Cop26: quelle lacrime suggellano un fallimento mascherato da accordo "annacquato"
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Cop26: quelle lacrime suggellano un fallimento mascherato da accordo "annacquato"

Le lacrime del presidente della Cop 26, Alok Sharma, mentre legge dalla tribuna il faticoso accordo che chiude il summit di Glasgow, raccontano di un fallimento.

Alok Sharma
Alok Sharma
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14 Novembre 2021 - 16.19


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Spesso l’emozione svela la verità molto più delle fredde parole. Soprattutto quando si tratta di emozioni forti, dolorose, segno visibile di sofferenza e di delusione. E così le lacrime del presidente della Cop 26, Alok Sharma, mentre legge dalla tribuna il faticoso accordo che chiude il summit di Glasgow, raccontano di un fallimento. “Capisco la profonda delusione, ma è vitale che proteggiamo questo pacchetto”, dice Sharma, visibilmente commosso nell’annunciare l’intesa sul clima che però prevede una forte concessione sul carbone. “Sono profondamente dispiaciuto”, ha detto prima di interrompere il discorso per l’emozione. 

Compromesso al ribasso

I testi approvati dalla Cop26 sono un “compromesso. Riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo oggi”, afferma segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, sottolineando che gli accordi sono un passo importante ma la “collettiva volontà politica non è stata abbastanza per superare le profonde contraddizioni”.

Solo bla bla bla 

“La Cop26 è finita. Ecco un breve riassunto: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da questi saloni. E noi non ci arrenderemo mai, mai”: è quanto scrive su Twitter l’attivista svedese Greta Thunberg.

“Ma dove vivono quei leader mondiali?”

Commenta Gabriela Bucher, direttore esecutivo di Oxfam International: Chiaramente alcuni leader mondiali pensano di non vivere sullo stesso pianeta del resto di noi. Sembra che nessuna quantità di incendi, innalzamento del livello del mare o siccità li farà rinsavire per fermare l’aumento delle emissioni a spese dell’umanità. Il tempo estremo e punitivo sta già distruggendo le vite dei più vulnerabili. Le persone sono a malapena aggrappate, avendo poche risorse per far fronte alla costante minaccia di perdere tutto ciò che possiedono. I più poveri del mondo sono quelli che hanno fatto di meno per causare l’emergenza climatica, eppure sono quelli che lottano per sopravvivere mentre pagano il conto.

La richiesta di rafforzare gli obiettivi di riduzione del 2030 entro il prossimo anno è un passo importante. Il lavoro inizia ora. I grandi emettitori, specialmente i paesi ricchi, devono ascoltare l’appello e allineare i loro obiettivi per darci la migliore possibilità possibile di mantenere 1,5 gradi a portata di mano. Nonostante anni di colloqui, le emissioni continuano ad aumentare e siamo pericolosamente vicini a perdere questa corsa contro il tempo.

“I Paesi in via di sviluppo, che rappresentano più di 6 miliardi di persone, hanno proposto un meccanismo di finanziamento delle perdite e dei danni per ricostruire le conseguenze di eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico. Non solo i paesi ricchi l’hanno bloccato, ma tutto ciò che hanno accettato è un finanziamento limitato per l’assistenza tecnica e un “dialogo”. Questo risultato irrisorio è sordo alla sofferenza di milioni di persone sia ora che in futuro.

Per la prima volta, è stato concordato un obiettivo per il finanziamento dell’adattamento. L’impegno a raddoppiare è al di sotto di quello che i Paesi in via di sviluppo hanno chiesto e di cui hanno bisogno, ma se realizzato aumenterà il sostegno ai paesi in via di sviluppo di miliardi. 

È doloroso che gli sforzi diplomatici siano ancora una volta falliti per far fronte alla portata di questa crisi – conclude il direttore esecutivo di Oxfam –  Ma dovremmo trarre forza dal crescente movimento di persone in tutto il mondo che sfidano e chiedono conto ai nostri governi di tutto ciò che ci è caro. Un mondo migliore è possibile. Con creatività, con coraggio, possiamo e dobbiamo mantenere questa convinzione”.

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Wwf: “Finale deludente”

 “Siamo venuti a Glasgow aspettandoci dai leader globali un accordo che prevedesse un cambio di passo nella velocità e nella portata dell’azione climatica. Anche se questo cambio di passo non è arrivato, e il testo concordato sia lontano dalla perfezione, secondo il Wwf ci stiamo muovendo nella giusta direzione”. Cosi il Wwf in una nota commenta l’esito di Cop 26. “La Cop26 si è conclusa con decisioni deboli in una serie di aree importanti, tra cui l’adattamento, il cosiddetto Loss and Damage (perdite e danni) e la finanza climatica”. Il Wwf nota però che “questa Cop per la prima volta menziona i sussidi ai combustibili fossili in un testo finale approvato. Questo è un elemento importante”. Il WWF inoltre accoglie con favore la richiesta di un’accelerazione a breve termine degli impegni per il clima entro il 2022. Inoltre, si legge nella nota,” è importante il fatto che il testo finale riconosca il ruolo critico della natura nel raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C, incoraggi i governi a incorporare la natura nei loro piani climatici nazionali e stabilisca un dialogo annuale sugli oceani per la mitigazione basata sugli oceani”.

