Perché il decreto "Cura Italia" non è una cura risolutiva
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Perché il decreto "Cura Italia" non è una cura risolutiva

Bisogna chiedere agli altri stati e alle istituzioni europee che sia adottato un regime speciale di emergenza.

Giuseppe Conte
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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

19 Marzo 2020 - 10.37


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Ieri mattina abbiamo avuto tutti la possibilità di leggere il decreto del governo preannunciato nei giorni scorsi dal titolo eloquente: “Cura Italia”.
Il suo obiettivo, in questo momento così drammatico per le sorti del paese, è quindi chiaro. Sotto il profilo qualitativo il provvedimento è stato definito dal capo dell’esecutivo “un modello da seguire”, così come i provvedimenti adottati per contrastare la diffusione del virus.
Quali sono i provvedimenti salienti che questo decreto contiene? In campo fiscale: viene sospeso il versamento delle ritenute di acconto dei contributi previdenziali ed assistenziali; viene sospeso ogni adempimento fiscale in scadenza tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020; viene riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dei canoni di locazione ai soggetti esercenti attività di impresa.
In campo sociale: viene introdotto un nuovo trattamento di cassa integrazione ordinario in sostituzione di alcuni precedenti ammortizzatori sociali; viene istituita una nuova cassa integrazione in deroga autorizzata dalle Regioni; viene introdotto un credito d’imposta nella misura del 60% per botteghe e negozi, relativamente ai canoni di locazione a loro carico; viene riconosciuta ai titolari di partita iva e ad altri lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ed altri una indennità una tantum pari a 500 euro; In favore delle imprese: lo stato fornisce una garanzia per prestiti fino a 5 milioni di euro finalizzata a investimenti e ristrutturazioni di debito; in favore delle imprese che hanno sofferto una riduzione del fatturato Cassa depositi e prestiti è autorizzata a concedere liquidità anche fornendo garanzia alle banche; qualora una società ceda a titolo oneroso crediti nei confronti di debitori inadempienti può trasformare in credito d’imposta le attività per imposte anticipate, viene istituito un Fondo Made in Italy per promuovere la internalizzazione delle imprese. Ci sono poi varie altre misure meritevoli di rilievo a sostegno delle famiglie, dei dipendenti, dei professionisti, delle università, degli enti locali, della giustizia, moratorie per privati ed imprese su finanziamenti e prestiti, e lo sforzo profuso rispetto ad altre manovre degli ultimi anni appare effettivamente consistente.
La domanda che dobbiamo comunque necessariamente porci in merito è: questi provvedimenti, ancorchè apprezzabili per l’ampiezza e la dimensione, sono idonei a mettere il nostro paese in condizioni di fronteggiare più o meno efficacemente la inedita situazione in cui ci troviamo sino al ritorno alla normalità? Prima di provare ad elaborare una risposta cerchiamo di descrivere la peculiarità di detta situazione. Lo stato di crisi attuale è molto diverso dalle crisi attraversate dal 2001 ad oggi. Siamo entrati improvvisamente in una dimensione buia, del tutto sconosciuta. Il gelo più rigido è sceso nella nostra vita sociale e di conseguenza nella nostra economia. Interi settori nevralgici sono completamente paralizzati. Tutti vivono nell’incertezza più completa sul futuro proprio e dell’intero sistema economico- sociale. L’unica certezza che abbiamo è che più dura questa situazione e più devastanti saranno gli effetti che dovremo sopportare. Il Presidente del Consiglio nel presentare il provvedimento ha dichiarato che per fronteggiare la situazione bisogna alzare una diga in quanto “non si può affrontare l’alluvione con i secchi d’acqua e con gli stracci”. Ha anche dichiarato che” non si può affrontare una situazione straordinaria come quella che stiamo vivendo senza mettere in campo misure straordinarie”. Un’ affermazione alquanto scontata. Ha quindi magnificato il “modello Italia” in campo sanitario ed economico, come modello preso o da prendere in riferimento da altri paesi europei e non solo.
