di Alessia de Antoniis
Federica Camba è una delle penne più autentiche della musica italiana. Vanta 10 milioni di copie vendute firmando grandi successi per artisti come Emma, Alessandra Amoroso, Pausini, Masini, Morandi, Elodie, Annalisa, Nek, Renga e altri. Ma prima di essere un’autrice per altri, è un’artista capace di raccontare sé stessa con una voce vera, fragile, potente. La scrittura è il suo rifugio, la sua terapia, il suo modo di restare in contatto con la vita, anche quando fa male.
Cantautrice, produttrice discografica, Federica è sposata con Scintilla, al secolo Gianluca Fubelli, attore, comico e conduttore televisivo. Insieme sono virali sui social dove raccontano la loro vita di coppia.
Ma come si vive con un comico?
Da paura! Soprattutto se il minimo comune denominatore è lo stesso: ironia e malinconia. Le abbiamo entrambe, per questo andiamo alla grande. La malinconia è quella lente attraverso la quale assapori le cose che ti succedono. L’ironia è quella che ti fa prendere tutto con leggerezza.
Come nascono le tue canzoni?
Sono storie che nascono da quello che vivo io, da quello che vivono gli altri. Perché comunque la mia forma è la parola. Nel momento in cui qualcosa mi provoca una reazione emotiva, io scrivo. È il mio modo per reagire a quello che mi accade. La scrittura per me è terapeutica. Anche quando non ho nulla da scrivere, scrivo. Poi magari butto tutto. È un modo per tenere il contatto con me stessa.
Come fai a scrivere per artisti così diversi?
In realtà scrivo perché ho bisogno di scrivere, come se fosse un mio diario quotidiano. È una cosa che faccio fin da piccola. La scrittura mi ha salvato da un’infanzia difficile, dal non poter raccontare quello che mi capitava. È il mio modo di tirare fuori quello che non posso o non voglio raccontare. Non scrivo mai per qualcuno. È casuale il fatto che le mie canzoni siano andate ad altre persone. Anche perché, scrivendo tantissimo, avrei dovuto produrre 200 dischi.
Diverse canzoni molto personali sono state interpretate da altri artisti, ma nel momento in cui un’altra persona la interpreta, quella canzone prende un significato nuovo. Una delle cose più belle è proprio vedere come una canzone può trasformarsi quando cambia voce. È una magia.
Quali sono le canzoni che senti più tue?
“Nina”, che ho scritto per mia nonna. Mi ha svegliata in piena notte… Era già scritta: il testo, la musica, l’arrangiamento. Mi sono alzata e quella canzone esisteva già. Eppure mia nonna era morta tre anni prima… probabilmente dentro di me qualcosa che ha decantato per anni e un giorno ha bussato alla mia porta. Quella canzone ha qualcosa di universale, che quando gli altri l’ascoltano sembra loro.
Un’altra è di “Arrivi tu” di Alessandra Amoroso, una canzone che ho scritto pensando a un amore che ti cambia la vita. Anche se la canta lei, è un pezzo del mio cuore.
Una canzone che hai detto: piuttosto la lascio in un cassetto anni, ma la canto solo io?
Ne ho due. Una è proprio questa che è appena uscita, ‘Occhi di Uragano‘, che sentivo cucita addosso, impossibile per chiunque altro. E poi ce n’è un’altra, inedita, che racconta la mia storia. È nata durante il Cammino di Santiago, con la febbre alta, su una salita pazzesca. Lì, in quel momento, la storia della mia vita si è condensata in una canzone incredibile.
Hai fatto il Cammino di Santiago?
L’ho intrapreso per ritrovare un legame profondo con me stessa, ed è stato un’esperienza potentissima, forse la più forte che abbia mai vissuto. Ho viaggiato spesso da sola, zaino in spalla e via. Ma quel Cammino in particolare è stato cruciale per riconnettermi con la mia essenza. L’ho fatto senza sconti: solo ostelli improvvisati. Un’esperienza bellissima, durissima, incredibilmente intensa. Ho deciso di partire due giorni prima.
Sei su Sky per Pechino Express. Per te è stata una passeggiata di salute?
