La crisi climatica affama il mondo: il rapporto Oxfam che inchioda i grandi della Terra
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La crisi climatica affama il mondo: il rapporto Oxfam che inchioda i grandi della Terra

In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei 10 paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi: erano 21 milioni nel 2016, oggi sono 48 milioni

La crisi climatica affama il mondo: il rapporto Oxfam che inchioda i grandi della Terra
Crisi climatica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Settembre 2022 - 16.30


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E’ un j’accuse possente. Possente perché documentato. Possente perché alla denuncia accompagna una visione, un progetto, proposte che coniugano idealità e concretezza. E’ il “marchio di fabbrica” di Oxfam.

“La crisi climatica affama il mondo”

In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei 10 paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi: erano 21 milioni nel 2016, oggi sono 48 milioni, 18 milioni dei quali realmente sull’orlo della carestia.

Siccità, desertificazione, cicloni e alluvioni sempre più frequenti stanno mettendo a rischio milioni di vite nei contesti più vulnerabili del pianeta. Per far fronte alle crisi umanitarie che ne conseguono servono 49 miliardi di dollari, ossia la cifra richiesta dalle Nazioni Unite nell’appello per il 2022: un ammontare equivalente ai profitti realizzati in meno di 18 giorni dalle grandi aziende energetiche dei combustibili fossili.

È l’allarme lanciato da Oxfam, con un nuovo rapporto pubblicato oggi, in vista dell’Assemblea annuale delle Nazioni Unite di questa settimana e della Cop27 sui cambiamenti climatici di novembre.

“La crisi climatica non è più un’emergenza pronta ad esplodere, ma una realtà di portata epocale che si sta consumando sotto i nostri occhi – rimarca Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia -. Il numero di eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili è cresciuto di ben 5 volte nell’ultimo mezzo secolo. Per milioni di persone già colpite dagli effetti della guerra in Ucraina e dalle crescenti disuguaglianze, è impossibile fronteggiare i disastri climatici. Basti pensare che tra il 2010 e il 2019 i danni materiali diretti e indiretti dovuti al clima sono stati in media di 3,43 milioni di dollari al giorno. Siamo di fronte ad una tempesta perfetta che produce una crescita esponenziale della fame globale, per la quale devono essere adottate misure urgenti, radicali e non più rinviabili. Di questo passo tra il 2030 e il 2050 fino a 720 milioni di persone – ovvero 1 abitante su 11 del pianeta  – rischia di ritrovarsi in condizioni di povertà estrema a causa della crisi climatica”.

La mappa della disuguaglianza climatica

I 10 Paesi al mondo più colpiti da eventi climatici estremi negli ultimi 20 anni sono Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe.

Stati che, pur pagando il prezzo più alto del cambiamento climatico, messi assieme sono responsabili di appena lo 0,13% delle emissioni globali di CO2 in atmosfera, mentre i Paesi del G20 ne producono il 76,60%. Con i Paesi G7 che impattano da soli per quasi la metà delle emissioni globali a fronte di una capacità di risposta e adattamento nemmeno lontanamente paragonabile a quella di questi 10 paesi. 

Gli effetti più drammatici della crisi climatica si riscontrano in questo momento nei seguenti stati: Somalia – al 172° posto su 182 paesi per la capacità di risposta alla crisi climatica – con la peggiore siccità mai registrata, una carestia già in corso nei distretti di Baidoa e Burhakaba e 1 milione di persone costrette a lasciare le proprie case per sopravvivere; Kenya, dove la siccità ha ucciso quasi 2,5 milioni di capi di bestiame e lasciato 2,4 milioni di persone senza cibo, tra cui centinaia di migliaia di bambini; Niger, con 2,6 milioni di persone che soffrono di fame acuta (+767% rispetto al 2016), mentre la produzione di cereali è crollata di quasi il 40% per l’impatto di alluvioni, siccità e del conflitto che attraversa il Paese; Burkina Faso dove i livelli di fame sono cresciuti del 1350% dal 2016, con oltre 3,4 milioni di persone senza cibo a causa del conflitto in corso nel paese e del processo di desertificazione che sta bruciando campi e pascoli; Guatemala, dove una gravissima siccità ha contribuito alla perdita di quasi l’80% del raccolto di mais e devastato le piantagioni di caffè.

“Non abbiamo mangiato per otto giorni e ho dovuto vendere la terra dove non cresceva più niente per la siccità“, testimonia Mariana López, madre, che vive a Naranjo, nel Corridoio Secco del Guatemala.

L’Africa produce il 2% delle emissioni, ma entro il 2030 118 milioni di persone saranno colpite dalla crisi climatica

Una catastrofe destinata a peggiorare se le temperature medie globali supereranno i 2°C di aumento (rispetto al periodo pre-industriale), con le produzioni di cereali come miglio e sorgo che potrebbero calare fino al 25% in paesi con Kenya e Burkina Faso. Nel complesso, l’Africa produce appena il 2% alle emissioni globali di CO2, ma gli effetti del cambiamento climatico entro il 2030 potrebbero costringere fino a 118 milioni di persone a fare i conti con siccità, inondazioni e temperature sempre più estreme.

