Editoria: è crisi? Radiografia di un settore in difficoltà

L’AIE denuncia un calo di vendite, ma le piccole realtà editoriali sanno sfornare prodotti letterari di qualità, come una raccolta di racconti di Riccardo Cenci

Editoria: è crisi? Radiografia di un settore in difficoltà
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

27 Gennaio 2025 - 10.01


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L’editoria italiana è in difficoltà. La sensazione è stata certificata dai dati forniti dall’AIE (Associazione Italiana Editori): il 2024 si è chiuso con una perdita di 2,4 milioni di copie vendute rispetto all’anno precedente, un calo del 2,3 per cento. Anche la recente kermesse romana, “Più libri più liberi”, ha evidenziato un allarmante calo di partecipanti, e il comparto è in allarme. Si lamenta la mancanza di programmazione e di sostegno pubblici alla domanda, in generale l’inadeguatezza delle politiche culturali di un esecutivo poco sensibile all’arte e alla cultura, e si chiede un deciso cambio di rotta.

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Tuttavia, la disaffezione dei lettori può anche avere più profonde, specifiche concause. Riguardo alle novità letterarie, ad esempio, solitamente le più interessanti provengono per lo più dalla piccola e media editoria. Di rado le maggiori case editrici dimostrano capacità e intraprendenza nello scovare nuovi autori, nel supportarli con un intelligente lavoro di editing e sostenerli con una ragionata programmazione di lancio. Le redazioni non sono più strutturate in modo da vagliare e affinare nuove proposte, il lavoro di scouting letterario è demandato a società di servizi i cui “dipendenti” ragionano in termini di mera vendibilità (presupposta e quasi sempre disattesa), incapaci di valutare il contenuto artistico di scritti cui dedicano frettolose e inadeguate letture, condotte con prefabbricate griglie metodologiche. Il risultato di questo stato di cose è sconfortante: siamo inondati da una melassa indifferenziata di pubblicazioni, un’omologazione di forme e contenuti che sopprimono in culla l’inventiva, la possibilità di aprire nuovi orizzonti, e ciò si sposa con politiche editoriali che privilegiano la quantità sulla qualità, realtà nella quale le piccole e medie realtà si trovano a dover sostenere costi proibitivi, con spazi ristretti di manovra per presentare al grande pubblico i propri cataloghi.

Eppure è proprio da queste isole umanistiche – spesso impiantate e portate avanti per pura passione e tra le più varie difficoltà – che provengono progetti e scrittori di un certo interesse. Esempio ne sia una raccolta di dodici corti letterari a firma di Riccardo Cenci, dal suggestivo titolo Il lettore di racconti, pubblicata dall’editore romano deiMerangoli (pp. 163, € 15). Già dare spazio alla narrativa breve, rara avis nella grande editoria, è nota di merito, ancor più lo è considerata la qualità del volume in questione.

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A richiamo tematico e simbolico, la copertina presenta uno specchio dal bordo a ruota dentata con tondi, lo stesso raffigurato nel celebre dipinto di Jan van Eyck Ritratto dei coniugi Arnolfini, oggi alla National Gallery di Londra: specchio e tempo sono le assi cartesiane entro cui prendono vita le storie, introdotte da un “lettore”, dostoevskijano uomo del sottosuolo preposto a selezionare manoscritti da pubblicare, che s’agita sul bordo scivoloso tra mondo reale e di finzione, col rischio di “perdere il senso della realtà”, come del resto i personaggi dei racconti.

La sua voce presiede alla silloge, disegnando percorsi nei materiali scelti. È lui il Grande Vecchio, maschera dello scrittore che struttura le storie, riflette sul fare artistico, sulla finzione che, “scimmiottando la realtà, la fa apparire più vera del reale”, processo perturbante che porta ad inquietanti scoperte. Il leggere è per lui attività “compulsiva”, “ossessione a tal punto radicata” da esondare nell’io: una totalizzante adesione ai mondi d’invenzione che rimanda alla grande stagione novecentesca della letteratura mitteleuropea, con il motivo della malattia dello spirito, dell’impossibilità di aderire alla vita, dello sfaldarsi della coscienza e della mente davanti all’incomprensibilità del reale.

