di Mario De Finis
Ieri sera è stato proposto su Rai 1 – meritoriamente in prima serata – “Io capitano” – film vincitore di David di Donatello, Leone d’argento a Venezia, candidato agli Oscar come migliore film straniero – basato rigorosamente su storie vere di emigrazione dal continente africano, raccolte direttamente dalla voce dei migranti (come quella del mediatore culturale Kouassi Pli Adama Mamadou).
La (vera) storia dei protagonisti – 2 inseparabili cugini senegalesi, Seydou Sarr e Moustapha Fall, rispettivamente di 17 e 18 anni – rappresenta e riflette l’esperienza concreta dei 18.625 Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) presenti in Italia al 31 Dicembre 2024: circa 4.600 in meno rispetto a quelli presenti al 31 dicembre 2023. Dietro il freddo acronimo MSNA si identificano in Italia i minori di 18 anni ( con il 76% dei maschi di età superiore ai 16 anni, e il 46,4 % delle donne tra i 7 e i 14 anni, provenienti da 66 Paesi per la maggior parte africani – Fonte Ministero dell’Interno 2024) – cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea o apolide, che si trovano, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privi di assistenza e rappresentanza legale da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili.
Attualmente stiamo vivendo una delle più grandi crisi migratorie del mondo su diversi scenari internazionali, di tanti giovanissimi in fuga da guerre, povertà, violenza, mediocrità, alla ricerca di migliori condizioni di vita, e di pace. E che invece trovano la morte nei viaggi della speranza: secondo Save the Children negli ultimi 10 anni sono più di 31.550 le persone morte o disperse nel Mediterraneo , di cui oltre 1300 minori.
Ed è solo di una settimana fa la notizia – giustamente ricordata da Paolo Ciani in Parlamento – dell’ultima strage silenziosa nella letale rotta del Mediterraneo di un altro naufragio a largo di a Lampedusa con oltre 40 morti e dispersi, a fronte dei 10 sopravvissuti.
In realtà dall’inizio degli anni ‘90 tanti giovanissimi dopo aver lasciato le loro famiglie per raggiungere l’Italia attraverso il Nord Africa, vivono – come si vede nel film – l’incubo di un viaggio disumano tra la vita e la morte, fatto di brutalità fisica ed emotiva, minacce, umiliazioni, orrore ed ingiustizie: prima da parte delle organizzazioni criminali che gestiscono su camion e fuoristrada il passaggio clandestino nel deserto del Sahara (dove tanti ragazzi sono uccisi dalla fatica, dagli incidenti, o rapinati e abbandonati tra le dune dai trafficanti); poi nei terribili centri di detenzione delle mafie libiche. Un viaggio costellato di insidie, durezza, violenza; un percorso traumatico fatto di fatiche disumane, inganni e violenze indicibili, in cui migliaia di minori sopportano estorsioni, furti, minacce, torture, riduzione in schiavitù.
Dopo l’allucinante traversata del Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna, all’arrivo – se ci si arriva perché tanti non ce la fanno – sbarcano senza genitori a Lampedusa, oppure direttamente sulle coste siciliane. Dove cercano subito di racimolare i soldi – lavorando in nero e ad alto rischio prevalentemente nei campi – per un viaggio verso Nord in treno o su un autobus, viaggiando prevalentemente di notte e facendo perdere le loro tracce (nel 2023 in Italia le comunità di accoglienza hanno presentato 17.535 denunce di scomparsa).
La corrente narrazione semplificatoria e criminalizzante del fenomeno migratorio dei minori li considera un enorme peso economico per l’Occidente; ma molti giovani migranti come Seydou mostrano qualità personali (lealtà, onestà, amore per la famiglia, capacità lavorative, senso di responsabilità a dispetto della giovane età) che viceversa arricchirebbero da una parte i loro coetanei e dall’altra le fragili società europee.
Sul primo punto in moltissime scuole italiane l’ ascolto e la condivisione delle esperienze dei coetanei migranti africani, ha suscitato interesse e partecipazione dei nostri studenti, che hanno fatto una preziosa esperienza di conoscenza – e quindi di prevenzione del pregiudizio, di didattica emozionale e interculturale rispetto – di ragazzi con le loro identiche legittime speranze e aspirazioni.
Dal punto di vista del loro impatto sulla società italiana, recentemente Marco Impagliazzo – Presidente della Comunità di Sant’Egidio – ha sottolineato quanto sia primario anzitutto salvare le loro vite e poi quanto essi costituiscano una risorsa, un potenziale futuro per un Paese affetto da un forte calo della natalità. Il cambiamento per raddrizzare le storture della società può partire proprio da questi minori, a patto che una comunità allargata di persone, associazioni, istituzioni e imprese, sia capace di dare a ognuno di loro dignità e di valorizzarne il potenziale.
Ma soprattutto questi giovanissimi mostrano a tutti come anche nei momenti più atroci e crudeli e nei luoghi più bui sia possibile – magari attraverso atti di solidarietà verso chi ci è vicino – restare umani, persistere nella speranza e inseguire un sogno che nulla e nessuno ( neanche l’altissimo rischio di morire nel deserto o in mare) potrà fargli smettere di reclamare.
Un messaggio potente di speranza resiliente, quella di Seydou e Moussa e di tanti giovanissimi migranti, una sete di futuro irriducibile e incoercibile da nessuna politica o ideologia.