Greenpeace: accordo debole ma era del carbone è alla fine 

“E’ un accordo debole e manca di coraggio. L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C è appeso a un filo ma è stato dato un chiaro segnale: l’era del carbone è agli sgoccioli e questo conta”. Questa la risposta alla conclusione della COP26 di Glasgow di Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. “Mentre si riconosce la necessità di tagliare in modo drastico le emissioni già in questo decennio, gli impegni sono stati però rimandati al prossimo anno”. “Tutto quello che siamo riusciti a ottenere è stato solo grazie ai giovani, ai leader indigeni, agli attivisti e ai Paesi più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche impegno concesso a malincuore. Senza di loro, questi negoziati sarebbero stati un completo fallimento”.

I punti principali 

L’accordo conferma l’obiettivo di limitare a 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale, rispetto ai livelli pre-industriali, obiettivo per il quale è necessario garantire significative riduzioni delle emissioni globali di gas serra, con emissioni zero entro il 2050. Il documento finale chiede quindi di “accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia a carbone” e di “eliminare gradualmente” i sussidi ai combustibili fossili, fornendo al contempo un sostegno mirato ai paesi più poveri e vulnerabili, in linea con i contributi nazionali, e riconoscendo “la necessità di sostegno verso una transizione giusta”. Ai paesi che sottoscrivono l’accordo viene chiesto di “rivedere e rafforzare” i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, “tenendo conto delle diverse circostanze nazionali”. E ai paesi ricchi si chiede di “almeno raddoppiare” entro il 2025, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per sostenere l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo. 

Un’analisi impeccabile

E’ quella sviluppata dal sito rinnovabili.it, tra i più autorevoli in materia, in un articolo a firma l.m.

 “Ci sono voluti 26 vertici internazionali- scrive l’autore –  sul clima per riuscire a inserire la parola “combustibili fossili” vicino a ‘phase out’ in una dichiarazione finale. Questo è più o meno tutto quello che di realmente positivo si può dire dell’accordo uscito da 2 settimane di negoziati alla Cop26. Il Glasgow Climate Pact – questo è il nome ufficiale del testo – è ovviamente un grande compromesso tra quasi 200 nazioni, e com’è normale che sia tiene insieme interessi, priorità e punti di vista molto diversi. E lo fa scontentando tutti, com’è fisiologico.

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Il grande problema è che il risultato è un accordo estremamente debole, con molte scappatoie, zeppo di frasi arzigogolate che alla fine dei conti rinviano la soluzione dei nodi più critici. Nel migliore dei casi il rinvio è a Sharm el-Sheik, dove si terrà la Cop27 l’anno prossimo. Il patto sul clima di Glasgow, insomma, non è una sintesi degli interessi ma un Frankenstein assemblato a colpi di veti e minacce, alcuni arrivati persino fuori tempo massimo.

Il presidente della Cop26, il britannico Alok Sharma, vende il Glasgow Climate Pact come un accordo che tiene in vita l’obiettivo di 1,5 gradi. Sarà anche vero ma l’ha spedito in rianimazione, era il commento di molti nei corridoi della Cop26 a Glasgow e anche l’opinione del numero uno dell’Onu Antonio Guterres. 

Analizziamo i passaggi più importanti dell’accordo.

Per la prima volta, in un testo uscito da un vertice sul clima, si parla esplicitamente di abbandono graduale dei sussidi fossili. Tuttavia, il linguaggio usato è davvero debole. La prima versione parlava di “accelerare il phase out del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili”. Poi sono comparsi dei distinguo importanti: solo il “carbone non abbattuto” e solo i “sussidi inefficienti”.

L’ultima versione aggiunge altro fumo. “Chiede” agli Stati “accelerare gli sforzi verso il phase out”, e non il phase out stesso. E chiede di farlo “riconoscendo il bisogno di supporto per una transizione giusta”, formulazione che permette ai grandi produttori tra i Paesi in via di sviluppo (come l’India o l’Arabia Saudita) di pretendere soldi prima di promettere passi avanti nell’abbandono graduale di carbone e sussidi fossili.

E nemmeno questa versione, già debolissima, è passata. Durante la plenaria finale l’India si è messa di traverso e ha preteso di cambiare il ‘phase out’ del carbone   con un semplice ‘phase down’ : per il carbone, quindi, non si punta più all’addio ma semplicemente a una riduzione. Vale la pena di ricordare che da principio la Gran Bretagna aveva fissato come obiettivo numero 1 della Cop26 proprio l’addio al carbone. Chiamare il summit di Glasgow un ‘successo’, o anche soltanto ‘un passo nella giusta direzione’ è davvero un’impresa ardita se si considera il dossier del carbone.

