Nan Goldin: "Tutta la bellezza e il dolore", il docufilm su Sky Documentaries
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Nan Goldin: "Tutta la bellezza e il dolore", il docufilm su Sky Documentaries

"Tutta la bellezza e il dolore": il docufilm sulla fotografa Nan Goldin, tra musei e lotta ai mercanti di oppioidi

Nan Goldin - Tutta la bellezza e il dolore - Sky Documentaries - recensione di Alessia de Antoniis
Nan Goldin - Docufilm "Tutta la bellezza e il dolore"
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4 Marzo 2025 - 11.12


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di Alessia de Antoniis

Su Sky Documentaries il 4 marzo alle 21.15, in streaming solo su Now e disponibile anche on demand, Tutta la bellezza e il dolore ripercorre la vita, la carriera e l’attivismo di Nan Goldin, una delle più influenti fotografe della sua generazione. Il documentario è firmato dalla regista premio Oscar Laura Poitras ed è vincitore del Leone d’Oro alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia.

Tutta la bellezza e il dolore è un documentario potente che intreccia la vita della fotografa e attivista Nan Goldin con la sua lotta contro la famiglia Sackler, responsabile della crisi degli oppioidi negli Stati Uniti. Il film non segue una narrazione lineare, ma alterna immagini d’archivio, fotografie e testimonianze per raccontare la storia di un’artista rivoluzionaria e del suo impegno politico. Qui è la forza, e la debolezza insieme, di questo progetto documentaristico.

Creatrice di un vero e proprio genere artistico – le slide show che uniscono diapositive e musica – nel suo The Ballad of Sexual Dependency Nan Goldin ha raccolto in circa 700 immagini le sue esperienze personali, compreso il suo autoritratto dopo il pestaggio di un ex fidanzato. Il documentario è un excursus nella sua vita, in una famiglia conservatrice e anaffettiva, con una sorella suicida; nella famiglia LBGTQ che l’ha accolta nel quartiere di Bowery a New York quando si è allontanata da casa; nella società statunitense dalla fine degli anni 60 al primo ventennio degli anni 2000; negli Stati Uniti costretti a convivere con l’incubo dell’HIV: sua, nel 1989, la prima grande mostra sull’AIDS a New York; nel suo attivismo, che l’ha portata alla fondazione di PAIN (Prescription Addiction Intervention Now – nel 2017), che prende di mira le aziende farmaceutiche che traggono profitto dalle dipendenze da psicofarmaci, prima fra tutte la famiglia Sackler.

Il docufilm è un atto di denuncia, ma esplora anche il vissuto personale di Nan, segnato dal dolore per la perdita della sorella maggiore, Barbara, morta suicida. La Poitras sceglie di non realizzare un biopic tradizionale, come tradizionale non è Nan: preferisce viaggiare su piani paralleli. Le fotografie di Nan, crude e intime allo stesso tempo, restituiscono allo spettatore la comunità queer degli anni ’70 e ’80 con una testimonianza visiva fuori dagli schemi: foto, polaroid, filmini amatoriali, riprese contemporanee e voci fuori campo.

Grazie a questa regia, il docufilm riesce a mostrare le connessioni tra l’arte e l’attivismo – I Sackler sapevano che le pillole uccidevano! I Sackler sapevano che le pillole uccidevano! – La sofferenza di chi ha perso figli, fratelli, sorelle, amici, amiche a causa dell’ossicodone, mentre i medici ricevevano bonus crescenti all’aumentare delle prescrizioni.

Arriva la rabbia nei confronti di quel sistema dove i Sackler, creatori del marketing della dipendenza, “hanno lavato soldi sporchi di sangue attraverso l’arte e i musei” – Sackler mente, la gente muore! Sackler mente, la gente muore! – e il cui denaro scorre in fiumi dai nomi come Diazepam, Valium, OxyContin.

Arriva la soddisfazione per aver fatto rimuovere il nome della famiglia Sackler da istituzioni di fama mondiale come la National Portrait Gallery – che ha rifiutato una donazione per oltre 1 milione di sterline – la Tate Gallery, il Guggenheim di New York, il MET. Arriva anche il senso di giustizia misto a frustrazione per il risarcimento da 6 miliardi di dollari e la bancarotta della Perdue, società che commercializzava i farmaci a base di ossicodone, ma non prima che la famiglia Sackler avesse svuotato le casse e assicurato l’impunità per sé e per le successioni a venire.

Dal punto di vista stilistico, Tutta la bellezza e il dolore cerca di mantenere un equilibrio tra il ritratto personale di Nan Goldin e la sua lotta politica, puntando l’obiettivo sulle dinamiche del potere, ma anche della resistenza. Il docufilm resta tuttavia confusionario, sprecando ottimi spunti di riflessione e una storia ricca di potenzialità. Non approfondisce l’inchiesta, decidendo di rimanere più concentrato sulla figura di Nan Goldin, indebolendo l’aspetto divulgativo su una grande e potente operazione di resistenza e di vittoria contro il modus operandi criminale delle case farmaceutiche. È comunque una prova del potere dell’arte e dell’attivismo nel denunciare le ingiustizie. Una luce accesa su come i miliardari ripuliscono la loro reputazione attraverso la filantropia e il mecenatismo, e sulla complicità dei musei. Peccato sia a tratti lento e non sempre particolarmente coinvolgente.

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