Borderlife: al Bellini di Napoli il testo vietato nelle scuole israeliane

Francesca Merloni porta in scena Borderlife: quando la linea verde tra Israele e Palestina è nella testa di chi si ama

Francesca Merloni - Pavel Zelinskiy - Borderlife - recensione di Alessia de Antoniis
Francesca Merloni - Pavel Zelinskiy - Borderlife
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14 Febbraio 2025 - 12.10


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di Alessia de Antoniis

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“La Bibbia ai soldati israeliani, kalashnikov e Corano ad Hamas”. È una frase di Borderlife – la nostra vita dall’altra parte che ha debuttato in Prima nazionale al Teatro Bellini di Napoli.

Da un’idea di Francesca Merloni, con la regia di Nicoletta Robello, Borderlife, la nostra vita dall’altra parte porta in scena i personaggi dell’omonimo romanzo di Dorit Rabinyan pubblicato nel 2016 per Longanesi. Il libro, in Israele, è stato vietato nelle scuole dal Ministero dell’Istruzione perché la relazione interetnica dei protagonisti avrebbe potuto incoraggiare l’assimilazione tra i due popoli.

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In scena Francesca Merloni (Liat), Pavel Zelinskiy (Hilmi) e i Radicanto (Voce Maria Giaquinto, chitarra classica Giuseppe De Trizio, chitarra elettrica Adolfo La Volpe, voce, sassofono, flauto traverso Paolo Pace, cajon, Francesco De Palma).

Sul palco la storia di un amore difficile: quello fra Liat, militare israeliana in congedo ora traduttrice, e Hilmi, un artista palestinese. Una storia che Francesca Merloni e Nicoletta Robello alterano con frammenti del Romeo e Giulietta di Shakespeare: famosa storia d’amore dove, in soli 5 giorni, Tebaldo uccide Mercuzio, Romeo uccide Tebaldo, Giulietta e Romeo si suicidano. L’epitome dell’amore tragico è in realtà una storia di guerra tra due famiglie intercalata da alcuni versi di struggente romanticismo.

In Bordelife non ci sono famiglie: semplicemente Liat è nata a Tel Aviv e Hilmi a Ramallah. Tra di loro una linea verde, che non è più quella degli accordi che chiudevano il conflitto arabo-israeliano del 1949, ma quella nella testa degli abitanti di un angolo di mondo senza pace. Un’invisibile linea verde che separa “noi” e “loro”. Una guerra che nasce nel cuore e nella mente di chi appartiene a quel lembo di terra. Un inferno che è manifestazione di un conflitto interiore. Che avvertiamo forte in Liat: dilaniata dalla paura che la sua cultura israeliana sia divorata da quella palestinese, alza muri invalicabili. Ma quel muro stride, dentro di lei, con i valori liberali della democrazia nella quale si illude di vivere.

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Al centro del palco Liat e Hilmi, due esseri umani che si incontrano nella New York che ha appena affrontato l’11 settembre. Solo due persone, che però diventano altro nel momento in cui sono cittadini, fedeli.

Liat e Hilmi, un uomo e una donna che si muovono all’interno di una “catastrofe”, quella Nakba che il popolo palestinese festeggia ogni 15 maggio per ricordare la cacciata di 700mila persone dalle loro case, nel 1948, per mano di Israele e che ancora continua. Quello stesso Israele che nel giorno di Tisha B’Av commemora eventi tragici della storia ebraica: la distruzione del Primo e del Secondo Tempio di Gerusalemme, l’esilio babilonese, l’editto di espulsione degli ebrei dall’Inghilterra nel 1290 e la loro cacciata dalla Spagna nel 1492. Ma quell’occhio per occhio che nasce nel Vecchio Testamento con l’intento di limitare la vendetta, è ormai odio atavico e ha reso tutti ciechi.

In scena uno scontro di culture, un nodo gordiano che forse non va tagliato con la spada, ma sciolto con pazienza e sapienza.

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Liat e Hilmi, Giulietta e Romeo: esseri umani per i quali amor omia vincit è una frase utopica; persone la cui unica colpa è di provenire da mondi in contrasto. “E se non dipendesse da ebrei e palestinesi che si combattono per la terra, ma dal sole?” chiede Liat alla fine. Non esistono terre pure e terre impure di per sé, tutto dipende dalla bontà o malvagità di chi le abita. Ma cercare colpevoli fin sul sole sembra essere la via migliore.

La pièce, come il libro da cui è tratta, non è un atto di propaganda. È solo una storia di esseri umani incapaci di vedere la propria umanità nell’altro. Di un mondo dove bianco, rosso, verde e nero, sono vietati anche se usati per disegnare un’anguria – come ricorda Hilmi – perché sono i colori della bandiera palestinese.

Bordelife è una lettura drammatizzata con un grande potenziale, che beneficia del potere della musica dei Radicanto (la loro presenza è fondamentale): non come una colonna sonora, ma come un coro nella tragedia greca. Una bellissima storia che parla di libertà all’interno dei confini di una dittatura. Un’iniziativa urgente e coraggiosa. Uno spettacolo da vedere.

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