con Bin Salman, Renzi non ha toccato nessun tema particolarmente imbarazzante per il leader asaudita, e anzi gli ha rivolto vari complimenti – “molte persone ignorano lo sforzo che avete fatto per le città meno sviluppate” – e domande piuttosto accomodanti, come la sua visione per “trasformare” il regno. “Credo che con la tua leadership l’Arabia Saudita possa giocare un ruolo fondamentale” nel mondo e nel Medio Oriente, aggiunge Renzi verso la fine dell’incontro.
Ascoltando l’intervista si comprende subito come si tratti di una scena costruita a tavolino per celebrare il regime saudita. Renzi elogia la gioventù della popolazione saudita (oltre il 65% di under 35), la capacità di investimento e di innovazione del Paese e il dinamismo di Riad. Scherza paragonando il costo del lavoro della capitale saudita a quello italiano, tralasciando che un reddito medio di 23mila dollari l’anno è garantito anche dallo sfruttamento sistematico dei lavoratori immigrati, come denunciato in un report dello Human Rights Watch. L’intera conversazione tra Renzi e Mbs si riduce a un’occasione per illustrare i risultati raggiunti dall’Arabia Saudita, sorvolando sistematicamente sulla violazione dei diritti umani, di libertà di espressione e una società tradizionalmente patriarcale che non sembra scuotere la vocazione femminista dichiarata da Renzi in diverse occasioni.
Il giallo dell’interrogazione
“Ho presentato un’interrogazione al Governo per sapere come sia possibile che il leader di un partito che fino a pochi giorni fa esprimeva ministri e sottosegretari possa al contempo ricevere compensi da uno Stato straniero” aveva detto Pino Cabras (M5S), vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera. “Forse non c’è nessun reato – prosegue il deputato – ma chi svolge un ruolo così delicato da poter determinare una crisi di governo in Italia non può essere, contemporaneamente, consulente a pagamento di un altro Stato. Deve essere al di sopra di ogni sospetto, anche perché in Italia le crisi di governo hanno spesso aperto la porta a forze straniere interessate a una svendita dei nostri asset strategici”, conclude Cabras.
Parole chiare. Intenzioni bellicose. Ma ecco entrare in azione “Luigi il pompiere”, al secolo Luigi Di Maio, ministro degli Esteri in carica, compagno di partito del buon Cabras.
“Siamo in una fase delicatissima per il Paese, a consultazioni aperte e in una crisi dI Governo che rischia di mettere in ginocchio il Paese. Non è questo il momento delle polemiche, è inaccettabile incendiare il clima in queste ore mentre il presidente della Repubblica sta gestendo un momento complicatissimo. Dobbiamo seguire la strada tracciata dal Colle e mostrare senso di responsabilità. Non sono questi i tempi della campagna elettorale, bensì quelli, lo ripeto, della responsabilità”, proclama in una nota Di Maio, a proposito delle polemiche politiche sorte in queste ore anche riguardo alla conferenza tenuta da Matteo Renzi in Arabia Saudita.
Insomma, lasciate perdere, ci sono cose più importanti a cui pensare. Cosa volete se un senatore della Repubblica venga pagato da uno Stato straniero. E che problema c’è se quello Stato è tra più autoritari al mondo. Tant’è. D’altro canto, non è certo il titolare della Farnesina a poter dare lezione di schiena diritta di fronte agli autocrati di fronte ai quali ha fatto esercizio di prostrazione. Due fra i tanti: Erdogan e al-Sisi. Su quest’ultimo, poi, le convinzioni di Di Maio e quelle di Renzi sembrano un copia incolla: per i due, il presidente-gendarme dell’Egitto, a capo di un regime di polizia che ha fatto più desaparecidos dell’Argentina dei generali fascisti; un regime che ha ostacolato in ogni modo la ricerca di verità e di giustizia per Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano rapito, torturato e assassinato in quello che, fin dal primo momento, è apparso come un delitto di Stato. Ma tutto questo per Di Maio come per Renzi non conta: al-Sisi è un partner a cui vendere fregate, fare affari e dare il più ampio credito politico, ritenendolo un attore fondamentale per la stabilizzazione del Mediterraneo.
Morale della “favola”: quanto a “genuflessismo” è una gara tra specialisti quella di Renzi e Di Maio. Povera Italia. Quella vera. Non “Viva”.
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