Perché nel paese dove i ricchi sono sempre più ricchi tassare dell'1% i 'paperoni' provoca una rivolta
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Perché nel paese dove i ricchi sono sempre più ricchi tassare dell'1% i 'paperoni' provoca una rivolta

Sono bastati un paio di emendamenti alla Finanziaria per un'imposta una tantum, nel 2021, a carico delle maggiori ricchezze patrimoniali che apriti cielo. Un pandemonio. Eppure i dati...

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Claudio Visani Modifica articolo

2 Dicembre 2020 - 14.38


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Non è vero che siamo tutti nella stessa barca. La pandemia non colpisce allo stesso modo. Se andate a vedere le statistiche, il maggior numero di contagi e di morti avviene nelle periferie delle nostre città e nelle zone più povere del mondo. Ma non c’è solo l’emergenza sanitaria. L’Istat ci dice che in Italia l’anno del Covid ha fatto cinque milioni di nuovi poveri facendo salire a 13 milioni i cittadini che si trovano in una condizione di povertà assoluta e relativa, poco meno di un quarto della popolazione. Famiglie che tirano avanti con mille euro al mese, persone che non hanno più i soldi per mangiare, pagare l’affitto e le bollette. Quando sarà passata l’emergenza sanitaria, sperando che passi, ci ritroveremo con un Paese in ginocchio, lontano dagli standard che i cinquanta-sessantenni di oggi hanno conosciuto, con un debito enorme (dal 130 al 160% del Pil in nove mesi) caricato sulle spalle dei nostri figli e nipoti ai quali lasciamo un futuro ricco soltanto di incertezze e angosce.
Eppure sono bastati un paio di emendamenti alla Finanziaria per un’imposta una tantum, nel 2021, a carico delle maggiori ricchezze patrimoniali che apriti cielo. Un pandemonio. La stampa italiana monopolizzata dai maestri del liberismo de ‘noantri che tuona all’unisono contro lo spauracchio della “patrimoniale” e in difesa del mitico ceto medio. Zingaretti che prende subito le distanze. Renzi e Di Maio che parlano di “suicidio politico”. Tutti più o meno allineati al refrain di Salvini, Meloni e Berlusconi “no a nuove tasse”. A prescindere dai fatti. Che ora provo a descrivere.
Si potrà disquisire sulla modalità scelta – l’emendamento alla legge di bilancio – e sulla strumentalità o meno dell’iniziativa, ma ciò che è stato proposto da alcuni parlamentari di Leu e del Pd (Bersani, Fornaro, Epifani, Fratoianni, Orfini e altri) è questo: un contributo di solidarietà a carico di chi ha una ricchezza netta superiore a 500mila euro (Fratoianni-Orfini) o a 1,5 milioni di euro (Bersani e altri), escludendo dal calcolo l’abitazione principale e sostituendo le micro-patrimoniali esistenti (Imu sulle seconde case, imposte di bollo su conti correnti e titoli) con una imposta progressiva dallo 0,2 al 2% (Fratoianni-Orfini) o dell’1% (Bersani) applicata al valore patrimoniale che verrà definito (oltre i 500mila o l’1,5 milioni di euro). Un contributo di solidarietà che andrebbe a toccare il 5-6% più ricco della popolazione italiana che oggi detiene la metà della ricchezza nazionale, che si dovrebbe pagare entro il novembre 2021 e il cui gettito (da 10 a 18 miliardi secondo le stime) verrebbe destinato “all’attuazione di politiche sociali atte a contrastare gli effetti prodotti dalla crisi determinata dalla pandemia Covid 19”. 
Questo è, nella sostanza. Un obolo (si stima mediamente di mille-duemila euro, compensando nuova patrimoniale e vecchie tasse) che si chiede ai più benestanti e ricchi, che poi sono anche i meno colpiti dalle conseguenze sanitarie e socio-economiche del virus. Chi sarebbero costoro? Secondo uno studio della Banca d’Italia il patrimonio netto della famiglia media italiana è di 126 mila euro e deriva in gran parte dalla proprietà immobiliare. Il valore medio delle case possedute dalla stessa famiglia media è di 170 mila euro. A superare la soglia dei 500 mila euro di ricchezza familiare complessiva (al netto di debiti e mutui), sempre secondo Banca d’Italia, è meno di una famiglia su dieci, che pagherebbe il nuovo contributo solidale ma non più Imu e imposte di bollo. Tra questi più fortunati solo il 2% sono operai, poco più del 7% impiegati e solo un pensionato su 10, a fronte di un quarto di dirigenti e di un po’ meno di un terzo di imprenditori. 
L’ultimo rapporto Oxfam ci dice, inoltre, che il 20% degli italiani detiene oggi il 72% della ricchezza nazionale, che il 5% più ricco ha una ricchezza pari a quella detenuta dal 90% più povero e che l’1% di straricchi possiede il 24,3% della ricchezza complessiva pari a 20 volte quella detenuta dal 20% più povero della popolazione. Oxfam ci dice anche che tra il 2000 e il 2018 la quota di ricchezza detenuta dal top 10% è cresciuta di sei punti, passando dal 50 al 56%, mentre la quota della metà più povera degli italiani è costantemente scesa, passando dal 13% di inizio millennio al 7,85% di metà 2018.
E’ vero che il problema principale dell’Italia è la lotta all’evasione fiscale che tutti proclamano e nessuno concretamente ha finora fatto. E’ vero che il pericolo è che questa patrimoniale, che sarebbe meglio chiamare contributo di solidarietà, alla fine la paghino gli stessi benestanti e ricchi che già pagano regolarmente le tasse e non gli altri. Ma bisognerà pur cominciare a dire che un riequilibrio delle tasse è ora di farlo, e che mai come ora sarebbe giustificato chiedere a chi più ha di dare di più. Anche perché siamo l’eccezione in Europa. L’unico Paese che nell’ultimo quarto di secolo ha deciso di detassare i patrimoni per tassare di più i redditi. Col risultato che l’80% dell’Irpef è oggi pagata da lavoratori dipendenti e pensionati. Ma per invertire questo andazzo servirebbe una politica con la P maiuscola, un governo forte e coeso, una classe dirigente di spessore, qualche idea lunga di ricostruzione e ripartenza che vada oltre il modello di società attuale. Invece si alzano barricate preventive – a sinistra come al centro come a destra – contro una tassazione che sarebbe più equa e solidale. Sapendo, tra l’altro, che la montagna di debiti che stiamo facendo qualcuno la dovrà ripianare, che di lavoro ce n’è sempre meno e che a sfoltire il gettito dai pensionati ci sta già pensando il Covid.

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