In questa cornice decameroniana prendono forma figure quotidiane e immaginifiche, ambienti riconoscibili e luoghi esotici (la Cappadocia, la Russia e l’Ucraina post sovietica, la penisola calcidica e i suoi monasteri), il nostro presente e oscuri passati, con i temi eterni dell’umano: la natura del tempo e il modo di concepirlo (“I sognatori del tempo”, dove dei viaggiatori si affidano ad un “inquietante Virgilio” per esplorare una labirintica città sotterranea “morta da secoli”); la ricerca di identità e lo sfaldamento dell’io (il saltimbanco de “Il circo”, in cui il pupazzo del ventriloquo diviene simbolo di un’umanità ridotta a manichino, che ricorda la figura dello schlemihl della letteratura yiddish; o ancora il personaggio de “Il monastero” che si smarrisce nelle buie segrete d’un tempio); la solitudine e l’incomunicabilità (la ricerca disperata di dialogo e d’un sentire umano ne “Il sassofonista”; il tentativo d’amore tra due sconosciuti ne “Il computer vivente e la sbobinatrice”, un hacker “abituato a vivere di vita riflessa” e una donna “dedita a registrare parole prive di senso”; il razzismo e il migrare (“L’ingiustizia”, dove persino un delitto è incomprensibile nelle cause e nei responsabili); l’alienazione dell’essere contemporaneo (“Lost in the supermarket”, nato dalla suggestione d’un pezzo dei Clash e composto in una forma mista narrativo-drammaturgica, che vede due coniugi disillusi smarrirsi nel tempio consumistico per eccellenza); la libertà (sognata ma irraggiungibile, come illustra la giraffa Bamba de “Il circo”); l’insopprimibile desiderio di ribellione (incarnato dal piccolo indiano ne “Il bambino e il santone”, che con la sua logica ferrea smaschera un acclamato santone che si presenta in limousine nera); l’imprevisto che irrompe nel quotidiano (“Waterface”: è davvero Neil Young lo sconosciuto che gira per casa?; “L’ospite inatteso”, ambientato in una gelida San Pietroburgo, con l’anonimo personaggio riflesso di una delle “anime grigie” della letteratura russa che l’autore dimostra di aver bene assorbito).

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Con una narrazione che alterna la prima alla terza persona, una lingua coltivata e cristallina – con forse un eccesso avverbiale –, il talento della sincronia tra ritmo prosodico e sfera emotiva dei personaggi, si portano dunque in scena storie che conservano “qualcosa di eccessivo al loro interno”, vissute dal personaggio che ce le presenta (dallo scrittore? da noi lettori?) come un perturbante viaggio psichico, un intreccio che ricorda la tela de Le mille e una notte, dove il narrare allunga la vita, e un finale a sorpresa, in cui la cornice strutturale si salda con la figura dello specchio, mise en abyme dell’infinito letterario.

Se oggi l’incultura dell’universo capitalista in cui conduciamo esistenze inconsapevoli ha obnubilato la capacità di comprendere l’arte e la significatività della vita; se la perdita della valenza estetica comporta l’incapacità di trarre insegnamenti dall’esperienza, ebbene, questo volumetto si staglia in decisa controtendenza. Da queste “novelle” promanano profondi echi culturali, con un effetto estraniante per chi sia aduso alle omologate scempiaggini di tanta narrativa contemporanea. Una boccata d’ossigeno, a ricordarci che, oltre ad essere un grande piacere, la letteratura è esplorazione di sé e del mondo. Come distilla il “lettore” di questi racconti, “la lettura è ragione di vita”.

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