Bolton la vendetta in un libro-bomba: Trump? "Un assoluto ignorante delle questioni mondiali"
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Bolton la vendetta in un libro-bomba: Trump? "Un assoluto ignorante delle questioni mondiali"

E’ una lettura davvero illuminante quella di The Room Where It Happened”  dell’ex consigliere alla sicurezza nazionale. Le rivelazioni contenute offrono un quadro inquietante del Trump leader internazionale. 

Trump e John Bolton
Trump e John Bolton
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Giugno 2020 - 15.46


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E’ una lettura davvero illuminante quella di The Room Where It Happened”  (La stanza dov’è successo), il libro-bomba dell’ex consigliere di Trump alla sicurezza nazionale, John Bolton. Illuminante per le rivelazioni contenute che offrono un quadro ancor più inquietante, se è possibile del Trump leader internazionale. 

Il legame con l’amico Netanyahu

Il libro di Bolton illumina indirettamente la problematica alleanza Trump-Netanyahu e solleva interrogativi inquietanti sulla sua essenza. Bolton sostiene che la maggior parte delle mosse di politica estera di Trump sono guidate dal loro contributo percepito alla sua rielezione in novembre. Forse non ha ancora deciso se l’occupazione a tutto campo e a viso aperto sostenuta dall’ambasciatore statunitense David Friedman otterrà più voti e contributi rispetto all’approccio più contenuto del suo consigliere-genero Jared  Kushner La politica estera di Trump è transazionale, sostiene Bolton. Forse il dare e avere gli è servito bene come magnate immobiliare a Manhattan, osserva Bolton, ma non è il modo di gestire gli affari internazionali di stato. Netanyahu si è prodigato nell’elogio al “dare” di Trump – Gerusalemme, il Golan, l’accordo nucleare con l’Iran e ora l’annessione – ma è stato più reticente sul “prendere” ’aspetta di ricevere in cambio. Forse il debito sarà almeno parzialmente ripagato nell’intervento di Netanyahu a suo favore nella prossima campagna elettorale.

E qui viene il bello.

Alcuni osservatori di Washington ritengono che lo scambio sia di natura più finanziaria: dietro l’inflessibile sostegno di Trump a Israele c’è Sheldon Adelson, suggeriscono, che si dice si sia impegnato a battere il suo precedente record di donazioni generose ai candidati del GOP (Grand Old Party, il Partito repubblicano) nelle prossime elezioni di novembre. Se facciamo un passo avanti a queste speculazioni non del tutto infondate, si può ipotizzare che la disputa all’interno dell’amministrazione sulla portata della proposta di annessione israeliana potrebbe essere risolta in una guerra al rialzo tra Adelson e il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman (MBS), anch’egli in debito con il presidente.

Bolton afferma che il sostegno di Trump a MBS dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto nell’ottobre 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul, era in realtà destinato a distogliere l’attenzione dalle notizie secondo cui Ivanka Trump avrebbe utilizzato un account di posta elettronica privato per affari ufficiali del governo americano, come fece Hillary Clinton.

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Il libro semina dubbi non solo sulla proposta di annessione del 1° luglio, ma anche sull’alleanza Trump-Netanyahu nel suo complesso. Trump, secondo Bolton, è un assoluto ignorante delle questioni mondiali: non sa neppure che la Gran Bretagna è una potenza nucleare o che la Finlandia non fa parte della Russia. Sembra lecito dedurre che Trump sappia molto poco dei fondamenti del conflitto israelo-palestinese che presume di risolvere. Si dubita che abbia mai letto da cima a fondo il piano di Kushner Prosperity to Peace.  “Il libro di Bolton – dice a Globalisti Chemi Shalev, firma storica di Haaretz – dà ragione a chi sostiene che Israele ha messo il suo destino nelle mani di un presidente vanitoso, corrotto e spregiudicato, che si preoccupa solo di se stesso e che subordina la politica estera degli Stati Uniti ai suoi interessi personali”

Patto anti-Iran

Netanyahu è citato più di 30 volte nel nuovo libro di Bolton,  ” che descrive i suoi tumultuosi 18 mesi di lavoro come consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Donald Trump.

La maggior parte dei riferimenti al primo ministro israeliano sono brevi descrizioni di conversazioni tra Netanyahu e Bolton sull’Iran, contenenti pochissime informazioni nuove o significative.

Una storia che Bolton racconta in modo più dettagliato, tuttavia, rivela come Netanyahu – insieme a Bolton e al segretario di Stato Mike Pompeo – avrebbe sabotato i tentativi di Trump di aprire canali diplomatici con Teheran la scorsa estate. Bolton racconta questa storia con orgoglio, e accenna al fatto che gli sforzi compiuti da lui stesso e da Pompeo, con l’appoggio di Netanyahu, hanno impedito a Trump di procedere per un accordo più ampio tra Stati Uniti e Iran, che all’epoca era stato spinto dal presidente francese Emmanuel Macron.