Tutti noi vorremmo essere d’accordo con il primo ministro nel rimarcare che potremmo essere un esempio per gli altri ma si fa fatica a seguirlo con entusiasmo su questo piano osservando che ci attestiamo al secondo posto nel mondo per numeri di decessi e lo spread corre velocissimo verso soglie molto pericolose. Sembra di assistere allo stesso spettacolo vissuto durante il periodo del governo Monti, quando tutti gli interventi fatti: “Salva Italia”, “Agenda 2020”,“Cresci Italia” ecc… erano accompagnati da scrocianti applausi di quasi tutto l’establishment nazionale e subito dopo lo spread si impennava paurosamente ( nel luglio 2012 dopo sette mesi di governo Monti lo spread era ritornato a 540 punti base) fino a che non intervenne Mario Draghi con il suo celebre “Whatever it takes”, seguito da azioni realmente coerenti. Ripensando a quei tempi l’impressione che si ricava è che non abbiamo affatto imparato la lezione.
Un paese come il nostro con una altissima vulnerabilità finanziaria non può pensare di affrontare e superare shock avversi dalla virulenza come quella da cui siamo stati travolti, facendo affidamento sui soli mezzi propri, pensando addirittura di poter rappresentare un modello di riferimento. Innanzitutto va preso atto che questa situazione non è una alluvione ma è uno tzunami di proporzioni spaventose. Questa situazione non è straordinaria ma è unica, non ci sono precedenti paragonabili nella storia degli ultimi cento anni. In un tale contesto l’unico ombrello protettivo che abbiamo per evitare il tracollo economico e finanziario è l’utilizzo del debito pubblico; disponibilità che abbiamo fortemente compromesso per scelte miopi e fuorvianti del recente passato. Di conseguenza prima di giocarci a pieno la sua carta, visto che in magazzino abbiamo una riserva disponibile molto limitata (in termini di potenzialità di utilizzo in situazioni eccezionali), vanno prima prese le opportune precauzioni per salvaguardare la sua funzionalità. Non basta il nulla osta della commissione europea ad operare fuori dai vincoli dai bilanci. Infatti, se gli investitori nel nostro debito ( il terzo al mondo per rapporto debito/pil) percepiscono che stai utilizzando le tue ultime riserve senza tuttavia spenderle in modo risolutivo rispetto ai problemi presenti sul campo, cominceranno ad avere una percezione del rischio assunto troppo alta, per evidenti ragioni: Il Pil è destinato a contrarsi nel breve termine in modo molto accentuato ed il debito a salire altrettanto velocemente.
In una tale prospettiva sufficientemente certa, prima e dopo il decreto “Cura Italia”, e considerato che già in precedenza il livello di sostenibilità del nostro debito era considerato non ai massimi livelli nel mondo, per quale ragione gli investitori, dovrebbero mantenere in portafoglio i nostri titoli di debito, e non dovrebbero esser indotti a vendere? Ed ecco giunti al punto chiave, occorre necessariamente operare non trascurando il ragionamento che faranno (ed in gran parte stanno già facendo) gli investitori sui nostri titoli di stato, in quanto se si si impenna lo spread, così come sta già avvenendo, entreremo in un circolo vizioso senza uscita. E qual è questo ragionamento? Nello stato di paralisi in atto, moltissime imprese e moltissime attività economiche resteranno senza fatturato per alcuni mesi (3/4 mesi?); in una tale situazione senza aiuti davvero congrui molte di esse falliranno o comunque faranno molta fatica a risollevarsi. L’ effetto contagio e l’impatto sul sistema finanziario sarà conseguentemente estremamente violento. Di conseguenza l’evoluzione economica in atto accrescerà il fabbisogno di nuove risorse e con esso aumenterà la percezione del rischio fino al punto in cui avremo molta difficoltà a gestire l’assunzione di nuovo debito e a rifinanziare quello in scadenza anche con un QE potenziato.
Quando il governo Monti a fine 2011 si è insediato il rapporto debito/pil dell’Italia era al 116,4 %, e nel 2112 aveva raggiunto il 124%. Oggi, nonostante tutti i rilevantissimi aiuti ricevuti dalla BCE di Mario Draghi siamo vicini al 135%. Pertanto, se il decreto “Cura Italia” che vale 25 miliardi (1,5% del Pil) non serve a salvare una buona parte del sistema produttivo del paese, è pressochè certo che gli investitori cercheranno di proteggere il loro capitale vendendo massicciamente i titoli di stato italiani. Il decreto “Cura Italia” non mette affatto le nostre imprese al riparo dal rischio di default. Esso, ancorchè apprezzabile se valutato con le metriche di valutazione di altri provvedimenti di crisi, contiene misure che in concreto possono abbassare la febbre per un breve arco di tempo. E questo gli investitori lo hanno compreso subito chiaramente ieri mattina quando hanno letto il contenuto del provvedimento. Non è casuale quindi che lo spread abbia superato di slancio quota 300 punti base per poi ripiegare a fronte di interventi da parte della BCE. Occorre acquisire la consapevolezza che l’ordine di grandezza degli interventi necessari per affrontare efficacemente questa situazione di crisi, unica ed eccezionale, non può essere valutata con i parametri del passato, considerando “poderosa” una manovra di bilancio di 1,5 punti di Pil.
