di Giovanna Musilli
Si scrive per sentirsi meno soli/e. Lo scritto è il mezzo con cui si ricerca un dialogo, un incontro, un sentire comune. O almeno, questo è ciò che ha mosso me a scrivere Io non voto Giorgia: ordinare i pensieri, disciplinare le passioni, e percepire tracce di empatia.
Le mie idee politiche sono sempre state relegate a una nicchia poco (o per nulla) rappresentata, considerando che il mio primo voto ha coinciso con l’inizio del periodo dorato del berlusconismo, nel 2001. Eppure, negli anni in cui l’Italia si illanguidiva alla corte di Silvio, la società civile era ancora vivace, c’erano movimenti d’opinione (pensiamo ai Girotondi), la Cgil batteva colpi (è del 2002 la manifestazione al circo massimo con tre milioni di persone), la polarizzazione del voto era percepibile. Oggi è tutto diverso. La crisi, l’austerità, la pandemia e la guerra hanno fiaccato gli animi, assopito la ribellione civile, contribuito a un ripiegamento della coscienza nella dimensione privata. Anche la catastrofe culturale e morale del berlusconismo ci ha messo del suo. Insomma, Io non voto Giorgia è un pamphlet motivato per lo più dalla costernazione.
Capisco l’indebolimento cognitivo e spirituale che ha colpito milioni di cittadini, la cui esistenza è ormai dominata da paura e incertezza. Capisco la generale disinformazione motivata (anche) da un sistema mediatico in larga misura alleato del potere. Capisco perfino l’attrattiva che un apparato valoriale rozzo e retrogrado come “dio, patria e famiglia” può esercitare di fronte alla dimensione liquida della nostra vita. Quello che davvero non capisco è come sia possibile che, dopo più di due anni di governo, Fdi non sia in picchiata nei sondaggi.
L’equivoco iniziale di una destra sociale e legalitaria che sacrifica libertà e diritti in nome della sicurezza e dell’ordine – compromesso che purtroppo molti italiani sono propensi ad accettare – dovrebbe essere ormai fugato. Questo governo fa politiche iper-liberiste, fintamente securitarie, se non direttamente impunitarie, palesemente indirizzate a una visione classista della società, in cui i ricchi potranno curarsi, istruirsi, fare affari e farla franca, mentre i poveri saranno sempre più poveri, meno istruiti, meno in grado di curarsi, con maggiori rischi di finire in galera, se non direttamente al fronte…
La rassegnazione, evidentemente, può distorcere la percezione di ciò che davvero determina la qualità della vita: stabilità del lavoro, potere d’acquisto dello stipendio, prospettive pensionistiche, futuro educativo e lavorativo dei figli, diritti sociali e civili…
Per non parlare dello svilimento delle istituzioni in mano a estimatori del duce, a pistoleri e amici di pistoleri, a gaffeurs di professione, a dongiovanni inesperti, a compulsive acquirenti di borse (non) firmate, a laureati della domenica, a nostalgici d’ogni sorta, a revisionisti storici e a personaggi ai limiti del folclore…
La coscienza civile e la partecipazione alla vita pubblica sono diritti che conviene esercitare attivamente, perché anche se non ci interessiamo di politica, la politica si interessa di noi. Forse è arrivato il momento di svegliarci dal sonno dell’indignazione, di scendere in piazza. E di far sentire la voce del dissenso. Io non voto Giorgia esprime il mio dissenso.