La trappola saudita dietro l'assassinio di Qassem Soleimani
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La trappola saudita dietro l'assassinio di Qassem Soleimani

Il generale iraniano era a Baghdad per una trattativa riservata con i sauditi mediata degli iracheni per allentare le tensioni tra i due paesi. Chi ha tradito chi?

Manifestazione di protesta per l'assassinio di Qassem Soleimani
Manifestazione di protesta per l'assassinio di Qassem Soleimani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Gennaio 2020 - 18.03


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Il generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso nel raid Usa del 3 gennaio scorso, si trovava a Baghdad per condurre una trattativa riservata con l’Arabia Saudita per conto del proprio Paese. E’ quanto, stando alle dichiarazioni raccolte dalla National Iraqi News Agency, ha rivelato oggi il premier iracheno Adil Abdul-Mahdi.

Soleimani sarebbe volato a Baghdad con un messaggio del suo governo in risposta a un altro proveniente da Riad, nel corso di un negoziato diplomatico finalizzato ad allentare le tensioni tra i due Paesi attraverso la mediazione irachena.

Secondo il premier iracheno, il generale Soleimani avrebbe dovuto incontrarsi con lui alle 8 e 30 ora locale del 3 gennaio, cioè nella mattinata di venerdì scorso. Recava con sé la risposta di Teheran a un precedente messaggio saudita, con l’obiettivo di conseguire una “de-escalation” nei rapporti tra i due Paesi tramite il governo di Baghdad.

La trappola

Quale era la missiva di cui il capo della Forza Quds era portatore, e chi avrebbe avuto l’interesse di spezzare questo riavvicinamento? C’è chi, nel mondo dell’intelligence, propende sulla “trappola” dei servizi segreti sauditi, che avrebbero informato i servizi americani degli spostamenti di Soleimani; un’altra ipotesi, è che di mezzo ci fosse il Mossad israeliano, che da tempo monitorava gli spostamenti di Soleimani.

Intanto, non si fermano le imponenti manifestazioni per commemorare il generale iraniano. Dopo le esequie a Baghdad e il passaggio per le città sante dell’Iran, oggi la folla ha invaso le strade di Teheran. Insieme ad una folla oceanica di persone in lutto, il leader supremo dell’Iran Khamenei ha pregato sui resti dell’alto generale ucciso in un attacco aereo statunitense a Baghdad. Fatto che ha drasticamente aumentato le tensioni tra Teheran e Washington. In risposta all’uccisione Teheran è uscita dall’accordo sul nucleare del 2015 con le potenze mondiali mentre in Iraq il Parlamento ha chiesto l’espulsione di tutte le truppe americane dal suolo nazionale.

Il successore di Soleimani, Esmail Ghaani, era vicino al fianco di Khamenei durante i funerali, così come il presidente iraniano Hassan Rouhani e altri importanti leader della Repubblica islamica. Mentre l’Iran ha recentemente affrontato proteste a livello nazionale sui prezzi della benzina stabiliti dal governo che, secondo quanto riferito, hanno ucciso oltre 300 persone, i cortei di massa per Soleimani hanno visto la partecipazione di politici e leader in tutto lo spettro politico della Repubblica islamica, mettendo a tacere temporaneamente la rabbia del popolo.

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In un’intervista alla tv di Stato, Ghaani ha minacciato: “Dio Onnipotente ha promesso di vendicarsi e Dio è il principale vendicatore. Sicuramente verranno intraprese azioni”. Ghaani è ora diventato il capo della Forza Quds della Guardia Rivoluzionaria, un braccio di spedizione dell’organizzazione paramilitare responsabile solo di Khamenei. “Anche se colpissimo tutte le basi Usa, o uccidessimo Trump o il suo ministro della Difesa, non sarebbe sufficiente a vendicare l’uccisione di Qassem (Soleimani). Solo l’espulsione degli americani dalla regione lo sarà”. Lo ha detto il brigadiere generale Amir Ali Hajizadeh, comandante delle unità aerospaziali dei Pasdaran, durante i funerali delle generale Soleimani a Teheran. Se gli Usa compiranno un nuovo attacco dopo la rappresaglia iraniana per l’uccisione del generale QSoleimani, Teheran ”cancellera’ Israele dalle carte geografiche”. Lo ha affermato Mohsen Rezai, ex capo delle Guardie della rivoluzione, attualmente segretario del potente Consiglio per la determinazione delle scelte, un organo di mediazione fra le diverse istituzioni dello Stato. ”Le truppe Usa saranno presto espulse dalla regione”, ha aggiunto Rezai, citato dall’agenzia Fars, parlando questa sera ad una commemorazione di Soleimani a Teheran. Se gli Stati Uniti non lasceranno la regione, dovranno affrontare un nuovo Vietnam in Medio Oriente. È la minaccia di Ali Akbar Velayati, consigliere della Guida suprema iraniana. “L’esperienza ha dimostrato che sono sempre stati sconfitti dai piani fatti dall’Iran e dall’asse di resistenza”, ha aggiunto secondo quanto riportano le agenzie stampa iraniane.