“La fame, alimentata dal cambiamento climatico, è la riprova delle profonde disuguaglianze che attraversano il pianeta. – continua Petrelli – I Paesi che hanno minori responsabilità per la crisi climatica e quasi nessuno strumento per affrontarla, ne pagano il prezzo più alto. Nell’indice globale che misura quanto i diversi paesi siano in grado di adattarsi al cambiamento climatico, quelli più colpiti sono agli ultimi posti. Paradossalmente, i leader delle nazioni più ricche, come quelle del G20 – che controllano l’80% dell’economia mondiale -continuano a difendere gli interessi delle aziende più ricche e inquinanti, spesso tra i primi sostenitori delle loro campagne politiche ed elettorali. Si stima che le aziende che producono energia dai combustibili fossili abbiano realizzato in media 2,8 miliardi di dollari al giorno di profitti negli ultimi 50 anni. È evidente quindi quanto sia urgente un cambio di paradigma per far fronte a questa immane crisi”.

L’appello ai leader mondiali

“Facciamo appello ai leader mondiali, che parteciperanno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di questa settimana e alla COP 27 di novembre, perché mantengano le promesse fatte più volte sul taglio delle emissioni e sui finanziamenti per l’adattamento alla crisi climatica dei paesi poveri e più colpiti. – conclude Petrelli – È necessario inoltre stanziare immediatamente le risorse richieste dalle Nazioni Unite per fronteggiare l’emergenza. Farlo è un dovere etico, non è carità. È un’assunzione di responsabilità che riguarda il nostro comune futuro. È poi evidente, che non possiamo risolvere la crisi climatica senza correggere le disuguaglianze presenti nel sistema alimentare e in quello energetico. La strada da seguire è far pagare chi inquina di più: un’addizionale di appena l’1% sui profitti annui delle multinazionali che producono energia da combustibili fossili porterebbe circa 10 miliardi di dollari di entrate per gli stati, sufficienti a colmare gli ammanchi finanziari per far fronte all’aumento della fame globale”.

Condannati alla fame

Sulla stessa lunghezza d’onda di Oxfam si muovono alcune tra le più importanti Agenzie delle Nazioni Unite.

 Nel mondo, il numero delle persone che soffrono la fame è salito a 828 milioni nel 2021. Si tratta di un aumento di circa 46 milioni di persone dal 2020 e 150 milioni di persone dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Sono i dati di un recente Rapporto delle Nazioni Unite che fornisce nuove prove di come il mondo si stia allontanando ulteriormente dal suo obiettivo di porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione in tutte le sue forme entro il 2030.

L’edizione 2022 del rapporto The State of Food and Nutrition in the World (Sofi) presenta aggiornamenti sulla situazione della sicurezza alimentare e della nutrizione in tutto il mondo, comprese le ultime stime sul costo e sull’accessibilità di una dieta sana. Il rapporto esamina anche i modi in cui i governi possono ripensare il loro attuale sostegno all’agricoltura per ridurre il costo di diete sane, tenendo conto delle limitate risorse pubbliche disponibili in molte parti del mondo.

Il rapporto è stato pubblicato congiuntamente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef), dal World Food Programme (Wfp) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).

I numeri dipingono un quadro a tinte fosche.  Ben 828 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2021: 46 milioni di persone in più rispetto all’anno precedente e 150 milioni in più dal 2019. Dopo essere rimasta relativamente invariata dal 2015, la percentuale di persone affamate è aumentata nel 2020 e ha continuato a crescere nel 2021, raggiungendo il 9,8 percento della popolazione mondiale, rispetto all’8 per centonel 2019 e al 9,3 per cento nel 2020. Circa 2,3 miliardi di persone nel mondo (29,3 per cento) hanno vissuto in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2021, 350 milioni in più rispetto a prima dello scoppio della pandemia di Covid 19. Quasi 924 milioni di persone (l’11,7 per cento della popolazione mondiale) hanno affrontato gravi livelli di insicurezza alimentare, un aumento di 207 milioni in due anni. Il divario di genere nell’insicurezza alimentare ha continuato a crescere nel 2021: il 31,9 per cento delle donne nel mondo ha sofferto di insicurezza alimentare moderata o grave, rispetto al 27,6 per cento degli uomini, un divario di oltre 4 punti percentuali, rispetto ai 3 punti percentuali nel 2020. Quasi 3,1 miliardi di persone non hanno potuto permettersi una dieta sana nel 2020, 112 milioni in più rispetto al 2019, un riflesso degli effetti dell’inflazione sui prezzi dei generi alimentari al consumo derivante dagli impatti economici della pandemia di Covid-19 e dalle misure messe in atto per contenerla. Si stima che circa 45 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni abbiano sofferto di deperimento, la forma più mortale di malnutrizione, che aumenta il rischio di morte dei bambini fino a 12 volte. Inoltre, 149 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni hanno avuto deficit di sviluppo a causa di una mancanza cronica di nutrienti essenziali nella loro dieta, mentre 39 milioni erano in sovrappeso. Si stanno compiendo progressi nell’allattamento al seno, con quasi il 44 per cento dei bambini di età inferiore ai sei mesi che, in tutto il mondo, sono stati allattati esclusivamente al seno nel 2020, anche se si è al di sotto dell’obiettivo del 50per cento entro il 2030. Desta grande preoccupazione il fatto che due bambini su tre non abbiano un regime alimentare diversificato, necessario per crescere e sviluppare il proprio pieno potenziale. Guardando al futuro, le proiezioni indicano che, nel 2030, quasi 670 milioni di persone (l’8 per cento della popolazione mondiale) dovranno ancora affrontare la fame, anche prendendo in considerazione una ripresa economica globale. Si tratta di un numero simile al 2015, quando l’obiettivo di porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione entro la fine di questo decennio fu lanciato nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Nel periodo di pubblicazione di questo rapporto, la guerra in corso in Ucraina, che coinvolge due dei maggiori produttori mondiali di cereali, di olio di semi e di fertilizzanti, sta sconvolgendo le catene di approvvigionamento internazionali e facendo aumentare i prezzi di grano, fertilizzanti, energia, nonché degli alimenti terapeutici pronti all’uso per bambini che soffrono di malnutrizione grave. Ciò accade mentre le catene di approvvigionamento sono già colpite negativamente da eventi climatici estremi sempre più frequenti, specialmente nei paesi a basso reddito, e ha implicazioni potenzialmente preoccupanti per la sicurezza alimentare e la nutrizione globali.

