"La donna del secolo": al cinema la vita di Simone Veil

Superstite dell'Olocausto, deportata al campo di concentramento di Auschwitz, diventata poi magistrata e prima donna presidente del Parlamento europeo. Anteprima oggi, 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria

"La donna del secolo": al cinema la vita di Simone Veil
Una scena tratta dal film «Simone Veil – La donna del secolo». © 2020 – MARVELOUS PRODUCTIONS - FRANCE 2 CINÉMA - FRANCE 3 CINÉMA
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27 Gennaio 2025 - 17.25 Culture


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Simone Veil è stata una figura straordinaria: magistrato impegnato a combattere per i diritti civili e contro le ingiustizie, a partire dal sistema penitenziario che umiliava i detenuti, specialmente quelli politici, fino alla sua battaglia per legalizzare l’aborto come ministra della Sanità. Prima donna a diventare presidente del Parlamento europeo, la sua vita è segnata da una forza straordinaria e da una resilienza che l’ha portata a superare esperienze traumatiche. Nata a Nizza come Simone Annie Liline Jacob, da famiglia ebrea, ha vissuto sulla propria pelle le atrocità della Seconda Guerra Mondiale. Superstite dell’inferno di Auschwitz, dove fu deportata insieme alla madre e alla sorella Milou, quando aveva solo sedici anni.

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La sua vita, costellata da sacrifici e lotte, è raccontata nel film Simone Veil – La Donna del Secolo, diretto da Olivier Dahan. Racconta la storia straordinaria della donna, interpretata da Elsa Zylberstein nella sua età matura e da Rebecca Marder nella sua giovinezza, quando era solo una ragazza sedicenne che arriva nel campo di concentramento e che poi si sposa, ha tre figli e sceglie di lavorare. La pellicola, che arriverà nei cinema dal 30 gennaio, con un’anteprima il 27 gennaio in occasione del Giorno della Memoria, ricostruisce la vita di questa donna indomabile, intrecciando diversi piani temporali.

Parte da un’infanzia serena vissuta da Simone e i suoi fratelli tra Nizza e la casa sul mare a Le Ciotat, in una famiglia laica dove il padre si sentiva orgogliosamente cittadino francese. La narrazione si sposta poi sulla ragazza, che poco meno che ventenne, reduce dall’esperienza di Auschwitz, si iscrive alla facoltà di scienze politiche a Parigi, dove conosce il futuro marito, Antoine Veil. Tra il 1974 e il 1979, Simone ricopre il ruolo di ministra della Sanità e, pur considerandosi “l’ultima rotellina del carro”, come dice al marito, si batte con determinazione per la legge che legalizza l’interruzione di gravidanza. La sua proposta, però, è accolta con feroci insulti, che addirittura la accusano di voler causare nuove atrocità simili a quelle naziste. Ma Simone non tollera l’ingiustizia: che si tratti delle donne che muoiono a causa di aborti clandestini, dei detenuti che contraggono la tubercolosi per le condizioni disumane nelle carceri, o degli ammalati di Aids trattati come paria, è sempre pronta a lottare per i diritti e la dignità di chi soffre.

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Il film non solo racconta la sua vita, ma anche il dolore che ha accompagnato la sua esistenza. La sua esperienza nei campi di concentramento culmina con quella che lei stessa definisce la “marcia della morte”, una fuga disperata degli ufficiali nazisti verso altri campi di concentramento. Nonostante le difficoltà, Simone resiste a fame, freddo e fatica, e la sua resilienza diventa una delle sue caratteristiche distintive. Solo molto tardi scoprirà che suo padre e suo fratello, che si pensava fossero morti ad Auschwitz, furono probabilmente fucilati in Lituania.

Tuttavia, il dolore non si ferma: anche la sorella, che era sopravvissuta con lei, morirà tragicamente in un incidente stradale, questo aggiunge un ulteriore peso alla sua vita già segnata dalla sofferenza. Nonostante il trauma, Simone decide di non soccombere al lutto ma si impegna a testimoniare la sua esperienza, convinta che la memoria storica sia fondamentale. “La Francia non vuole ricordare, vuole dimenticare e andare avanti”, afferma, ribadendo l’importanza di mantenere viva la storia con gli orrori del passato, per evitare che si ripetano.

In questo processo, il cinema gioca un ruolo fondamentale, come sottolineato da Elsa Zylberstei. “Credo nel potere del cinema”, afferma l’attrice, “è forse più accessibile della letteratura o di una conferenza. Un film può mostrare la violenza subita da persone come Simone Veil, affinché queste atrocità non si ripetano mai più”. Per Zylberstein, partecipare a questo progetto è stato un vero e proprio “atto politico”, un modo per far conoscere la straordinaria figura di questa donna e il suo impegno per la pace, la laicità e la giustizia.

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La sua storia, raccontata attraverso il cinema, ha il potere di ispirare e sensibilizzare le nuove generazioni a non dimenticare e a lottare contro le ingiustizie.

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