Intanto, per la seconda notte consecutiva, razzi Katyusha si sono abbattuti sul centro di Baghdad, provocando sei feriti, secondo quanto riferisce la televisione satellitare panaraba Al Jazeera. Tre razzi sono caduti nella superfortificata Green Zone, dove hanno sede diverse ambasciate tra cui quella americana. Due, in particolare, hanno colpito vicino alla sede diplomatica. Altri tre sono caduti nell’area di Jadriya, secondo fonti militari.

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Basta un tweet

Basterà un tweet per avvisare il Congresso degli Stati Uniti di una rappresaglia contro l’Iran. Trump lo ha annunciato la sera del 5 gennaio, proprio su Twitter: “Questi post serviranno come notifica al Congresso degli Stati Uniti che se l’Iran dovesse colpire qualsiasi persona o bersaglio degli Stati Uniti, gli Stati Uniti reagiranno rapidamente e completamente, e forse in modo sproporzionato. Tale avviso legale non è richiesto, ma va considerato come dato!”. Immediata è arrivata la replica della commissione Affari esteri della Camera del Congresso: “Questo post servirà a ricordare che i poteri di guerra appartengono al Congresso ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti. E che dovresti leggere il War Powers Act. E che non sei un dittatore“. Il botta e risposta su Twitter si inserisce nel dibattito interno agli Stati Uniti dopo l’omicidio del generale iraniano  ordinato proprio da Trump che all’escalation delle tensioni tra Washington e Teheran.

Il Congresso chiede che il presidente Usa venga a riferire sulla decisione presa. Mentre il tycoon preferisce evitare un dibattito di fronte a deputati e senatori, nel momento in cui è in discussione anche la richiesta di impeachment. Intanto proprio la Camera Usa, controllata dai democratici, voterà questa settimana una risoluzione sui poteri di dichiarare guerra per limitare eventuali azioni militari contro l’Iran da parte del presidente Trump. Lo ha annunciato la speaker Nancy Pelosi in una lettera ai deputati, spiegando che l’aula introdurrà e voterà una risoluzione simile a quella presentata la scorsa settimana in Senato dal senatore dem Tim Kaine. Secondo la Costituzione americana, citata anche nel tweet della commissione Affari esteri della Camera, il potere di dichiarare guerra spetta al Congresso. Il presidente è a capo delle Forze armate e per sferrare un attacco deve prima chiedere l’autorizzazione a Camera e Senato, con 48 ore di anticipo. Già in passato però la Casa Bianca ha aggirato quanto previsto della costituzione: la prassi però prevede che almeno vengano consultati i leader dei due partiti alla Camera e al Senato, oltre ai vertici del Comitato intelligence del Congresso.

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L’Unesco contro il tycoon

Intanto Trump ha ribadito le minacce di “grandi sanzioni” all’Iraq: “Abbiamo lì una base straordinariamente costosa, costruirla è costato miliardi di dollari, ben prima che io mi insediassi. Non ce ne andremo a meno che non ci restituiscano i soldi“, ha detto il presidente americano. Ma ha anche rilanciato l’idea di colpire anche siti culturali iraniani in caso di rappresaglia di Teheran, nonostante si tratti di crimini di guerra. “A loro è consentito uccidere, torturare e mutilare la nostra gente e a noi non è consentito toccare i loro siti culturali? Non funziona così”, ha detto il presidente, sconfessando il segretario di Stato Mike Pompeo, il quale domenica aveva gettato acqua sul fuoco delle polemiche innescate dalla prima minaccia di Trump assicurando che qualunque azione militare contro Teheran rispetterà le leggi. Dopo le reiterate minacce del presidente americano, l’Unesco ha ricordato in un comunicato che Washington ha firmato la convenzione per la protezione dei siti culturali.

Bruxelles batte un colpo

Sull’Iran “nessuno può permettersi una escalation” che “non è nell’interesse di nessuno”, ha detto il portavoce del Servizio europeo di azione esterna diretto dall’Alto rappresentante Josep Borrell, Peter Stano, commentando la situazione dopo l’uccisione del generale Solemaini. “Non possiamo permetterci ulteriore escalation”, ha spiegato il portavoce, spiegando che Borrell è impegnato “in contatti con tutti i partner rilevanti” per favorire una de-escalation. “Profondo rammarico per la scelta dell’Iran sul nucleare” Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha espresso “profondo rammarico” dell’Ue per l’annuncio dell’Iran sul nuovo superamento dei limiti all’arricchimento dell’uranio. “La piena applicazione dell’accordo nucleare da parte di tutti è ora più importante che mai, per la stabilità regionale e la sicurezza globale”, ha scritto Borrell su Twitter.  I ministri degli Esteri dell’Unione europea si riuniranno venerdì prossimo a Bruxelles in un vertice straordinario per discutere della crisi in Iran e Iraq. Secondo quanto si apprende a Bruxelles, non è escluso che si discuterà anche della questione libica. Discutere non è sinonimo di decidere. Tanto meno di contare. L’Europa è fuorigioco.

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