Sui tagli delle emissioni, la soluzione della Cop26 è…la Cop27

È piuttosto semplice dare un giudizio al capitolo sulle misure di mitigazione del cambiamento climatico. Prima della COP26, i tagli alle emissioni promessi per il 2030 portavano il riscaldamento globale a +2,7°C. Con i nuovi impegni annunciati a Glasgow arriveremo a 2,4C: quasi un grado sopra l’obiettivo di 1,5 gradi.

Se la presidenza UK può dire che il patto sul clima di Glasgow tiene viva la speranza, è solo perché l’accordo prevede un nuovo round di promesse già l’anno prossimo. L’impegno è di tornare al tavolo negoziale, che sarà a Sharm el-Sheik in riva al mar Rosso, con impegni più forti contro i gas serra. Il problema è che se questa volta strappare delle concessioni è stata dura, tra un anno sarà anche peggio. Sono molti i Paesi che ritengono di aver già promesso fin troppo e che si aspettano un balzo in avanti dalle economie avanzate e da chi ha più responsabilità nelle emissioni storiche (quelle accumulate dalla metà del ‘700 a oggi).

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Ancora un rinvio per la finanza climatica

Nel 2009 i Paesi ricchi hanno promesso 100 mld l’anno entro il 2020 ai paesi più colpiti dall’impatto del cambiamento climatico. Finora non hanno mantenuto la promessa e con la Cop26 si impegnano a raggiungere la cifra nel 2023. L’accordo invita i Paesi a raddoppiare la loro quota di finanza climatica già il prossimo anno (ma sui livelli del 2019): è l’unica concessione alle richieste dei paesi più vulnerabili.

Cosa manca dall’accordo? Manca una cifra annuale da mobilitare a partire dal 2025, cioè il punto centrale delle discussioni di queste settimane. I Paesi ricchi, Ue e Usa in testa, hanno frenato. Le delegazioni africane chiedevano 1.300 mld l’anno che ovviamente non si sono materializzati. E tutto il discorso è di fatto rinviato alle prossime conferenze sul clima.

Quello che ha fatto infuriare i delegati degli Stati insulari e dei paesi vulnerabili è il nulla di fatto sul capitolo loss&damage. L’accordo di Parigi prevede fondi per chi ha subito perdite e danni a causa del cambiamento climatico. La Cop24 ha istituito un meccanismo – solo su carta – per gestire il dossier. Mancano però gli ultimi ingranaggi per farlo funzionare e manca soprattutto il carburante, cioè i fondi. Dall’accordo sono sparite tutte le proposte avanzate e la versione finale rimanda anche questo tema alla Cop27.

La Cop26 partorisce un mercato del carbonio globale

A Glasgow è arrivata finalmente la parola fine sull’articolo 6 dell’accordo di Parigi. Tra le misure più importanti c’è la creazione di un mercato globale del carbonio. Molti i punti critici. Il nuovo sistema fa largo affidamento sui carbon offset, le compensazioni, come la CO2 sequestrata dalle foreste. Una soluzione che non porta a tagli delle emissioni, è difficile da monitorare, non garantisce che il sequestro della CO2 sia permanente.

E ancora: solo il 2% delle quote sarà ritirato ogni anno. Solo una parte molto esigua dei proventi sarà destinata in misure di adattamento per i paesi più vulnerabili. Tutti i crediti emessi dopo il 2013 (pari a 320 mln di t di CO2), sotto il vecchio sistema di scambio nato con il protocollo di Kyoto, saranno considerati validi anche nel nuovo mercato globale del carbonio partorito dalla Cop26. La richiesta di molti era di impedire del tutto di trascinare i vecchi crediti nel nuovo sistema. In teoria si evita di contare due volte i crediti (sia nei tagli delle emissioni di chi vende, sia in quelli di chi compra il credito): ma restano molte scappatoie e un linguaggio troppo interpretabile non aiuta”.

Analisi dettagliata, puntuale, chirurgica. Che riempie di contenuti le lacrime del presidente Sharma.

E l’Italia?

“Non è un compromesso annacquato, dovevamo portare a bordo tutto il mondo, più di 195 Paesi, con un accordo che doveva tenere la barra a 1,5 gradi il riscaldamento globale e non a 2: India e Cina hanno posto sostanzialmente un veto, hanno chiesto un alleggerimento di una condizione che, posso garantire, è abbastanza marginale, però questo ci ha consentito di averli a bordo nella Cop che adesso ha sancito le regole di trasparenza e implementazione per quello che faremo nei prossimi anni. Io non sono soddisfattissimo, però mi rendo conto che con queste dimensioni a questi livelli, purtroppo il compromesso è parte del mestiere. Qui non si tratta di tecnica, ma di diplomazia”, commenta il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ai microfoni di Rainews24, 

Che dire? Il cerchiobottismo impera.

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