Tra i miei viaggi in solitaria, anche 16 giorni nella giungla del Borneo… poi mi sono aggregata a un gruppo, ché nella giungla da sola muori. Quando ci hanno proposto Pechino Express, per me e mio marito, abituati ai viaggi zaino in spalla, è stata un’opportunità incredibile di fare finalmente un’avventura insieme. Ci ha reso felicissimi: potevamo fare insieme quello che per anni avevamo fatto in solitaria.
Cosa porti a casa da Pechino Express?
La conferma di un legame profondissimo con mio marito. Nonostante le difficoltà estreme – la stanchezza, la fame, la povertà che ti circonda – la nostra ironia è stata la nostra salvezza. Perché finché sei a Milano, a casa, l’ironia va bene; ma quando sei in quelle condizioni, stanco, sudato, morto di fame e devi chiedere dove poter dormire, vedi una povertà che noi non conosciamo; vedi questi occhi così smarriti ma così buoni che ti vogliono dare tutto e non hanno niente. Lì trovare l’ironia per andare avanti non è facile. E ho scritto “Occhi di Uragano” sentendo la forte la sintonia che c’è tra noi, un amore che è un uragano dentro l’uragano della vita. Ma siamo rientrati anche con storie divertenti e un “copione di coppia” che porteremo in teatro a novembre.
Ti occupi di scouting e produzione di nuovi talenti con la tua etichetta La Niña Music. Oggi che le canzoni nascono da algoritmi e trend, cos’è un autore?
Secondo me c’è una grande confusione: spesso l’autore viene considerato una specie di fornitore di pezzi, più che un artista. Questo mi dispiace, perché io credo che scrivere una canzone sia un atto profondamente artistico, non tecnico. Oggi c’è tantissima produzione, escono mille canzoni al giorno, ma non sempre c’è profondità. A volte sembra che conti di più la quantità che la qualità. Io invece credo nel valore della scrittura, quella vera, quella che rimane. Chi scrive è spesso condizionato dalla reazione esterna, e questo snatura la musica. Mi dispiace perché la storia della musica è stata fatta da ‘cellule impazzite’, da chi ha osato. Invece, nello scouting musicale, noto molta omologazione, un mare di copie di cose già sentite. Manca l’urgenza, la libertà che vedevo nel cantautorato passato, meno condizionato dal ‘cosa penseranno’.
Nell’era di Spotify, il produttore ha ancora senso?
Il ‘producer’, non il discografico, è cruciale per creare un suono distintivo. Il discografico ha perso il ruolo iniziale, ma serve ancora un occhio esterno.
Autotune sì o Autotune no?
Sono assolutamente pro-autotune, lo trovo un’invenzione fighissima e pazzesca. Però, non deve mascherare delle mancanze. L’autotune è un suono, un ottimo software per sviluppare la musica. Se invece serve solo a colmare un’insufficienza per esibirsi, allora non sono d’accordo.
Come cresce la figlia di Federica Camba?
Ho cresciuto mia figlia Nina in studio, l’avevo in pancia mentre registravo. Riesco a conciliare tutto grazie all’amore per il mio lavoro e per lei, anche se a volte è impegnativo. La porto spesso in viaggio… tranne a Pechino Express! Ho viaggiato fino all’ottavo mese di gravidanza e dal primo mese di Nina abbiamo iniziato le nostre avventure insieme: studio, concerti, teatro. Ormai più che una fan è una manager! È fantastico che viva la sua vita così com’è. Non c’è una vita giusta e altre no: in questo stile di vita c’è la sua ricchezza.
Diventare madre non significa trasformarsi in una persona infelice. I bambini imparano dal nostro esempio, vedono se siamo persone realizzate e felici. Ci ho pensato molto prima di avere Nina, ben 42 anni. Ora il giusto esempio per lei è l’amore vero in casa, una relazione sana. Così creerà relazioni sane. Altrimenti, diamo un esempio sbagliato.
Cosa c’è nel futuro di Federica Camba?
Il mio primo amore: teatro. In autunno con Gianluca porteremo in scena un nuovo spettacolo basato sulle dinamiche di coppia. E poi sempre in autunno uscirà il mio nuovo album. Sto lavorando a nuova musica. Non ho fretta, voglio che sia vera, onesta, necessaria. Voglio raccontare storie che abbiano un senso, per me e per chi le ascolta.