Oltre ad essere l’azienda privata più sovvenzionata dallo Stato italiano, la Fiat dovrà essere ricordata nei libri di storia italiani anche per essere l’azienda che, a un certo punto, decide di rivedere da cima a fondo, e in tutta autonomia, i rapporti industriali degli ultimi 50 anni. Non perde occasione, infatti, per riscrivere le regole e le prassi che finora sono sempre valse nei rapporti di lavoro.
Stavolta l’occasione deve essere sembrata ghiotta all’amministratore delegato Sergio Marchionne: la Corte d’Appello ha condannato Fiat a riassumere 19 lavoratori iscritti alla Fiom che l’azienda aveva licenziato. Secondo i giudici quel licenziamento era discriminatorio. Oggi Fiat ha annunciato che si adeguerà alla decisione del giudice ma che, come conseguenza, ci sarà il licenziamento o meglio la “messa in mobilità” per altre 19 persone assunte nel 2011, quando (grazie ai soldi dello Stato) era stata creata la newco di Pomigliano che ha lanciato la Nuova Panda: “L’azienda ha da tempo sottolineato – si legge nel comunicato – che la sua attuale struttura è sovradimensionata rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo da mesi in forte flessione e che, di conseguenza, ha già dovuto fare ricorso alla cassa integrazione per un totale di venti giorni. Altri dieci sono programmati per fine novembre”. Fiat dice di volersi impegnare a “individuare la soluzione che consenta di eseguire l’ordinanza creando il minor disagio possibile a tutti quei dipendenti che hanno condiviso il progetto e, con grande entusiasmo e spirito di collaborazione, sono stati protagonisti del lancio della Nuova Panda”.
L’annuncio ha immediatamente scatenato forti reazioni. Intanto, i sindacati hanno espresso “dubbi” circa la possibilità che 19 persone possano essere messe in mobilità, perché la legge prevede infatti che per ottenere l’indennità si sia in possesso di almeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui almeno sei di effettivo lavoro. Nella newco di Pomigliano, spiega il segretario nazionale Uilm, Giovanni Sgambati, le prime assunzioni sono state effettuate a novembre 2011.
Ma aldilà della sorte che toccherà a 19 lavorarori (scelti come? E’ la domanda che ricorre) il problema sta nel principio: se un giudice dichiara illegittimo un licenziamento, a pagare non possono essere altri lavoratori. “E’ proprio una vergogna, Marchionne non perde occasione per cercare di dividere i lavoratori. Adesso dichiara anche guerra alla magistratura per far pesare sui giudici la situazione che si sta creando”, ha detto Maurizio Di Costanzo, uno dei 19 licenziati, che dovrebbe rientrare in possesso del suo posto di lavoro entro il 28 novembre, e che ora si trova nella non facile situazione di essere la causa del licenziamento di altri colleghi. “”Questo è un ricatto inaccettabile” – ha detto Elena Lattuada, segretario confederale della Cgil “A quale Fiat bisogna credere?- prosegue Lattuada – A quella che ieri
annunciava che non intende chiudere alcuno stabilimento o a
quella che con la decisione di oggi avvia una irresponsabile
campagna di licenziamenti? Se è davvero quest’ultima la risposta
e’ assolutamente inaccettabile. Nel rivendicare il diritto
inappellabile dei lavoratori di potersi scegliere liberamente il
sindacato, e a non essere discriminati per questo, non abbiamo
mai chiesto né mai pensato che altri lavoratori dovessero essere
subire tale ricatto. E’ solo e soltanto la vergognosa decisione –
conclude Lattuada- di un’azienda che per coprire le lacune del
suo piano non trova di meglio che mettere lavoratori contro
lavoratori”.
Andrea Amendola, segretario della Fiom di Napoli dice: “Ce lo aspettavamo, è chiaro che si tratta di un ricatto, per la Fiat 19 lavoratori non cambiano nulla”. Quella di Marchionne, insomma, è un atto politico. Di “ricatto” parla anche il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. Ma in campo scende anche il responsabile Economico del Pd Stefano Fassina, che parla di una chiara ritorsione: “E’
gravissima la ritorsione di Fiat-Chrysler su 19 lavoratori
assunti a Fabbrica Italia Pomigliano in risposta alla condanna
per discriminazione sindacale. Dopo la raccolta di firme
avviata nei giorni scorsi tra i lavoratori dello stabilimento
campano contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma,
l’azienda continua a alimentare la guerra tra i lavoratori. E’
un comportamento inaccettabile. Nonostante la situazione di
sottoutilizzo degli impianti, si poteva trovare una soluzione
diversa