di Marcello Cecconi
Adriano Celentano e Luciano Tajoli, il diavolo e l’acqua santa, il gorgheggiatore e il rocketttaro, l’antico e il nuovo. Sul palco del Festival non ci sono solo note e parole, ma destini che si incrociano, speranze che si realizzano e sogni che si infrangono. Ce n’era uno che attendeva da troppo tempo: quello di Luciano Tajoli. La sua voce calda e avvolgente si posa dolcemente sulle note di Al di là, una melodia antica, quasi fuori dal tempo, che conquista il cuore del pubblico e lo porta alla vittoria insieme a Betty Curtis.
E’ il 26 gennaio 1961, da appena una settimana J. F. Kennedy è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, e a Sanremo inizia l’11° Festival. E’ organizzato per la seconda volta da Ezio Radaelli che mentre prepara il cast si lamenta con i giornalisti delle pressioni e raccomandazioni da parte di generali, deputati, sottosegretari, ministri, sindaci, banchieri. Il festival, per la prima volta, si svolge in due settimane: tre serate nel primo fine settimana e la finale il lunedì 6 febbraio, per dare il tempo alla partecipazione popolare al “Votofestival” che avviene tramite le schedine dell’Enalotto.
Anche se sul palco trionfa un uomo che ha dovuto lottare contro i pregiudizi e contro una carriera ostacolata dalla sua lieve zoppia dovuta alla poliomielite, i veri vincitori sono altri. Mentre Tajoli riporta Sanremo alla tradizione, sullo stesso palco esplode l’energia anticonformista di Adriano Celentano. Il brano 24mila baci, cantata in coppia con Little Tony (anch’egli esordiente) si classifica al secondo posto e diventa immediatamente un inno generazionale.
Celentano, 23enne, sta prestando il servizio militare a Torino e viene a Sanremo con una licenza speciale ottenuta grazie a una lettera dell’allora ministro della difesa Giulio Andreotti. 24mila baci ha un ritmo incalzante, il testo sfrontato e Celentano, cosa mai vista prima, con una mossa spregiudicata fa un salto e canta con le spalle rivolte alla platea e alle telecamere. Il raffinato pubblico in sala non avvezzo a tanta sfrontatezza mormora ma l’esibizione poi scatena un’onda di entusiasmo da travolgere le classifiche di vendita dei dischi, consegnando il brano alla leggenda del rock ‘n’ roll italiano.
Mina, solo quarta e quinta con Io amo tu ami e Le mille bolle blu, segnerà un momento drammatico del Festival: accreditata come favorita alla vigilia, cede all’emozione e durante un’acutissima nota perde completamente la voce. Scossa e in lacrime, abbandona il palco prima della fine dell’esibizione. È una ferita profonda, che la porterà a una decisione drastica: non calcherà mai più il palco di Sanremo. Una promessa che, incredibilmente, manterrà per sempre.
Ma Sanremo 1961 è anche l’anno di un’altra grande svolta: su quarantadue cantanti in concorso ben venticinque sono esordienti e fra questi si affacciano sul palco i cantautori, portando con sé un nuovo modo di intendere la canzone italiana. Gino Paoli, Giorgio Gaber, Bruno Martino, Pino Donaggio e Umberto Bindi sono i talenti che iniziano a farsi strada con brani che mescolano poesia e impegno, aprendo la strada a quella che sarebbe diventata una delle stagioni più feconde della musica d’autore.
A condurre il Festival si alternano Lilli Lembo e Giuliana Calandra, con quest’ultima che nella serata finale è sostituita da Alberto Lionello. Un’edizione di contrasti ed evoluzioni: la melodia rassicurante contro la scossa del rock, le lacrime di Mina contro il sorriso di Celentano, la tradizione contro l’innovazione. E con l’arrivo dei cantautori, il Festival non sarebbe mai più stato lo stesso.