Roma ospita il genio di Jan Fabre: "La mia arte è 1+1=3"
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Roma ospita il genio di Jan Fabre: "La mia arte è 1+1=3"

Dal 31 gennaio al 1 marzo Jan Fabre alla Galleria Mucciaccia di Roma: "La mia creatività è sempre una forma di resistenza"

The Man who measures his own planet, 2024 - Carrara marble - detail - Jan Fabre - ph. Pierluigi Di Pietro - intervista di Alessia de Antoniis
The Man who measures his own planet, 2024 - Carrara marble - detail - Jan Fabre - ph. Pierluigi Di Pietro
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24 Gennaio 2025 - 10.37


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di Alessia de Antoniis

Roma ospita l’arte visionaria di Jan Fabre, attore, autore, coreografo, regista cinematografico e teatrale. Dal 31 gennaio al 1 marzo alla Galleria Mucciaccia, in largo della Fontanella di Borghese 89.

Figura influente del panorama artistico contemporaneo internazionale, le cui personali sono state ospitate in istituzioni prestigiose come il Museo del Louvre di Parigi nel 2008 e il Museo Hermitage di San Pietroburgo nel 2017, Jan Fabre è l’unico artista ad aver ricevuto l’onore della Cour d’Honneur del Festival di Avignone per tre edizioni consecutive (2001, 2005 e 2006) e ad essere stato incaricato di creare un’opera per la Felsenreitschule al Festival di Salisburgo nel 2007.

La mostra, a cura di Dimitri Ozerkov, raccoglie i due più recenti capitoli della sua produzione artistica: Songs of the Canaries (A Tribute to Emiel Fabre and Robert Stroud) e Songs of the Gypsies (A Tribute to Django Reinhardt and Django Gennaro Fabre). A completamento della mostra, un catalogo ricco di analisi critiche e immagini, curato da Melania Rossi e Giovanna Caterina de Feo; un approfondito omaggio alla complessità dell’arte del maestro belga, che intreccia temi personali, simbolici e universali.

La mostra è stata un’occasione per parlare con Jan Fabre della sua idea di arte.

Qual è la sua definizione di arte? Crede che l’arte possa davvero trasformare la società?

Vorrei risponderti con un frammento tratto dai miei Night Diaries, pubblicati in Italia da Cronopio:

“È un dovere sacro esaminare e liberare il corpo./Nel teatro e nelle arti visive./Il mio catechismo:/L’arte è il padre./La bellezza il figlio./E la libertà lo spirito.” (10 dicembre 1983).

Quando manca la bellezza, quando manca l’arte, una società si condanna a morte. Credo e spero che la mia arte guarisca le ferite nella mente degli spettatori. Spero che l’esperienza della mia arte li faccia sentire e guardare in modo diverso.

Crede che l’arte abbia anche il dovere di provocare?

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Penso che tutta la grande arte sia provocatoria. Non una provocazione come elemento negativo, ma come evocazione della mente.

Cosa la spinge a creare? Da dove nasce la sua arte? Quale sentimento, urgenza o pensiero politico la ispira?

Piacere e necessità. Scrivo e disegno ogni notte. È il mio respiro. Non posso vivere senza. La mia arte nasce dalla connessione tra il cervello (intelligenza), il cuore (intuizione) e il sesso (istinto). Tutto il mio lavoro, dalle arti visive al teatro e alla letteratura, porta in sé una fusione tra valori etici e principi estetici. Se l’arte fosse solo estetica, sarebbe semplice trucco. Per questo, tutta la mia opera è, per definizione, politica. Perché sceglie di essere libera da ogni ideologia. La mia creatività è sempre una forma di resistenza.

Lei è anche un performer. Cos’è per lei una performance? Crede che la performance sia ancora un mezzo potente per sfidare il  pubblico e provocare una reazione?

Oltre alle mie creazioni teatrali, realizzo spesso performance da solista e creazioni come artista visivo.

Vorrei condividere ancora una volta dei frammenti dal mio Night Diary. Credo che ciò che scrissi allora definisca ancora oggi l’arte della performance. Ci vuole una vita intera per tornare ad essere un giovane artista.

Bruges, 14 maggio 1978 – “Voglio sottoporre il mio corpo/a torture./Lasciare che il mio corpo soffra. Lasciare che il mio corpo muoia./Lasciare che il mio corpo risorga./Così, nel processo di morte e rinascita,/staccare il mio corpo/dalla realtà/e offrirlo come dono all’arte”.

