di Alessia de Antoniis
Dal West End londinese arriva all’OFF/OFF Theatre di Roma – in scena dal 4 al 6 aprile – Revenge Porn, una storia corrosiva, versione italiana di “Four Minutes Twelve Seconds” di James Fritz. Sotto la lucida e incisiva regia di Giancarlo Nicoletti, gli interpreti Chiara Becchimanzi (Diana, la madre di Tommaso – mai in scena), Claudio Vanni (il padre), Flavia Lorusso (Lara) e Samuele Ghiani (Nick) danno corpo a una vicenda che scava con chirurgica precisione nelle ferite aperte dalla cultura digitale contemporanea.
È una scala a chiocciola “Revenge Porn” diretto da Giancarlo Nicoletti. Una discesa nell’inferno dei luoghi comuni, del perbenismo, dello snobismo, dell’ipocrisia, del patriarcato.
Quattro minuti e dodici secondi, questa la durata di un video che irrompe già nella prima scena. Un video visto da mezzo milione di persone in una sola settimana. Persone normali, educate, istruite, padri di famiglia, figli amorevoli, figlie devote. Tutti presi da un video che hanno anche faticato a cercare nel mare magnum del sesso online. E se il sesso non è consenziente? E se la condivisione non è consenziente?
A che punto può spingersi la mente di una madre per cercare di non frantumarsi sotto il peso del suo fallimento come genitrice? E se la vittima è una donna come te, quale istinto prevale: quello materno o quel legame antico, laceratosi nei millenni, tra donne?
Nicoletti offre uno spettacolo poliedrico, dove ogni faccia del prisma pesa quanto le altre: l’illusione di un matrimonio felice, il desiderio di rivalsa sociale proiettato sui figli, l’ascensore sociale fermo al secolo scorso, l’ipocrisia piccolo borghese che diventa disprezzo dell’altro al minimo contrasto, i pregiudizi delle donne sulle donne, il patriarcato come modus cogitandi che è degli uomini come delle donne, la violenza come estrema ratio quando la manipolazione sembra perdere il suo potere. L’illusione di non essere “quel tipo di persone”.
Con pennellate grezze di colori primari, Nicoletti porta in scena un testo crudo, brutale, attuale, che non si perde in inutili sofismi. Dice Lara a Diana: e se vado a denunciare, crederanno a me, vestita così o a tuo figlio ben vestito? Il pregiudizio: l’abito sartoriale cucito addosso alle donne – ma anche molti uomini -; quello che non puoi più toglierti, come le scarpette rosse indemoniate della fiaba. E che, allo stesso modo, possono portarti alla morte. Anche se apparentemente continui a vivere. Lara è la giovane donna che smonta una certezza della donna adulta: che ormai abbiamo tutti gli stessi diritti.
Nicoletti mette lo spettatore seduto nel salotto buono, attorno a un’arena dove le bestie sono i nostri modi di pensare, di giudicare. Ma qui non puoi tifare: non ci sono facili assoluzioni, non c’è un dibattito filosofico tra etica e morale. I personaggi sono tutti, indistintamente, vittime e carnefici. La bravura di Nicoletti è quella di non dare tempo alle tue ragioni di prendere il sopravvento: lo spazio tra una visione e un’altra è troppo stretto. Non ci sono tempi morti: solo tempi di attesa tra un raffica e un’altra. Solo il tempo di rialzarti, raccogliere le idee, capire dove sei e di nuovo qualcosa ti porta in una posizione scomoda. È il sottotesto la vera drammaturgia. “Sono solo ragazzini…Tommy non avrebbe mai potuto…”. Le parole suonano vuote fin dalle prime battute. Anche quella di addentrarsi nel torbido del revenge porn è solo un’espediente.
Quella che viene violentata – parola mai pronunciata fino a una delle scene finali – non è solo Lara. È la nostra certezza di essere brave persone, che qualsiasi colpa è degli altri, che “noi no”, “tutti ma non mio figlio”. È la nostra cecità davanti alla normalizzazione del sessismo “che sicuramente non appartiene a noi”. È la strategia con la quale cerchiamo di salvare i nostri rapporti perché, in fondo, sono bravi uomini, bravi figli, brave madri e vogliamo loro bene.
La regia di Nicoletti si avvale della scena ideata da Alessandro Chiti, illuminata dalle luci di David Barittoni, che si fa spazio algido e claustrofobico, riflettendo l’isolamento emotivo dei personaggi. L’essenzialità dell’ambiente domestico, con i suoi simboli di quotidianità svuotati del loro significato, amplifica il senso di disagio e la progressiva disintegrazione dei legami affettivi.
Le interpretazioni sono di notevole impatto. Chiara Becchimanzi tratteggia una madre combattuta, la cui strenua difesa del figlio si incrina gradualmente di fronte all’incalzare degli eventi. Claudio Vanni incarna un padre ancorato a una negazione quasi infantile, la cui progressiva presa di coscienza si manifesta con la violenza di chi non è culturalmente abituato a vedere messo in discussione il suo piccolo mondo antico. Flavia Lorusso e Samuele Ghiani – bravo nel ruolo di Nick – completano il quadro con figure che incarnano le ripercussioni esterne del dramma, portando in scena il peso del giudizio sociale e le ambiguità delle relazioni nell’era digitale.
Seppur focalizzata su una realtà specificamente contemporanea, l’opera di Fritz, nella lettura di Nicoletti, trascende la contingenza per interrogare dinamiche umane universali: il labile confine tra fiducia e sospetto, la difficoltà di accettare l’ombra nei propri affetti. Ma anche la ricerca di giustizia in un contesto mediatizzato e spesso distorto. “Revenge Porn” si configura come un’esperienza teatrale intensa, che non offre risposte ma stimola una riflessione profonda sulle implicazioni etiche e psicologiche di un mondo sempre più interconnesso.