Le risorse necessarie per curare la malattia e non i sintomi, saranno molto più consistenti se rapportate alla perdita del volume d’affari di tutte le imprese negativamente impattate dalla situazione di crisi, ed il nostro paese non è in grado al momento di metterle in campo senza ricorrere all’aiuto massiccio delle istituzioni e degli altri grandi paesi europei. E non serve a nulla chiedere di sospendere od annullare tutti i patti europei che limitano la capacità di spesa e di indebitamento degli stati se gli stati non godono della fiducia sulla sostenibilità del debito degli investitori. Cosa bisognerebbe fare quindi in concreto? Bisogna chiedere apertamente, subito e con forza, il sostegno pieno di tutti gli altri grandi stati ed istituzioni europee per affrontare la nostra situazione e quella degli altri paesi con maggiori difficoltà, affinchè venga adottato a livello europeo un regime di “ Economia Speciale di Emergenza “. Occorre chiedere, in tale contesto, di istituire con la massima sollecitudine un” Fondo europeo di emergenza” di importo adeguatamente consistente, con un potenziale di raccolta fondi sul mercato non inferiore a 500/600 miliardi a cui gli stati membri che ne hanno bisogno abbiano accesso in misura tale da evitare il collasso delle loro economie. Non un fondo con le logiche dei Fondi salva stati istituiti in passato che impongono misure restrittive ai paesi che chiedono il ricorso, ma un fondo che abiliti politiche espansive emergenziali limitate al momento contingente.
Occorre cercare di dare un mandato speciale alla BCE per operare in un arco di tempo limitato in deroga ai suoi regolamenti, per esempio autorizzandola ad acquistare per quantità sufficienti titoli di stato anche sul mercato primario, fungendo per un tempo limitato e per quantità predefinite da prestatore di ultima istanza. Oppure occorre chiedere alla BCE, in alternativa alla ipotesi precedente, di fornire risorse in modo corposo alle banche di ogni singolo paese finalizzate all’acquisto di titoli di Stato nazionali sul mercato primario, assicurando nel contempo un ombrello protettivo di riacquisto attraverso il QE sul mercato secondario.
Occorre potenziare in misura rilevante e comunque in forma pressochè illimitata il programma di Quantitative Easing ideato da Mario Draghi per assicurare all’occorrenza un congruo acquisto di titoli sul mercato secondario; positivo l’intervento di ieri sera della Bce di estensione del QE a 750 miliardi. Bisogna seriamente valutare di introdurre regole che consentano agli stati di concedere alle banche ampie garanzie affinchè quest’ultime concedano liquidità al sistema produttivo e alle famiglie, senza rischi, per il tempo necessario ad attendere il ritorno della normalità.
Occorre stabilire che tutti gli aiuti pubblici e i finanziamenti privati erogati durante lo stato di “Economia Speciale di Emergenza” saranno rimborsati secondo piani correlati al recupero di una situazione di normalità. Bisogna che la Bce, operando nel solco del modello di Mario Draghi, continui ad ideare anche nuovi strumenti di ingegneria finanziaria per far affluire alle attività di impresa liquidità in modo agile , in misura sufficiente e a condizioni molto agevolate, per consentire di attraversare senza danni l’intervallo temporale che intercorrerà fino al momento del recupero della normalità.
Se saremo in grado di far attivare a livello europeo questi o altri meccanismi di stabilità economica e finanziaria altrettanto robusti ed efficaci, che consentano di far adottare a tutti i paesi europei appropriate politiche fiscali e finanziarie; se metteremo al centro della nostra azione di politica economica con estrema determinazione la salvaguardia ad ampio spettro delle imprese e del loro potenziale produttivo e non la gestione delle loro crisi, l’Italia supererà senza grandi traumi questa congiuntura .
Altrimenti, anche con la rimozione integrale dei vincoli dei patti di stabilità, nessuna manovra interna riuscirà a risultare una buona “Cura Italia”. E’quindi alto il rischio di ritornare a percorrere la strada amara del periodo 2011-2014. E tutti sappiamo questo che cosa vuol dire.

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