di Rock Reynolds
La Guerra fredda latino-americana iniziò nel 1946, in un periodo di riassestamento degli equilibri internazionali post bellici, con l’amministrazione americana impegnata in un’offensiva contro le sinistre e nei primi aiuti alle forze politiche vicine ai militari che erano già al governo oppure se lo sarebbero preso presto. Bisognava imporre un’egemonia che prevedesse un allineamento sudamericano al modello USA e la libertà nello sfruttamento delle risorse economiche da parte delle multinazionali. Insomma, andava resa “sicura” l’America Latina per i cittadini statunitensi e, naturalmente, per gli interessi degli USA.
Una dottrina agghiacciante, un modello per le successive scelte statunitensi in politica internazionale che, secondo il politologo Vincent Bevins, si era a sua volta ispirato al “Metodo Giacarta”, un’operazione di annientamento sistematico del dissenso e delle forze marxiste nel Sudest Asiatico, con l’eliminazione del disordine sociale attraverso un consolidamento dei ceti privilegiati. Sembrerebbe uno slogan nazista e poco ci manca. Come si vedrà, la contiguità con le ideologie dell’estrema destra tedesca e italiana che avevano portato alle devastazioni della Seconda guerra era evidente.
Basterebbe leggere l’esergo a introduzione del primo capitolo del libro Gli artigli del Condor (Einaudi, pagg 251, euro 26) di Martina Cardozo e Mimmo Franzinelli: «Sono assolutamente convinto che i diritti umani non siano appropriati in un contesto di politica estera». A pronunciare queste parole inquietanti non furono Hitler, Mussolini, Stalin o Pol Pot, ma Henry Kissinger, nel 1975, da segretario di stato. L’eminenza grigia, anzi nerissima, del presidente Nixon non amava i giri di parole. Erano tempi diversi, ma tale dichiarazione di intenti, foriera dei disastri e delle tragedie di cui l’America Latina paga tuttora le dolorose conseguenze, aiuta a far luce sulle storture dei nostri giorni e sull’atteggiamento degli USA verso il mondo, considerato poco più di un feudo riottoso. E la sfacciataggine di simili rivendicazioni pare un antico segnale premonitore dell’attuale spacconeria a stelle e strisce.
Gli artigli del Condor aiuta a comprendere con estrema chiarezza, lucidità e abbondanza di fonti quanto propensi siano sempre stati gli USA alla soppressione violenta del benché minimo ostacolo alle proprie mire egemoniche rappresentato dalle sinistre centro e sud americane. È arcinota l’ossessione americana – di cui il “maccartismo” è stato la prima sublimazione ufficiale, negli anni Cinquanta – per il comunismo. Gli afflati rivoluzionari (specie se di stampo apertamente marxista) cresciuti in tutto il mondo sul finire degli anni Sessanta ebbero scarsa coesione ed eccessiva promozione pubblica nell’America Latina e spinsero gli USA a formalizzare alle giunte militari amiche la loro richiesta di misure “eccezionali” in quanto regola per autorizzare il potere di sterminio. Il “Piano Condor” – forse più noto come “Operazione Condor” – sarebbe stato un’internazionale latina di tale terrore nella seconda metà degli anni Settanta, dopo il rovesciamento del governo che in Guatemala aveva strappato il controllo della produzione di frutta a una multinazionale, la salita al potere dei militari in Brasile con una repressione spietata del dissenso e la sanguinosa deposizione di Allende in Cile, in un quadro di forte instabilità in tutto il continente. Il soffocamento dei sindacati, considerati un ostacolo al libero mercato – in realtà, un freno a un liberismo senza confini – e l’opposizione assoluta a ogni tentativo di nazionalizzazione delle risorse (soprattutto minerarie) sono due cardini di quel manifesto di intenti. L’appoggio spesso incondizionato della Chiesa e delle organizzazioni industriali avrebbe contribuito a concedere mano libera ad apparati paramilitari interni creati per stroncare la minima opposizione. L’impunità delle squadracce operanti al di fuori dei confini della legalità ma sotto la protezione dei vari regimi avrebbe rappresentato la regola, non l’eccezione.
Quanto avvenuto in Italia negli anni di piombo, con la strategia della tensione, è una minuzia rispetto alla brutalità dell’America Latina, ma ci sono forti e angoscianti elementi comuni, a partire dalla commistione malsana tra apparati statali e servizi segreti americani e dalla partecipazione alla repressione di figure iscritte a logge massoniche come la P2, quando non direttamente aderenti ai partiti Nazista e Fascista, sfuggiti alle maglie della giustizia internazionale su intercessione della CIA o di qualche altra potente agenzia.
Antesignano del Piano Condor è il “metodo Cile”, con la creazione della DINA (Dirección de Inteligencia Nacional), secondo l’addetto militare dell’ambasciata statunitense di Santiago, «una struttura poliziesca simile alla Gestapo» grazie alla quale «la delazione è l’arma più insidiosa». Insomma, l’instaurazione di un clima di terrore voluto e diretto dagli apparati statali è un elemento che avrebbe accomunato tutti gli stati latinoamericani aderenti al Piano Condor. È l’arroganza del potere che si sostituisce alla volontà di un popolo ritenuto incapace di autogovernarsi. Il tutto si sarebbe svolto sotto l’egida degli USA, occulto (nemmeno troppo) demiurgo. A fornire i primi contorni di questo piano di mostruosa destabilizzazione della volontà popolare fu l’allora colonnello Manuel Contreras, braccio destro di Pinochet, il cui progetto di unificare gli sforzi dei vari servizi segreti e corpi di polizia di tutta l’America Latina sotto la bandiera anticomunista fu accolto con malcelato entusiasmo dalla CIA, facendo leva sul «coinvolgimento di esuli cubani anticastristi, di reduci nazisti stabilitisi nel 1945 in America Latina, di nazionalisti francesi dell’OAS e di neofascisti italiani». Insomma, una bella congrega di canaglie travestite da bravi cristiani sotto il vessillo sventolato con orgoglio da Contreras contro «la Sovversione… nel nostro Continente, agevolata da concezioni politico-economiche fondamentalmente estranee alla Storia, alla Filosofia, alla Religione e alle tradizioni dei Paesi del nostro Emisfero». Sembra quel manifesto del maccartismo che i poco sofisticati USA non sono mai riusciti ad articolare del tutto, un programma che faceva leva sulla guerra psicologica, ancor prima che sulla repressione fisica dei propri nemici, in un continente di fatto quasi del tutto dominato da giunte militari di estrema destra (Paraguay con Alfredo Stroessner, Brasile, Bolivia, Uruguay, Cile con Augusto Pinochet e, per finire, Argentina con Jorge Rafael Videla). E poco importa se, a più riprese, gli Stati Uniti si mostrarono prudenti se non totalmente ostili a certe operazioni rumorose, che rischiavano di far fare agli USA la figura del carnefice: tale contraddittorietà, considerato che ogni scelta importante veniva concordata preventivamente con Washington, è «emblematica della linea kissingeriana… con indicazioni lassiste sulle dittature, alternate a inviti alla cautela e al rispetto dei diritti fondamentali». Sappiamo come la pensasse Kissinger a tal riguardo.
E sappiamo com’è andata in tutto il continente. Chi non era ancora nato o era troppo giovane in quegli anni troverà ne Gli artigli del Condor di Martina Cardozo e Mimmo Franzinelli un eccellente strumento di ricostruzione storica. A chi, invece, conosce i contorni della vicenda, si consiglia questo testo come approfondimento utilissimo, se non definitivo.