New York, 4 febbraio 1982 – La performance ha un alto valore economico, inestimabile, ma nessun potere economico. Si colloca al di fuori di tutte le regole del mercato dell’arte. Nessun gallerista e/o collezionista può comprarla o venderla.

C’è qualcosa di più bello del sapere che nessuno può possederti? Per questo motivo la performance è un mezzo importante. Interroga l’essenza stessa dell’arte. E confronta l’artista con i suoi limiti fisici e mentali, così da spingerlo a porsi le domande più essenziali su se stesso e sulle sue attività.

New York, 20 febbraio 1982 – La per-for-mance è una persona che per-fora sé stessa e il suo ambiente. È al contempo un’analisi, una distruzione e un omaggio.

New York, 22 febbraio 1982 – È davvero magnifico fare cose senza pianificarle./Solo per divertimento./Oggi ho fatto una performance con Anson Seeno su Park Avenue (Uptown)./Ci siamo seduti a un tavolo davanti a una banca./Abbiamo firmato pacchetti di sale e banconote da un dollaro e abbiamo provato a venderli./Non abbiamo venduto nulla, ma abbiamo avuto una discussione accesa con un gruppo di 10-15 passanti sul rapporto miracoloso tra capitalismo e arte.

Lei è l’artefice di due sculture meravigliose: “L’uomo che porta la croce” e “Misurare le nuvole”. Per lei, qual è il legame tra il fisico e il trascendente? E qual è la tua idea del trascendente?

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La scultura in bronzo al silicio L’uomo che porta la croce è un omaggio a mio zio Jaak. Il volto della scultura è Jaak Fabre, mentre il corpo è il mio. Sto bilanciando una croce enorme. È una metafora dei miei dubbi e della mia fede nella bellezza e nell’arte. Rappresenta anche il mio rapporto con il potere dei valori trascendenti. Sono ateo, grazie a Dio.

La scultura in puro marmo di Carrara “L’uomo che misura il proprio pianeta”, che ora presento alla Galleria Mucciaccia come parte della mostra Songs of the Canaries  – Un tributo a Emiel Fabre e Robert Stroud -, è un omaggio a mio fratello defunto Emiel e all’ornitologo Robert Stroud. Il volto della scultura è quello di mio fratello e corpo è il mio, ritratto su una piccola scala da biblioteca classica. Nelle mie braccia, allungate come se cercassi di misurare l’impossibile, tengo un righello.

Per me questa scultura è sempre stata un omaggio alla vita e alla morte. È una metafora dell’essere artista, tentando di misurare l’impossibile e di pianificare l’impossibile. L’oro del bronzo e il bianco del marmo sono due colori spirituali. Le mie opere d’arte sono trascendenti nell’idea di superare la realtà e diventare un universo superiore a sé stesso. La mia arte vive con le sue regole e i suoi enigmi.

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La mediocrità del mio genio crede nella qualità magica dell’arte. Spero che la mia arte trasporti lo spettatore in un altro mondo. Un mondo di libertà di immaginazione. L’arte che è solo sotto il controllo del cervello e del pensiero intellettuale non arriva lontano. La mia arte è 1+1=3. Sono un artista che sceglie consapevolmente di essere generoso, un donatore. Sono un intermediario di una forza spirituale superiore.

L’altra opera è “Misurare le nuvole”. Protagora diceva che l’uomo è la misura di tutte le cose. Nel suo lavoro, però, l’uomo misura le nuvole. Il suo uomo misura anziché essere la misura? Aveva in mente Magritte quando ha scolpito quest’opera o è solo una coincidenza?

L’idea di misurare le nuvole si basa sulla storia dell’ornitologo Robert Stroud. Quando era ormai famoso e liberato da Alcatraz, un giornalista gli chiese: “Signor Stroud, cosa farà per il resto della sua vita?” E lui rispose: “Misurerò le nuvole”. È un simbolo del tentare di misurare l’immisurabile. Come artista, cerco sempre di rendere possibile l’impossibile, ma il più delle volte fallisco. Sono l’imperatore del fallimento, quindi le mie opere migliori sono i progetti irrealizzati e le opere utopiche.

Il mio legame con Magritte è il mio approccio filosofico e ironico all’arte, sapendo che le mie opere rifiutano sempre il cinismo.

Qual è il suo concetto di bellezza?

La bellezza è come una farfalla. La tocchi, la distruggi.

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