Già presentato alla 80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti Extra e ora in sala dal 13 febbraio con Satine Film, “L’uomo di argilla” della regista francese Anaïs Tellene è una storia di rinascita, narrata attraverso un “essere informe” della tradizione ebraica: il Golem.
“Mi sono imbattuta in questa figura – spiega la regista – e ho pensato che ispirarsi a questa mitologia ebraica potesse essere una potente drammaturgia, con questi rabbini che plasmano la terra e che scrivono sulla fronte del Golem la parola “verità”, ma se si toglie una lettera, in ebraico significa “morte”. Ho capito poi che c’era un ovvio parallelo con l’idea di questa donna che scolpiva Raphaël”.
Interpretato da Raphaël Thiéry, una scelta non casuale tant’è che la stessa regista commentando la sua scelta dice: “Avevo già girato due corti con Thiéry e ho voluto filmarlo ancora una volta perché mi affascina il suo corpo bruto, il suo fisico atipico, e allo stesso tempo quel qualcosa di estremamente fragile e tenero in lui”. Il protagonista è un gigante buono, un orco senza un occhio, che fa il guardiano di un castello e svolge lavori umili come cacciare le talpe infestatrici del giardino o curare il prato e le piante. Le sue sorti sono destinate a cambiare con l’arrivo nel maniero di Garance Chaptel -interpretata da Emmanuelle Devos- artista concettuale per cui Raphaël subito prova un sentimento mai provato prima.
Grazie a lei, il protagonista scopre la bellezza, ma soprattutto una sua redenzione: l’artista gli propone di fare da modello per una statua d’argilla a grandezza naturale, in sostanza di essere rimpastato con la stessa argilla di cui è composto. Le giornate di Raphaël passeranno così all’insegna dell’osservare ogni parte del suo corpo modellata da Garance sino alla realizzazione compiuta del suo doppio in argilla da cui stenderà a riconoscersi. Una favola di rinascita, che la regista Anaïs Tellene pensava da tanto: “Da tempo volevo scrivere una fiaba, e nelle fiabe ci sono spesso contrasti, soprattutto di status sociale, tra i personaggi principali. Cercavo quindi un contrasto di questo tipo e volevo anche parlare del rapporto molto speciale che c’è tra gli artisti. Perché quando crei è indefinibile, non è proprio amore, non è proprio amicizia, ma non è nemmeno solo professionale. Per quanto riguarda l’arte contemporanea, ho scelto la scultura per il film (volevo che fosse molto sensuale) e per il fascino di artisti come Sophie Calle o Marina Abramovič che hanno deciso di trasformare la loro vita e la loro intimità in un’opera d’arte”.