Marco Filiberti in scena a Siena col suo Don Carlos

Tratto da Schiller, ci parla della solitudine del nostro presente e dà modo all’autore di criticare la contemporaneità.

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1 Aprile 2025 - 00.33 Culture


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Intorno a don Carlos: prove d’autenticità è il lavoro che Marco Filiberti, regista e drammaturgo milanese da anni in Val d’Orcia, ha messo in scena di recente al Teatro dei Rozzi. Un lavoro essenziale, senza scenografia, incentrato sul lavoro d’attore, per corpi e voci, che ha confrontato le solitudini dei personaggi e ha riscosso successo a Siena, grazie alla bravura degli attori Pietro Bovi, Diletta Maselli, Luca Tatangeli, Massimo Odierna e Giacomo Mattia. Un testo scritto da Filiberti nel 2017 e ispirato al capolavoro di Schiller che tratta di potere, amore, amicizia, in un teatro da camera chiaroscurale che richiede attenzione allo spettatore e coniuga danza e recitazione.

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“In un tempo apocalittico come il nostro, credo che voci come la mia siano fondamentalmente necessarie. Se poi arriva a dieci, cento o a mille persone è un aspetto che non dipende da me”. Le basi sono giuste, ma la provocatorietà di queste parole arriva netta, e si scaglia contro un certo teatro odierno che ricerca il botteghino facile.

Dichiara Filiberti: ”Non ho mai creduto in un’arte meramente di intrattenimento o che deresponsabilizzi i fruitori – ha spiegato a Luciano Fioramonti di Ansa. Il senso di responsabilità è diverso tra l’artista e gli spettatori ma ridotta solo a strumento di intrattenimento per me svilisce ontologicamente il suo mandato. Deve rigenerare l’umanità, essere uno strumento di salvezza come credevano Schiller, Goethe, Holderlin, Novalis, espressione della visione laica e spirituale del Romanticismo, l’ultima grande manifestazione antropoculturale dell’Occidente”.

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La ripresa del suo Don Carlos nasce infatti da una riflessione sul declino culturale dei nostri tempi, vista dal teatro che vuole ormai spettacoli agili, da allestire e smontare velocemente, al passo con una velocità che ormai pervade la realtà ma che non siamo costretti a seguire, perché il dissenso rimane un’arma valida, anche se pare, ormai, in mano a pochi, e pertanto maggiormente importante.

Filiberti continua ”Tutto quello che ha cercato di imbavagliarmi nella vita sicuramente è presente nelle relazioni eversive di quest’opera: avere un binario stretto con un cuore grande è una dialettica con la quale ho dovuto avere a che fare. Schiller, in cui convergono idealismo e una istanza di spiritualità, vedeva l’uomo per quello che avrebbe potuto essere e non è stato e riassume il senso del mio essere artista in un contesto storico come questo. Non importano i fallimenti e i successi, c’ è qualcosa che è più forte”.

Il suo prossimo impegno riguarderà Proust e i suoi Cahiers d’écriture, parte di un progetto più ampio dedicato alla Récherche, con prima prevista a Padova per giugno.

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Oltre al teatro, il cinema e la scrittura: ”Sto anche lavorando alla costruzione del mio nuovo film ambientato nell’alta borghesia torinese e milanese degli anni Settanta e devo terminare il mio primo romanzo intitolato Canto d’estate”.

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