di Marcello Cecconi
Simone Cristicchi è tornato. In realtà non è mai scomparso e tutti si ricordano (escludo dalla fatica del ricordo la generazione Z) che Cristicchi ha vinto anche un Sanremo. Si tratta ormai di un’era fa, quando per me (e per molti) i social non erano ancora invadenti e gli algoritmi immaginati come un problema cardiocircolatorio invece che quei diabolici serpenti dell’attuale paradiso terrestre in digitale.
Cristicchi che vinse il Festival, allora, con un pezzo “sputato” quello di oggi sia in senso ritmico che in senso sociale ed emozionale, non si è mai fermato. Si è vero, era andato sottotraccia come molti degli artisti che come lui pensano e producono arte con impegno sociale: musica, teatro, libri. Sembrava una scelta di campo intesa come scelta di un tipo di industria culturale che si addicesse di più al suo impegno da concentrati teatri anziché da sbracati palazzetti.
Ecco che, “Cristicchi è tornato” è riferito al fatto che è tornato a Sanremo con una nuova consapevolezza, quella dell’uomo che ha bagnato il dito con la saliva e lo ha porto al vento al fine di capire da dove questo tirasse. L’ha capito e ha spiegato le vele. D’altronde, non si può negare che l’aria sia cambiata e che lui, fiutandolo con tempismo, abbia provato a cambiare rotta stanco del sottotraccia.
E lui lo dice chiaramente che non ne poteva più di un certo clima, di una cultura mainstream che lo snobbava, che lo metteva ai margini, che lo costringeva a sentirsi un corpo estraneo nel mondo della musica italiana. Un mondo in cui, ai suoi occhi, il politically correct e la ricerca ossessiva della novità (anche quando scadente) lo avevano lasciato fuori dai giochi. E poi c’era Amadeus, il gran cerimoniere di un Festival che, ai suoi occhi, sembrava un eterno talent show con la corsa disperata alla hit virale anche tramite qualcuno che rompessi tutti i fiori di Sanremo (ogni riferimento a Blanco è puramente casuale).
Lui, con la sua poetica nostalgica e il suo stile un po’ retrò, non trovava spazio. Ma ora, finalmente, le cose sono cambiate e con l’arrivo di Carlo Conti a Sanremo è tornata la “beata normalità”. Niente più esperimenti bizzarri, niente più strappi alla tradizione, niente più brani troppo “estremi”: ora c’è Conti, che con la sua compostezza rassicurante ha riportato ordine, rigore e, diciamolo, un po’ di quel “sano” clima da Rai di una volta.
Allora, forse, io ho capito qualcosa in più di Cristicchi (meglio tardi che mai). Che quel suo stare sottotraccia non fosse stata una scelta ma costrizione della ex dominante cultura mainstream. Che quella sua aria triste dispersa fra riccioli maturi e lenti da cantautore lontano mille miglia da quelle a contatto colorate di Fedez, fosse frutto del disagio provato aspettando che qualcuno lo riportasse fra i fiori della Riviera. E ora che la cultura sta cambiando, ora che certi gusti stanno tornando in auge è pronto a prendersi il palco con una canzone che accarezza il cuore del pubblico e non disturba nessuno.
Sarà per questo che lo difende Mentana? “Leggo critiche e polemiche per me lunari contro la canzone di Cristicchi a Sanremo. Se un testo e un’interpretazione coinvolgono ed emozionano così tanti di noi, e ci fanno pensare e ricordare, la missione è pienamente compiuta, comunque vada a finire la gara”.
Io non ho niente contro Cristicchi e la sua canzone ma con tutto il rispetto per il maestro Mentana, del quale non perdo nemmeno una vocale durante la cena, mi prendo la libertà di insinuare che quando una canzone compie la missione è anche e soprattutto per il contesto che la facilita.