Le canzoni, buone o cattive che siano, volutamente o meno raccontano la società in cui nascono. Non sono uno specchio della realtà, ne sono una parte viva.
Cantare il disincanto. Disagio e malinconia nella canzone d’autore italiana negli anni del “miracolo economico” Manzoni editore, pagg 274, prezzo di copertina Euro 23,75) non è quindi una celebrazione dell’era (peraltro piuttosto vaga) dei cantautori, o dei “mitici” anni della contestazione.
E ‘un libro molto accurato, invece, che si apre con una lunga introduzione dell’economista Salvatore Rossi, già Direttore della Banca d’Italia, che con taglio leggero, quasi colloquiale, racconta come il miracolo economico abbia segnato l’ingresso a pieno titolo dell’arretrata Italia in una dimensione internazionale, preclusale prima del secondo conflitto, nonostante la presenza e l’aggressività di quello che Lenin chiamava “l’imperialismo straccione”. La fine del boom, crisi che dura tutt’oggi cominciò negli anni ‘70, con il primo shock petrolifero.
Segue il saggio che dà titolo al libro, scritto da Giulio De Martino. Il testo riprende sapientemente il tema dell’apertura dell’Italia al mondo musicale(Francia, Inghilterra e USA in primis). Ben orientato storicamente, racconta di alcuni di quei tanti artisti che seppero opporre un nuovo linguaggio a quello, diventato stantio e distante dalla vita comune, della musica leggera italiana. Le scelte sono talora discutibili. Trascurare Lucio Dalla, Francesco de Gregori, Paolo Conte è un’operazione che non convince. Non furono solo i Guccini, i De André, I Tenco, Enzo Jannacci, ed altri citati dall’autore, a cantare la malinconia e lo smarrimento di quella società in rapida modernizzazione.
Lo stesso Battisti, mai nominato nel testo, cantò, una bellissima canzone che parlava di suore, prostitute e ragazze madri. E usò un linguaggio, nei suoi tanti pezzi, tutt’alto che conformista o banale. Né il Dalla di Quand’ero soldato o di 4 marzo 1943, né Battisti furono cantautori in senso stretto; altri scrissero i versi da loro cantati. “Impressioni di settembre”, un inno allo spaesamento, fu scritta da Mogol. Non furono solo i cantautori in senso stretto a esprimere linguaggi e tematiche nuove. Il bellissimo Il giorno aveva cinque teste, dello stesso Dalla è scritto su liriche di Roberto Roversi.
Per non parlare di Darwin, il trascinante concept Album, che tentò di raccontare la teoria darwiniana attraverso la storia di un perplesso e timido uomo della preistoria o, per cambiare ambito, di Alto Gradimento, programma che fece a pezzi ogni convenzione radiofonica. L’Italia cambiava nel profondo, mentre i grandi mass media erano fermi a una visione post fascista e cattolica. Il referendum sul divorzio del 12 maggio del 1974, dimostrò quanto il paese fosse oramai lontano dai suoi media e dalla sua rappresentanza politica.
Ma tant’è. Queste scelte inducono alla discussione e all’ arricchimento. Il tema è ancora in gran parte da scrivere.
Giustamente, nella prima postilla il raffinato musicologo “classico” Carlo serra tenta di stabilire i confini del termine canzoni, finendo per trovarli vasti sfuggenti. È difficile ad esempio, bloccare un Frank Zappa nel perimetro di autore di canzoni in cui è stato relegato. Lui stesso preferiva parlate di medium, piuttosto di song.
La canzone non sta nelle parole non è neanche una poesia. E’un processo produttivo in cui l’ispirazione degli autori si fonde con il processo di esecuzione, con gli arrangiamenti, con lo stile dei musicisti coinvolti, con la voce del cantante, con lo stesso pubblico che la ascolta, la trasforma in rito e mito della sua epoca.
Chiude il libro il cantautore Canio Lo Guercio che , nella sua postilla, svela la scaletta multimediale dello spettacolo che ha in animo di trarre dal libro. Speriamo di vederlo presto su molti palcoscenici.
Un libro davvero ricco di spunti e i di riflessioni.