“Questo rapporto evidenzia ripetutamente l’intensificarsi di questi principali fattori di insicurezza alimentare e malnutrizione: conflitti, shock climatici estremi e economici, combinati con crescenti disuguaglianze”, hanno scritto nella Prefazione di quest’anno i capi delle cinque agenzie delle Nazioni Unite. “La questione in gioco non è se le avversità continueranno a verificarsi o meno, ma come intraprendere azioni più audaci per costruire la resilienza contro gli shock futuri”.

A firmare il Report: Per la Fao – Qu Dongyu, Direttore Generale; per l’Ifad – Gilbert F. Houngbo, Presidente; per l’Unicef – Catherine Russell, Direttore generale; per il Wfp – David Beasley, Direttore Esecutivo; per l’Oms – Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale.

Dichiarazioni

Queste le loro considerazioni finali: il Direttore Generale della Fao QU Dongyu: “I paesi a basso reddito, dove l’agricoltura è fondamentale per l’economia, per i posti di lavoro e i mezzi di sussistenza rurali, hanno poche risorse pubbliche da riconvertire. L’impegno della Fao è continuare a lavorare insieme a questi paesi per esplorare le opportunità di aumento della fornitura di servizi pubblici a tutti gli attori nei sistemi agroalimentari”.

Il Presidente dell’IfadGilbert F. Houngbo: “Sono cifre deprimenti per l’umanità. Continuiamo ad allontanarci dal nostro obiettivo di porre fine alla fame entro il 2030. Gli effetti a catena della crisi alimentare globale molto probabilmente peggioreranno anche il prossimo anno. Abbiamo bisogno di un approccio più solido per porre fine alla fame e l’Ifad è pronta a fare la sua parte aumentando le sue operazioni e il suo impatto. Saremo felici di avere il sostegno di tutti”.

Il Direttore generale dell’Unicef Catherine Russell: “La portata senza precedenti della crisi della malnutrizione richiede una risposta senza precedenti. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per fare in modo che i bambini più vulnerabili abbiano accesso a diete nutrienti, sicure ed economicamente accessibili, come anche a servizi per la prevenzione precoce, l’individuazione e la cura della malnutrizione. In gioco ci sono le vite e il futuro di tantissimi bambini, ed è questo il momento di intensificare il nostro lavoro a supporto dell’alimentazione infantile, non c’è tempo da perdere”.

Il Direttore Esecutivo del Wfp David Beasley: “C’è il pericolo reale che questi numeri salgano ancora di più nei prossimi mesi. I picchi globali dei prezzi di cibo, carburante e fertilizzanti a cui stiamo assistendo a seguito della crisi in Ucraina minacciano di far precipitare nella carestia diversi paesi nel mondo. Il risultato sarà destabilizzazione globale, fame e migrazioni di massa a livelli senza precedenti. Dobbiamo agire oggi per evitare questa catastrofe all’orizzonte”.

Il Direttore Generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus: “Ogni anno muoiono 11 milioni di persone a causa di diete non sane. Situazione che non potrà che peggiorare con l’aumento dei prezzi del cibo. L’Oms sostiene gli sforzi dei paesi per migliorare i sistemi alimentari tassando i cibi non sani e sovvenzionando opzioni salutari, proteggendo i bambini da marketing dannoso e garantendo etichette nutrizionali chiare. Dobbiamo lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi nutrizionali globali per il 2030, combattere la fame e la malnutrizione e garantire che il cibo sia una fonte di salute per tutti”.

E’ quanto rilanciato da Oxfam. C’è chi non si arrende a vivere in un mondo sempre più ingiusto e disuguale. Sono i nuovi partigiani del XXI° secolo. 

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