di Pancrazio Anfuso Cardelli
Quando succede un disastro, e succede spesso, si mette mano alla retorica e si dà la stura al racconto: angeli del fango, valorosi che salvano persone o animali in difficoltà, storie di persone che perdono tutto e che si rimboccano le maniche per ricominciare. Nella peggiore delle ipotesi, i superstiti che raccontano chi non c’è più o piangono sulla distruzione del risultato di anni di lavoro e di secoli di storia.
Sulla prevenzione c’è, in genere, una severa critica (spesso generica) su chi poteva fare e non ha fatto, o poteva dire e non ha detto. Parte la caccia al responsabile, e poi, spesso, il brodo si allunga, tra lentezze della giustizia e prodigi della difesa legale.
Nel caso di terribili cataclismi naturali, poi, si mette mano all’opzione fatalità, che colloca l’evento sempre al di là del prevedibile, del ragionevole, del possibile. Si ragiona, perciò, senza mettere mano alla prevenzione, o facendolo blandamente prima che accada l’irreparabile. Figurarsi, poi, se si tratta di eventi dipendenti dal cambiamento climatico, a oggi, nonostante le evidenze schiaccianti, ancora oggetto di scontro politico tra opposte fazioni (meglio, forse, chiamarle tifoserie).
I dati su cui basare certe decisioni ci sono, e sono pubblici: cito la preziosa newsletter di Donata Columbro, giornalista e scrittrice (tispiegoildato.it): “Il sito di Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, ha una sezione dati e indicatori aggiornata e divisa in 13 sezioni, dai cambiamenti climatici alla biodiversità, dai rifiuti all’aria”. In più, spiega Columbro, c’è l’Istat, che fornisce, con la sua mappa dei rischi, un’informazione locale, comune per comune, dell’esposizione ai maggiori rischi ambientali e non solo.
E ogni comune rende pubblico, e trovarlo è agevole, il suo piano di protezione civile, che dovrebbe orientare la popolazione in caso di emergenza. Quest’inverno c’è stato un piccolo sciame sismico nella zona dove abito, a Siena, e c’è stata una fervida attività di informazione da parte dell’università alla quale hanno partecipato molti cittadini, ma il tema della prevenzione è tramontato con l’emergenza: la presenza di un rischio sismico non è considerata incombente, c’è da dare precedenza, semmai, alla battaglia per l’elezione del sindaco, sicuramente più attuale.
Si tratta di esempi, anche banali. Però se ci basiamo sulla mappa del rischio sismico di Istat (accelerazione sismica max suolo) vediamo che i dati ci sono e sono monitorati perfettamente. Eccola:
Il massimo rischio è indicato dal colore viola, che precede quello rosso, anche lui molto elevato. Sarebbe interessante conoscere cosa viene fatto per prevenire il rischio in quelle zone, concretamente. Se è vero che ci sono strumenti e risorse disponibili, sotto forma di agevolazione fiscale o di contributo pubblico, è anche vero che la questione si solleva spesso a danno fatto, con stanziamenti ingenti per soluzioni transitorie, moratorie dei pagamenti delle imposte e dei contributi, casse integrazioni in deroga, e interventi in gestione dell’emergenza che ci trovano esperti ed efficaci, come sistema di protezione civile.
Non è la stessa cosa quando si tratta di ricostruire. Basta guardare alla situazione nelle zone colpite dai recenti terremoti più distruttivi. Per esempio, ad Amatrice, dove la ricostruzione procede a rilento.
Sulla prevenzione si è detto. Quanto ai piani per la protezione civile, ogni Comune pubblica il suo, basta cercare. A proposito di Amatrice, il piano di protezione civile predisposto dal Comune, reperibile sul sito istituzionale, è fermo al 2013. Leggerlo fa impressione. Vero che l’emergenza è tuttora in corso, ma un piccolo passo simbolico verso la normalità potrebbe essere anche un aggiornamento del documento.
Per dare un senso alla parola prevenzione, in un momento in cui a rappresentare il rischio si passa, se va bene, per uccelli del malaugurio, in un paese in cui c’è chi crede che un prete possa fermare un’onda di piena.
E poi, parliamoci chiaro, chi rompe le scatole con i rischi del territorio poi rischia di perdere le elezioni: così la ricerca del consenso finisce per prevalere. Anche sul bene comune. Così si consente di costruire sugli argini dei fiumi, si sottovaluta il rischio climatico, si rinuncia a demolire, si agevolano le sanatorie che portano pure qualche soldo.