di Alessia de Antoniis
Nel trentennale della scomparsa, un libro di Giovanni Savastano racconta l’attore, l’intellettuale e l’attivista. Con più passione che sguardo critico, ma con la forza di una memoria viva.
L’attore scultore. Gian Maria Volonté, di Giovanni Savastano, è una storia che inizia dalla fine: Volonté nell’ultima scena della sua vita, lontano dall’Italia, sui monti della Grecia innevati, dove il suo cuore cede durante le riprese di un film. “Quell’uomo, dai lunghi e maestosi capelli bianchi, che moriva improvvisamente per arresto cardiaco in un giorno di dicembre dentro uno scenario spettrale […] era stato umanamente allontanato da un Paese, il suo, con cui negli anni aveva fatto a botte come lo si fa con un’amante che infine ti tradisce nel più impensabile e doloroso dei modi: si dimentica di te”.
In poche righe Savastano intreccia biografia e pathos, suggerendo il rapporto conflittuale tra l’attore e la sua patria. È un avvio coinvolgente, che conferma subito il taglio narrativo del libro: non una fredda cronaca, ma un racconto appassionato della parabola artistica e umana di Volonté.
Quello di Savastano è un racconto che non si limita a rievocare i ruoli cinematografici, ma abbraccia anche la dimensione privata e politica di Gian Maria Volonté. Savastano sottolinea come per Volonté arte e vita fossero inseparabili: “chi è un attore, infatti, se non colui che agisce? E si può forse smettere di agire quando si finisce di girare una inquadratura?”.
L’uomo Volonté, noto per il suo impegno civile e la fede in ideali di sinistra, emerge sin dal primo capitolo. Vengono ricordate le battaglie dell’attore-cittadino, dalle denunce sociali veicolate attraverso i film all’attivismo concreto fuori dal set – come la militanza sindacale o la sua esperienza di candidatura politica.
Savastano cita le parole di chi lo conobbe da vicino, come il regista Francesco Rosi, che lo definì “un uomo di sinistra radicale che rifiutava qualsiasi accenno di compromissione con il potere”. Emergono così il rigore morale e l’intransigenza di Volonté verso ogni forma di ingiustizia, tratti che lo resero una figura scomoda ma rispettata. Non manca inoltre uno sguardo sulle esperienze teatrali giovanili: dagli studi all’Accademia d’arte drammatica e i primi passi nei Carri di Tespi itineranti, fino ai palcoscenici romani dei primi anni ’60.
Anche se la fama di Volonté nacque sul grande schermo, il libro riconosce l’importanza formativa del teatro nel forgiare la sua disciplina d’attore.
Un tributo tra luci e ombre all’“attore scultore”
Il contributo più originale di Savastano risiede nell’analisi del mestiere attoriale di Volonté, sintetizzata dall’efficace metafora dell’“attore scultore”. L’autore approfondisce il metodo di immedesimazione totale con cui Volonté scolpiva i suoi personaggi. Facendo tesoro di testimonianze critiche dell’epoca, Savastano descrive un processo creativo quasi alchemico: l’attore che prima demolisce e poi ricostruisce il carattere da interpretare dandogli nuova vita.
L’attore scultore si presenta come un omaggio sentito e ricco di ammirazione. La struttura del libro alterna parti narrative e analitiche scritte dall’autore a una corposa sezione documentaria.
Nella seconda metà del volume Savastano lascia spesso la parola alle voci dell’epoca: articoli di giornale, interviste televisive, ricordi di colleghi e amici sono ampiamente riportati nei capitoli intitolati “Dicono di lui”, “Rassegna stampa” e “Gian Maria si racconta”.
Questo mosaico di materiali già editi offre un collage di punti di vista, ma al contempo limita l’apporto critico originale.
Ne risulta un ritratto sfaccettato ma non sempre indagato in profondità in prima persona: l’emozione dell’omaggio prevale sull’analisi davvero nuova. Emblematico in tal senso il capitolo finale, una “biografia cronologica narrata” che ripercorre anno per anno la carriera e la vita dell’attore. Pur utile come riferimento, questa cronologia ripete in parte informazioni già note, rischiando di appesantire la lettura nel finale.
Un ritratto per il grande pubblico
Sul piano della completezza e dell’originalità, l’opera di Savastano si colloca a metà strada tra il saggio accademico e il ricordo appassionato. È apprezzabile lo sforzo di sintetizzare in meno di duecento pagine i molti volti di Volonté – l’attore, l’intellettuale, l’attivista – con uno stile accessibile e al tempo stesso stimolante.
Si avverte tuttavia la mancanza di apporti realmente inediti: il libro attinge a piene mani da fonti già note senza offrire nuove testimonianze dirette. Basti pensare che lo stesso Savastano aveva già curato nel 2018 un volume intitolato Recito, dunque sono, anch’esso dedicato a Volonté e basato in larga misura su materiali di repertorio.
Nel panorama editoriale italiano L’attore scultore non aggiunge rivelazioni clamorose né uno scavo critico particolarmente innovativo. Il merito di Savastano sta nel confezionare un ritratto efficace e aggiornato per il grande pubblico, capace di ravvivare la memoria di Volonté nel trentennale della scomparsa.
L’attore scultore è una lettura scorrevole e appassionata, che riesce a far rivivere Gian Maria Volonté in tutta la sua complessità di artista e uomo impegnato.
Un libro che ha il pregio di coniugare narrazione e critica. Il risultato è un omaggio al grande artista adatto a un pubblico ampio, che celebra l’eredità di Volonté senza nasconderne le contraddizioni.
Come un abile “scultore” della memoria, Savastano restituisce ai lettori l’essenza di un attore unico, ricordandoci perché Volonté rimane una figura monumentale nel panorama culturale italiano.
Argomenti: Cinema