Gli eventi che Bolton descrive sono avvenuti nel periodo che ha preceduto la sua cacciata dalla Casa Bianca. In primo luogo, nel giugno 2019, Trump ha sorpreso e deluso Bolton e gli altri falchi iraniani della sua amministrazione annullando, all’ultimo momento, un attacco militare contro obiettivi iraniani come rappresaglia per un attacco iraniano contro un drone militare statunitense. Bolton descrive quell’evento come una delle decisioni meno professionali a cui abbia mai assistito nella sua carriera nella sicurezza nazionale.

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Più tardi quell’estate, mentre le tensioni con l’Iran continuavano a crescere, Macron cominciò a offrire a Trump il suo aiuto come mediatore tra i due Paesi. Il suo grande piano, secondo Bolton, era che Trump incontrasse un alto funzionario iraniano alla fine di agosto nella città costiera francese di Biarritz, mentre la Francia ospitava un incontro dei Paesi del G-7 con il presidente americano presente.

Bolton scrive di come lui e Pompeo, i due più importanti falchi iraniani dell’amministrazione, abbiano lavorato durante l’estate per far fallire gli sforzi diplomatici di Macron e convincere Trump a rifiutare qualsiasi proposta. Ma Macron, spiega, li ha sorpresi invitando Mohammad Javad Zarif al raduno del G-7, aprendo la porta a un potenziale incontro tra il ministro degli Esteri iraniano e Trump.

Per Bolton, Pompeo e Netanyahu questo era inaccettabile, soprattutto perché Macron stava promuovendo anche un’altra idea: una “linea di credito” internazionale verso l’Iran che allentasse una parte della grave pressione economica che l’imposizione di sanzioni da parte di Trump avrebbe esercitato sul Paese.

Bolton scrive che quando Trump arrivò a Biarritz in agosto, ebbe un incontro individuale non programmato con Macron, durante il quale l’Iran era l’unico argomento in discussione. Secondo Bolton, Trump ha poi descritto quella conversazione come “la migliore ora e mezza che abbia mai trascorso”. Il giorno dopo, le voci sull’imminente arrivo di Zarif nel sud della Francia hanno cominciato a circolare. Bolton ricevette una chiamata preoccupata da Pompeo, che prima aveva parlato con Netanyahu di attacchi aerei contro obiettivi iraniani in Siria, attribuiti a Israele. Bolton omette di menzionare nel libro che tutto questo accadeva appena tre settimane prima delle elezioni israeliane del 17 settembre, in un momento in cui Netanyahu era in calo nei sondaggi e a corto della maggioranza necessaria per ottenere l’immunità dalle accuse di corruzione.

Dopo la telefonata con Pompeo, Bolton ha saputo dallo staff personale di Trump che Macron aveva invitato il presidente a incontrare Zarif, ed era “ansioso” di partecipare all’incontro. La reazione di Bolton fu quella di chiedere al suo staff di preparare un volo per il suo ritorno negli Stati Uniti: se l’incontro fosse andato avanti, si sarebbe dimesso immediatamente dalla Casa Bianca.

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Pompeo e Bolton continuarono a comunicare nel tentativo di impedire a Trump di incontrare Zarif, e Bolton scrive che entrambi parlavano contemporaneamente anche a Netanyahu e al suo ambasciatore a Washington, Ron Dermer. Bolton chiese a Pompeo di dire a Netanyahu e a Dermer che “si sentiva come la Brigata Leggera” – il che significa che i suoi sforzi per fermare l’incontro si scontravano con forze potenti che non era necessariamente in grado di superare.

Ma alla fine, quell’incontro saltò. E a vincere, ancora una volta, furono i falchi di Tel Aviv e Washington. Un’alleanza di ferro che non ha smesso di operare.

L’amico di Ankara

Illuminante sono anche le rivelazioni dell’”amorevole” intesa tra Trump e il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan.  The Donald, – scrive Bolton – non ha nemmeno impedito l’invasione turca e vede ancora Erdogan come un amico intimo su cui può contare. Così vicino che finora non ha imposto sanzioni alla Turchia per l’acquisto da parte di Ankara dei missili antiaerei russi S-400, anche se l’acquisto è stato ferocemente contrastato da altri membri della NATO”.

Erdogan ha ripagato Trump decidendo di non mettere in funzione questi sistemi, per ora. Ma ha già firmato un memorandum d’intesa con la Russia per l’acquisto di ulteriori batterie S-400 e di aerei Sukhoi Su-35. Forse Trump ha accettato la “concessione” della Turchia – ipotizzano analisti politici a Washington – perché sperava che lo avrebbe aiutato nelle elezioni di novembre, in cui avrebbe potuto rappresentare il congelamento nell’attivazione dei sistemi come un risultato della sua politica estera. Un calcolo elettorale, dunque. E non turba i sonni del tycoon della Casa Bianca che questi calcoli hanno portato alla pulizia etnica contro i curdi siriani nel Rojava e rafforzato le mire espansioniste del Sultano di Ankara in Libia. Primum essere rieletto. E’ l’imperativo di Donald Trump. Il suo obiettivo, l’incubo per il mondo.

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